
Il Prof. Philip Jenkins in un intervista al Corriere della Sera del 27 maggio 2003 presentava la sua ultima opera - “Il nuovo anticattolicesimo: l'ultimo pregiudizio accettabile” (Ed. Oxford University Press, 2003) - indicando che il fenomeno anticattolico negli Stati Uniti può essere definito “come l'antisemitismo dell'uomo colto”.
Il professore di Storia delle Religioni  dell’Università della Pennsylvania, inglese episcopaliano, dimostra che  la Chiesa Cattolica in America è spesso considerata «un nemico  pubblico», e ridotta «a uno stereotipo grossolano», perciò gli attacchi  contro di essa, a differenza di quelli contro il giudaismo o  l'islamismo, sono quasi sempre approvati o condonati.   
Egli sostiene che il motivo di questo  pregiudizio possa essere individuato nella “centralità dei problemi  sessuali nella società americana: il cattolicesimo è considerato  antigay, antifemminista, e così via.” Nel libro Jenkins contesta questa  lettura, tanto che intitola polemicamente un capitolo "La Chiesa odia  le donne" e un altro "La Chiesa uccide i gay".   
A proposito del tema pedofilia,  nell’intervista citata il professore sosteneva (2003) che «i pregiudizi  lo hanno ingigantito. Il termine preti pedofili è discriminatorio. Gli  abusi sessuali nella Chiesa cattolica non sono più frequenti che nelle  altre chiese o tra gli insegnanti delle scuole. Inoltre, di rado si  tratta di pedofilia, perché le vittime hanno raggiunto o superato la  pubertà. Gli abusi sono orrendi, sono crimini da punire e stroncare, non  da strumentalizzare.”   
Curioso notare che sarà Paolo Mieli il  22 settembre 2004, sempre sul Corriere della Sera, a  citare ancora il libro di Jenkins per ricordarci come l'autore  “rintraccia le origini di questo forte pregiudizio nel puritanesimo  antipapista dei Padri pellegrini”.   
Facciamo così un salto indietro nel  tempo fino agli ultimi decenni del XVI secolo in Inghilterra laddove il  puritanesimo nacque come istanza di radicalizzazione della Chiesa  Anglicana da parte del protestantesimo calvinsita inglese.  Caratteristica preminente dei puritani era appunto l’antipapismo,  espressione particolare di un diffuso anticattolicesimo che ben si era  sviluppato durante il regno di Elisabetta I (1558-1603). Per questi  protestanti radicali la parola “riforma” era intesa come distruzione e  ricostruzione dalle fondamenta: «Rimuovete l'Anticristo, testa, corpo e  rami, ed insediate la purezza della Parola» (W. H.  FRERE-C. E. DOUGLAS (eds. ), Puritan Manifestoes. A  Study of the Origin of the Puritan Revolt, London, Society for  Promoting Christian Knowledge 1954, 19). L'Anticristo era la struttura gerarchica  della Chiesa anglicana, che riproduceva quella cattolica, la vera fonte  di ogni male. Il loro anticattolicesimo era così acceso che non  esitavano a definire il “Prayer book” anglicano come una liturgia  “presa da quel letamaio papista che è il libro della messa” (Puritan Manifestoes, cit., 21; H. GEE, The  Elizabethan Prayer Book and Ornaments, London, 1902, 25).   
L’obiettivo di questa lotta insistente  può essere individuato nella eliminazione della Messa cattolica,  obiettivo che aveva trovato nella Regina Elisabetta I  l’alleato decisivo quando, nel 1559, con l’Atto di uniformità  proibì la cosiddetta “Messa papista”. I Vescovi che ricusarono furono  sostituiti con altri fedeli alla Regina, numerosi sacerdoti finirono in  carcere presto destinati al patibolo. Elisabetta mobilitò spie e sgherri  a caccia dei “papisti”, colpevoli semplicemente del fatto di essere  sacerdoti e, nel caso dei laici, soltanto di essere cattolici.      
Per far fronte alla persecuzione alcuni seminari  (Douai e Reims in Francia) vennero destinati alla formazione di giovani  sacerdoti da inviare in Inghilterra e a partire dal 1578 anche il  Collegio Inglese di Roma fu trasformato in seminario per lo stesso fine.  Diversi furono i martiri che provenivano dall’istituto romano, al punto  che si meritò il titolo di Seminarium Martyrium. 
Tra questi giovani che donarono la loro  vita brilla la figura di S. Edmond Campion, gesuita che, prima di salire  al patibolo il 1 dicembre 1581,  riuscì anche a  scrivere una lettera alla Regina - la “provocazione di Campion” - in cui  smentiva le calunnie rivolte ai preti cattolici. Dei circa 140 sacerdoti e 61 laici uccisi  per ordine della Regina, 101 furono beatificati da Pio XI il 15-12-1929  e 20 furono canonizzati da Paolo VI il 25-10-1970. Questa vera e  propria persecuzione si può dire attraversò un periodo di circa 150 anni  che va da Enrico VIII  fino a Carlo II Stuart e  produsse migliaia di morti.   
