DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Meno male che la gente conosce i suoi preti

MARCO TARQUINIO
M
eno male che la gente conosce bene i suoi preti. Meno male.
Altrimenti chi legge
il Giornale
e abita a Milano ieri avrebbe avuto un mezzo colpo al cuore. Avrebbe scoperto
in un titolo a tutta pagina che nella diocesi di Sant’Ambrogio, quella dei mille oratori, c’è un «allarme» da «preti pedofili». Avrebbe letto l’annuncio di una «lunga lista» stilata da un procuratore della Repubblica. E avrebbe appreso che «i vescovi non hanno mai denunciato nessuno». Poi, magari, avrebbe anche letto nel fondo del direttore di quella testata un assai studiato invito a «non generalizzare». Avrebbe trovato che all’interno un prete come don Chino Pezzoli reagiva sbalordito, come ogni milanese e cristiano che si rispetti, alla notizia di un gridatissimo eppure inesistente «allarme». E avrebbe scorso l’intervista al magistrato Pietro Forno, pm anti­molestie sessuali nel capoluogo lombardo. Si sarebbe così reso conto che, in quel testo, si parlava davvero di pedofilia, che le domande riguardavano effettivamente solo casi attribuiti a sacerdoti, che venivano espresse opinioni sia dall’intervistatore che dall’intervistato e che si accennavano alcune valutazioni e conclusioni sulla base di una carriera in toga svolta in varie zone dell’Italia settentrionale. Ma non si snocciolava affatto una «lunga lista», in quel testo, e non si dava un «allarme Milano». E neanche un allarme Italia. Già, perché – come aveva giustamente premesso il direttore – «non si deve generalizzare».
Non si deve, dunque. E perché? Perché è ingiusto e perché sarebbe impossibile. Guardate i giornaloni d’America e di Mitteleuropa che hanno scatenato la campagna d’accusa contro la Chiesa e hanno addirittura tentato di tirare in ballo il Papa: hanno scavato in dolorosissimi casi del passato più o meno remoto per poter trovare munizioni per il loro bombardamento, eppure dove hanno trovato il male commesso da alcuni preti «traditori» del Vangelo e della loro stessa umanità – male che certo è intollerabile, e purtroppo non possiamo illuderci che sia stato sconfitto una volta per tutte – hanno trovato anche la giustizia che è stata perseguita, a volte con colpevole negligenza, a volte con miope lentezza, altre volte – tantissime – con accorata urgenza e limpido intendimento. In particolare, ricordiamolo, grazie alla sollecitudine di un cardinale che oggi è Benedetto XVI. E soprattutto hanno trovato, sebbene quei giornaloni distolgano sguardi e titoli da questo, il bene che altri uomini di Chiesa, infinitamente di più di ogni manipolo di «traditori», hanno fatto e moltiplicato.
Non si devono, allora, alzare polveroni e non si può sparare nel mucchio. Non si dovrebbe, perciò, neanche osare scrivere di «una gerarchia cattolica che tace, copre e insabbia». Parole che il magistrato della Repubblica intervistato non ha pronunciato in alcun modo, ma che l’intervistatore ha usato egualmente per inaugurare il pezzo sul quotidiano milanese facendo esattamente quello che il suo direttore, poco sotto, spiegava a tutti che non bisognerebbe fare: «generalizzare», nel modo più increscioso. Tanto più che il dottor Forno – in un’intervista dal tono assai sostenuto e, a tratti, anche sconcertante – premetteva ai suoi ragionamenti una constatazione: quando le indagini hanno riguardato persone consacrate «non mi sono mai stati messi ostacoli» dall’autorità ecclesiatica. E non vediamo che cos’altro avrebbe potuto dire. I «vescovi» italiani genericamente e incomprensibilmente chiamati in causa nella titolazione interna dell’intervista e il titolare della diocesi ambrosiana indirettamente evocato nella titolazione di prima pagina sono semplicemente ineccepibili. Severi, attenti e misericordiosi servitori delle nostre comunità cristiane e testimoni per i più deboli e per i più piccoli. Padri e guide, non «pubblici ufficiali» o «ufficiali giudiziari».
Non si deve generalizzare. Perché generalizzare è sempre sbagliato. È come se a un magistrato coscienzioso e attento come Forno venissero imputate lo schianto per crepacuore di un prete ingiustamente accusato di abusi sessuali o lo strazio a morte di un padre che si vide strappare la figlia perché altrettanto ingiustamente infamato. Ha proprio ragione chi dice che non si può generalizzare. E non si può neanche, generalizzando, accettare che suoni a distesa un allarme che non c’è.
Meno male che la gente di Milano, e d’ogni dove, conosce bene i suoi preti.


© Copyright Avvenire 2 aprile 2010