Le istituzioni ecclesiastiche a Roma
non sono precisamente una rarità.
Una di queste è il Venerabile Collegio Inglese
in via di Monserrato, a pochi passi
da piazza Farnese, che accoglie seminaristi
e preti d’Inghilterra e Galles che si trovano
nell’Urbe per motivi di studio. Una
mostra realizzata nei sotterranei dell’edificio
che lo ospita consente adesso di scoprire
che questo non è un collegio come
altri, ma è la più antica istituzione inglese
al di fuori della madrepatria e ha una
storia che merita di essere conosciuta (fino
al 31 luglio, informazioni su www.angelisunt.
it). Il titolo della mostra (“Non Angli
sed Angeli”) allude a un episodio legato
alle origini dell’evangelizzazione dell’Inghilterra.
San Gregorio Magno, vedendo
a Roma degli schiavi provenienti dall’isola,
con i loro capelli biondi, avrebbe
appunto affermato che non di “angli” si
trattava ma di “angeli” e avrebbe deciso
di inviare dei religiosi nel loro paese. Certo
è che la missione di sant’Agostino di
Canterbury alla fine del VI secolo ebbe
un’importanza decisiva per la diffusione
del cristianesimo in Inghilterra e Galles.
La mostra si sofferma innanzitutto sull’itinerario
che portò per secoli i pellegrini
inglesi a percorrere la Via Francigena,
attraversando mezza Europa per arrivare
a pregare sulle tombe degli Apostoli. La
casa di via di Monserrato divenne già nel
1362 un ostello per i pellegrini inglesi a
Roma. Si suppone che ci sia stato anche
William Shakespeare, che sarebbe indicato
con uno pseudonimo nei registri dell’ostello.
La cautela si spiegherebbe con il
fatto che nel frattempo era accaduto qualcosa
di decisivo. Nel 1536 Enrico VIII si
era dichiarato capo della chiesa d’Inghilterra.
Durante il regno di Elisabetta I la
chiesa nazionale si rafforzò e l’ostilità nei
confronti dei cattolici divenne assai acuta,
specialmente dopo che nel 1570 Pio V scomunicò
la regina e sciolse i sudditi dal vincolo
di obbedienza nei suoi confronti.
In questo clima l’antico ostello divenne,
nel 1579, un seminario. Qui, come in altri
centri in Francia e in Spagna, venivano
formati i giovani inglesi che avrebbero poi
dovuto esercitare clandestinamente il ministero
sacerdotale in Inghilterra. Per riuscire
a farlo dovevano innanzi tutto sfuggire
agli agenti governativi che cercavano di
intercettare i preti nel momento stesso in
cui approdavano in patria sotto mentite
spoglie, presentandosi come viaggiatori o
mercanti. Il compito della polizia era favorito
da spie infiltrate all’interno del Collegio
stesso. Una volta entrati in Inghilterra,
i preti dovevano evitare la cattura nascondendosi
nelle case dei cattolici rimasti fedeli
a Roma. Chi veniva scoperto andava
incontro alla prigione, alla tortura e alla
morte. Tra il 1581 e il 1679 quarantaquattro
ex allievi del Collegio inglese di Roma
morirono come martiri in Inghilterra.
La mostra invita a ripercorrere un duplice
itinerario, quello dei pellegrini dall’Inghilterra
a Roma nel Medioevo e quello
dei preti che partivano da Roma per
una rischiosa missione nell’Inghilterra dei
secoli XVI e XVII. Lo fa in modo efficace,
con oggetti, immagini, video e pure con la
ricostruzione di uno dei minuscoli nascondigli
in cui i preti si rifugiavano per non
essere trovati dagli agenti che perquisivano
regolarmente le case dei cattolici. Gli
spazi in cui la mostra è allestita sono già in
se stessi non privi di interesse. Sotto la
cripta della chiesa del collegio, tra l’altro,
è stato portato alla luce un tratto dell’antica
strada romana: è un’immagine suggestiva
di una città in cui la storia del cristianesimo
rimanda continuamente a una storia
precedente. Ma soprattutto la mostra è
un’occasione per riflettere sulla storia della
chiesa e sulla storia dell’Europa. Quando
si dice che l’Europa ha radici cristiane
bisogna pensare innanzi tutto a come la fede,
per secoli, ha fatto muovere e incontrare,
anche fisicamente, uomini di origini e
provenienze diverse. Anche per questo la
divisione religiosa del XVI secolo appare
come un evento di immensa portata per la
storia europea.
La parte della mostra dedicata a queste
vicende fa venire in mente il libro di Robert
Hugh Benson “Con quale autorità”.
Benson, figlio del primate anglicano, dopo
la conversione al cattolicesimo, scrisse diversi
romanzi, tra cui questo che narra la
storia di alcuni personaggi coinvolti nelle
controversie religiose dell’età elisabettiana.
Leggendolo viene da fare un paragone
con i racconti di coloro che hanno sperimentato
i regimi totalitari del XX secolo e
verrebbe da sospettare che l’autore abbia
proiettato nel passato caratteristiche note
da un’epoca successiva: se non fosse che il
suo libro lo ha pubblicato nel 1904. La
questione posta è infatti quella di un potere
statale che non può tollerare un’autorità
diversa dalla propria. La testimonianza
dei martiri inglesi ha meritato al loro
collegio l’onore di essere chiamato “venerabile”.
La loro storia è parte di vicende
drammatiche per la cultura europea.
Luca F. Tuninetti
© Copyright Il Foglio 29 aprile 2010