Una dimenticata disposizione dei Patti del Laterano, l’articolo  23 del Trattato del ’29, potrebbe tornare d’attualità alla luce  della ripristinata severità e fermezza ecclesiastica nei confronti di  abusi sessuali commessi da personale «religioso». La norma, voluta, a  suo tempo, dalla Santa Sede per controllare il clero recalcitrante, è in  realtà la sopravvivenza dell’antico «braccio secolare» che assicurava  la collaborazione degli Stati per dare effetti concreti e coercitivi  alla giurisdizione ecclesiastica. La disposizione prevede, infatti, che  «avranno senz’altro piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti  civili, in Italia le sentenze e i provvedimenti emanati da autorità  ecclesiastiche ed ufficialmente comunicanti alle autorità civili, circa  persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali e  disciplinari». Una norma collegata all’articolo 5 del Concordato—  articolo abrogato con la revisione concordataria del 1984— che imponeva  allo Stato di non assumere o conservare nel posto (insegnamento,  ufficio, impiego a contatto con il pubblico) i sacerdoti «apostati o  irretiti da censura ecclesiastica». È, comunque, applicabile, come  previsto consensualmente dal Protocollo addizionale al Concordato  dell’84, a condizione che i previsti effetti civili siano «in armonia  con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani». Se  alcuni commentatori della disposizione originaria parlavano, per gli  ecclesiastici e i religiosi, di un «corpo in certo qual modo pubblico» e  facevano coincidere gli effetti giuridici con l’esecutorietà dei  provvedimenti (parlando anche di «esecuzione forzata» di essi), la  giurisprudenza aveva escluso ogni tipo di controllo («indebita  interferenza») delle autorità civili, che avrebbe rappresentato una  ingerenza di sapore giurisdizionalista, mentre la dottrina aveva  insistito sull’automaticità della cessazione degli uffici a contatto con  il pubblico ricoperti da ecclesiastici o religiosi.
La questione  che si poneva, e si pone, era quella dei casi che avessero implicato la  collaborazione degli organi dello Stato per l’applicazione, anche  forzosa, delle sanzioni ecclesiastiche. Tra questi significativa la pena  espiatoria della «proibizione o ingiunzione di dimorare in un  determinato luogo o territorio» (canoni 1336,1 e 1337 del Codice di  diritto canonico del 1983), che autorevoli giuristi consideravano da  applicare, in caso di resistenza dell’ecclesiastico o religioso  censurato al «confino» comminato, «mediante semplici misure di polizia»  (Piga). Più complessa, oggi, la questione degli effetti di provvedimenti  che comportino «per l’interessato la perdita di quel sostentamento di  cui fruisce in virtù della propria condizione di chierico o di  religioso» (Cardia) ai sensi della legge numero 222 del 1985 sul  sostentamento del clero.
Quale occasione migliore, dopo  la recente severa presa di posizione del Pontefice sugli ecclesiastici o  religiosi, colpevoli degli ormai anche troppo noti «abusi» nei  confronti di minori, per un rinnovato e quanto mai opportuno uso della  preziosa disposizione del trattato lateranense sopra ricordata, per  ottenere il rispetto effettivo delle decisioni delle autorità  ecclesiastiche e, soprattutto, l’allontanamento del colpevole dalle  «zone a rischio» con la destinazione, nel rispetto dei canoni ricordati,  del medesimo in «luoghi o territori» opportuni. 
L’indulgenza  verso i trasgressori, recentemente invocata dallo stesso Benedetto XVI è  certamente ammissibile sul piano religioso, ma essa non solo è  penalmente rilevante, ma deve in ogni caso escludere la possibilità che i  comportamenti abusivi possano essere reiterati e, quindi, che i peccati  finiscano per moltiplicarsi. Se fosse necessario non è da dubitare che  le autorità competenti dello Stato sarebbero senz’altro disponibili ad  operare nello spirito della collaborazione concordataria, limitandosi,  come ha detto la Cassazione (1980, numero 2919), a «verificare  l’autenticità dell’atto, la competenza (assoluta) dell’organo che l’ha  emesso e la non contraddittorietà all’ordine pubblico od a specifiche  leggi dello Stato».
© Copyright Corriere della sera, 15 aprile  2010