DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Numeri alla mano, ecco cosa c’è dietro la profonda crisi dei matrimoni italiani

In una indagine di pochi anni fa, e che
prendeva in esame le trasformazioni
del matrimonio avvenute nel lungo periodo,
l’Istat aveva scoperto che erano intervenuti
tra gli altri, tra gli inizi degli anni
duemila e trenta anni prima, curiosi
quanto sostanziosi cambiamenti così riassumibili:
(a) l’accresciuta usanza, fino ad
arrivare a interessare pressoché il 100
per cento dei matrimoni, di festeggiare le
nozze con un ricevimento o pranzo nuziale
(b) l’accresciuto numero di invitati a
questo ricevimento, che superava le cento
persone nel 56 per cento dei matrimoni
(c) l’accresciuta quota di coppie che si
recavano all’estero per il viaggio di nozze,
salita decisamente a più di sette su
dieci, quattro delle quali con mete extraeuropee.
Ci sono tutte le ragioni di credere che
relativamente ai punti (b) e (c) l’accrescimento
sia andato ulteriormente avanti
tra i primi anni Duemila e oggi.
Fatto si è che nei primi anni Settanta i
matrimoni superavano quota 400 mila,
mentre, pur con una popolazione di qualche
milione in più, nei primi anni Duemila
quel numero era sceso a 260-270 mila.
Ed è ulteriormente sceso oggi sotto la soglia
dei 250 mila. Con l’introduzione del
divorzio (è da lì che si diparte, dati alla
mano, la crisi dell’istituto del matrimonio)
i matrimoni sono diventati al tempo
stesso sempre meno numerosi e sempre
più sfarzosi/pretenziosi. Non so se sia
possibile stabilire una relazione di causa-
effetto tra numerosità e pretenziosità
dei matrimoni, ma un dato è certo: a sem-
pre meno matrimoni è andato abbinandosi
un sempre maggiore sfarzo degli
stessi e chissà che lo sfarzo (e quindi il
costo) non abbia, a forza di aumentare,
contribuito la sua parte ad assestare un
colpetto all’istituzione matrimoniale. Che
non se la ripassa affatto bene. Affatto. Intanto
con un indice di nuzialità appena
sopra la soglia di 4 matrimoni annui ogni
mille abitanti l’Italia è ormai consistentemente
sotto la media Ue-15. Poi, con appena
3,6 di nuzialità, il nord Italia si viene
connotando come una terra a rischio
de-matrimonializzazione (hai voglia la
Lega di recuperare le radici cattoliche).
Quindi con l’aumento di cinque anni di
età della donna al primo matrimonio,
passata dai 25 ai 30 anni di media nel
breve giro degli ultimi venti anni, quella
italiana sta assumendo il comando delle
donne che nel mondo si maritano meno e
più tardi di tutte. E infine, grazie anche a
una contrazione ancora più cospicua dei
primi matrimoni (ridotti a 212 mila), la famiglia
italiana viene sempre più diradandosi
per un verso e formandosi a età
avanzate di donne e uomini per l’altro.
Di fronte a questa realtà, paradossalmente
assai poco conosciuta, o se conosciuta
assai poco riflettuta, c’è chi non
manca di far notare come tutto il carico
della crisi che non accenna a passare sia
però da mettersi in conto al matrimonio
celebrato con rito religioso. Si fa notare,
infatti, come ben 90 mila dei 246 mila matrimoni
del 2008, pari a quasi il 37 per
cento, siano matrimoni civili, proporzione
che supera ormai il 40 per cento in tutte
le regioni del centro-nord e che aumenta
di anno in anno. Ai supporter del
matrimonio civile vorrei dire che anche
per loro c’è ben poco di che stare allegri,
sol che si vada a vedere un po’ meglio nei
dati. Di quei 90 mila matrimoni, infatti, 30
mila sono con almeno uno sposo divorziato,
e dunque per così dire obbligati al rito
civile, e ben 32 mila con almeno uno
sposo immigrato – matrimoni, questi ultimi,
sui quali pesano etnie e fedi diverse
da quella cattolica e anche una visibilità
volutamente minore, come trattenuta
quasi, di questo tipo di matrimoni. I matrimoni
con rito civile davvero scelti non
stanno avendo affatto tutto quel gran successo
che si immagina. La controprova?
Nei primi matrimoni tra coniugi entrambi
italiani il rito religioso prevale sul rito
civile nella bella proporzione di quattro
a uno, vale a dire che ogni cento di questi
matrimoni 80 si celebrano, ancora oggi,
in chiesa e soltanto 20 in comune.
No, la crisi del matrimonio è profonda
e generalizzata e si inscrive in quella più
ampia difficoltà a fare famiglia oggi in
Italia che testardamente, nonostante i dati
contrari siano ormai più che espliciti,
ci si ostina a considerare esclusivamente
di tipo economico mentre è ancor prima
di origine e consistenza culturali. Nel
frattempo che questa crisi si consuma,
una caratteristica del matrimonio che
prima divideva il paese ora lo sta, dal suo
punto di vista, unificando: il regime della
separazione dei beni tra i coniugi, che riguarda
ormai più di sei matrimoni su dieci
tanto al nord come al sud. Proprio
quello che ci voleva. E’ infatti provato come
“nelle separazioni associate a matrimoni
di più breve durata prevalga la
scelta della separazione dei beni” (Istat).
Chi sceglie la comunione dei beni si separa
di meno e si assicura mediamente
un matrimonio che, anche quando si rompe,
dura molto più a lungo. Cosicché l’unificazione
del matrimonio italiano dalla
Valle d’Aosta alla Sicilia all’insegna dell’accresciuta
separazione dei beni è il
perfetto viatico per una più sollecita fine
tout court del matrimonio stesso.

Roberto Volpi


© Copyright Il Foglio 22 aprile 2010




Condividi