Queste sono le radici di quel  pregiudizio anticattolico statunitense che Jenkins fa risalire appunto  al puritanesimo, quel puritanesimo che tanto contribuì alla nascita  dell’America. A tal proposito possiamo ricordare una recente (Zenti.org 07/09/2009) dichiarazione rilasciata dalla  Prof.ssa Elisabeth Lev, docente di Arte e Architettura Cristiane nel campus italiano  della Duquesne University, in occasione della commemorazione di Eunice Kennedy Shriver ed Edward Kennedy: “Boston è stata costruita sulle colonne  granitiche dell’anticattolicesimo. Dall’epoca dei suoi fondatori  puritani, i protestanti hanno rappresentato per tre secoli la maggior  parte della popolazione della città (…) Gli statuti puritani  settecenteschi bandivano tutti i sacerdoti dal territorio e prevedevano  la pena di morte nel caso in cui fossero tornati (nel 1690 questa pena  fu mitigata e trasformata nel carcere a vita). I cattolici sono stati  esclusi da ogni tipo di adorazione pubblica fino al 1780. Ogni 5  novembre, il Guy Fawkes Day, i bostoniani celebravano il “Pope Day” [il  Giorno del Papa] bruciando l’effigie del Papa, facendo processioni in  cui il Romano Pontefice e il diavolo camminavano mano nella mano e  compiendo atti di vandalismo contro case e uffici cattolici.”   
A proposito di queste radici si può  aggiungere anche quanto indicato da David Gelernter, docente di  Storia americana e Cultura ebraica all’American Enterprice Institute di  Washington, nel suo libro Americanism. The Fourth Great  Western Religion (Doubleday, New  York 2007).  Egli illustra, con invidiabile padronanza della  materia, quanto sia arbitrario e fuorviante non rimarcare il debito che  l’America ha nei confronti del cristianesimo evangelico e dell’ebraismo,  a tal punto, a suo avviso, da doversi considerare un’entità nata sotto  la spinta di una forma originale di Sionismo, quella coltivata dai  puritani inglesi che nel Seicento fondarono la colonia del  Massachusetts.   
Sempre in questa direzione colpisce ciò  che Vittorio Messori disse (Jesus, n. 2, febbraio 2004) nel  parlare di “american way of life”: “Il mio  "istinto" cattolico si sente estraneo a un Paese che è figlio prima del  protestantesimo radicale, poi della massoneria (tutti i Padri della  Patria erano massoni e vollero riempire dei loro simboli non soltanto il  dollaro ma ogni altro emblema, a cominciare dalle bandiere dei singoli  Stati), infine di un ebraismo, soprattutto ashkenazita, che è sceso in  profondo attraverso la cultura, i mass media, lo spettacolo.”   
Tutte queste culture citate da Messori  finiscono per incontrarsi proprio nell’antipapismo, un pensiero  che le ha storicamente attraversate, che si è coagulato in una certa  cultura americana e che non esita a fomentare un tipo di  anticattolicesimo mediatico. Oggi, in una società sempre più  informata, questa modalità di azione può essere devastante, soprattutto  perché si può sfruttare l’antico adagio per cui “una bugia ripetuta  mille volte diviene verità”, ma anche perché a partire da dati reali si  può distorcerli per raggiungere obiettivi che vanno molto oltre il dato  stesso. I tremendi casi di abusi sessuali nel clero cattolico possono  fornire un esempio di entrambe le situazioni, ma l’attacco mediatico di  natura anticattolica diviene evidente quando l’obiettivo è la persona  del Santo Padre Benedetto XVI dove oggettivamente l’impianto accusatorio  manifesta precisi intenti diffamatori.   
Tutto questo può trovare una  similitudine con quelle che sono sempre state assunte come le cause  della Riforma, infatti, le tesi tradizionali hanno sempre fatto  riferimento ad abusi e disordini diffusi nella Chiesa e in particolare  nella curia romana. Tuttavia molti studiosi dubitano che le vere cause,  quelle più profonde, possano davvero trovarsi qui. A tal proposito  risultano illuminanti alcune citazioni dello stesso Lutero: “Se anche il  Papa fosse Santo come S.Pietro, sarebbe sempre per noi un empio”,  oppure “Non impugno la immoralità o gli abusi, ma la sostanza e la  dottrina del papato” (G. Martina, La Chiesa nell’età  dell’assolutismo, del liberalismo, del totalitarismo – Morcelliana  1970, pag. 33).   
Si può compiere un passo in più citando  le bande armate di Guillame Farel, amico di Calvino, che assalivano le  Chiese cattoliche non per punire i parroci della loro immoralità, ma per  strappare loro di mano l’ostia consacrata. (L.  Febbre – Au couer religieux du XVI siecle. Paris 1957, pag. 22).    
Possiamo allora scorgere il motivo radicale  dell’avversione alla « Messa papista »: il sacrificio che si attualizza  realmente nella liturgia cattolica con il miracolo della  transustanziazione. Come diceva Paolo VI, “la S.Messa è il Sacrificio  del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari”  (Professione di Fede del 30/06/1968); lo scandalo della Croce di un Uomo  che ha detto e mostrato di essere Dio, il Figlio di Dio.   
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