DI ROSSANA SISTI È stato davanti all’enorme piramide delle macchine espresso che il tracollo si è annunciato. Tutti i sintomi dell’attacco di panico che non ti lascia altra chance se non girare i tacchi, guadagnare l’uscita, cercare la luce del sole e una boccata d’aria fresca. Può succedere anche questo, addentrandosi un giorno tra le corsie traboccanti di oggetti a prezzi irripetibili in un normale centro commerciale, alla ricerca di un portatile: di sentirsi assediato e quasi risucchiato in un vortice senza fine dal flusso esagerato di gente e di merci in offerta speciale. La racconta così Giorgio Triani la propria inedita sindrome di Stendhal, lo scoramento improvviso e il rigetto prodotto dallo spettacolo esorbitante della merce. Un’esperienza spiacevole, di quelle da dimenticare, se non fosse che Giorgio Triani alla sensibilità del consumatore saturo unisce l’occhio lungo del sociologo esperto in comunicazioni di massa che, con apprensione e disagio, ma non senza ironia, osserva i paradossi di un sistema di vita tarato sull’eccesso. Ed è così che è nato L’ingorgo ( Elèutera, pagine 190, euro 14) una riflessione sullo smarrimento sociale e planetario del senso delle misure, su come sopravvivere al troppo, come recita il sottotitolo, all’iperbolico diventato quotidiano, ovvio e scontato. « Viviamo una realtà in cui tutto lievita e tutto viene estremizzato – spiega – in cui neppure tra gli opposti c’è possibilità di sintesi. Cresce il troppo e anche il suo contrario, crescono gli obesi e gli affamati, i ricchi e i poveri, il lusso sfrenato e le miserie più nere, i consumi e i rifiuti, la potenza dei computer e la loro dimensione, la possibilità di stare connessi perpetuamente e l’inconsistenza delle relazioni. Viviamo nell’abbondanza delle fonti di informazione ma non per questo cresce la qualità e la credibilità delle notizie. I grandi numeri costellano le nostre vite, non c’è record che non possa essere superato, non c’è velocità che ci appaghi » . Che si tratti di una moda, di un’influenza di stagione o di una vera emergenza non c’è differenza: tutto viene enfatizzato e drammatizzato, poi con altrettanta velocità normalizzato, banalizzato e dimenticato. È il gioco forza dell’eccesso, che non appaga mai e non si può sedare. « L’eccesso – spiega Triani – è per sua natura famelico, insaziabile. Come la velocità, è una sorta di droga, dà assuefazione, chiede sempre più spazio, diventa totalizzante » . Non c’è luogo che non sia raggiungibile intervista in una manciata di ore, traguardo superabile, dimensione che non possa essere ingigantita o miniaturizzata, distanza azzerata. E poi ci si stupisce se le nostre esistenze si ingorgano. Gli slogan sono rivelatori – suggerisce il sociologo – di come le categorie di spazio e tempo si siano dissolte: « È la logica del Lo pensi e lo fai, come recita il portale di Virgilio. Tutto intorno a te, il claim di un banca on line. Basta cliccare, un tocco e via, si apre un mondo. Ovunque sei, sei ovunque e Tu senza confini, ci dice Tim. Come dire l’ubiquità, tutto e subito senza mediazioni. Del resto l’Adsl ci ha messo le ali. Clicco e spedisco, lo penso e lo faccio, istantaneamente. Il passo verso l’onnipotenza è breve, lo dico e si avvera . In politica è una strategia quotidiana. Ormai siamo settati su questi parametri al punto che ci sembra sia davvero così. Salvo patire lo spaesamento, la paura e l’ansia generati dall’inadeguatezza nel definire la nostra vita. Che cosa possiamo più considerare vicino o lontano, grande o piccolo, alto o basso? » . Vivere accelerati è paralizzante. Finisce che in questo tempo deflagrato non sopportiamo più alcun tempo d’attesa: una fila di cinque minuti in autostrada o alle Poste diventa una tragedia, un attimo è diventato un attimino, un mal di testa non può durare più di sei nanosecondi. Persino le pillole sono di- ventate fast. L’eccesso ci circonda, in una ragnatela di cifre esorbitanti, statistiche e nomi superlativi. « Le parole sono importanti – spiega Giorgio Triani – pensiamo a insalatona, tramezzone, regalone, quizzone; a Cubissimo, Intimissimi, illyssimo, Mokona. Un gelato, un dentifricio un frullatore per ottenere un minimo di attenzione devono fregiarsi almeno dei suffissi maxxi ( con due x), mega, ultra, extra, multi, giga. Nel ’ 57 il primo supermercato a Milano aveva 1600 referenze merceologiche; fu salutato come l’America di Rockefeller. Oggi in un ipermercato ci stanno 40 mila referenze merceologiche e ogni genere di merce ha un numero di varianti esagerato. Quanti tipi di shampoo o di marmellata si possono contare su uno scaffale? Peccato che quando l’offerta è esagerata, scegliere diventa impossibile e frustrante. Eppure le unità di misura sono andate fuori controllo: « Anche i fenomeni più banali sono formato gigante: 43 miliardi di tazzine di caffé bevute in un anno, 420 milioni di email scambiate. Sotto il milione si è inesistenti. Nel mondo globalizzato, dove si parla di milioni di miliardi, abbiamo scoperto i trilioni. Cifre che si fa fatica a pensare ma che ci trasportano nel mondo del fantastigliardi di Paperone dove più si ha e più si vorrebbe avere. Anche se si ha già tutto e non se ne può più. » . Solo un rigetto ci salverà. Allegramente apocalittico Triani dopo averci condotto tra i meandri di una realtà che considera tragica e devastante ogni mancanza, ci offre anche una prospettiva di vita più sostenibile in cui chi si ferma non è perduto. « Non si tratta – insiste – di aderire a svolte modaiole, monacali o di nostalgica austerità. Non si tratta di imboccare terze vie di mezzo ma di ritornare a dare il giusto peso e il corretto valore alle cose, a non sprecare a recuperare il sano spirito critico e il senso delle misure. Senza demonizzare nulla. Le parole, come la realtà, sono ambigue. Bisogna trovare compromessi, uscire dai luoghi comuni e dal pensiero unico, interrogarsi, regolarsi. Senza illudersi che sia semplice farlo. Oggi ci sono parole irresistibili – è la conclusione – come bio, slow, piccolo, lento, locale equo e solidale. Esprimono concetti condivisibili ma questo non deve impedirci di riconoscere altri valori » . Insomma, non si vive meglio da irriducibili. Auspichiamo la lentezza nella società della velocità, ma chi vorrebbe un’ambulanza lenta? «Tutto lievita e tutto viene estremizzato senza che ci sia una sintesi. Aumentano obesi e affamati, ricchi e poveri, il lusso sfrenato e la miseria nera, la potenza dei computer e la loro dimensione. Viviamo nell’abbondanza ma questo non significa qualità» |