DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Santa Caterina da Siena e il tesoro della Chiesa. Riflessioni per l'Anno sacerdotale

di Diega Giunta

"El tesoro della Chiesa è el sangue di Cristo, dato in prezzo per l'anima (...) e voi ne sete ministro". L'affermazione, icastica sintesi del pensiero di Caterina da Siena sul mistero e sul ministero sacerdotale, costituisce l'essenza della prima lettera che Gregorio xi riceve dalla senese poco dopo il suo arrivo a Roma (17 gennaio 1377). La sede di Pietro, dopo la lunga permanenza in Avignone, è ritornata a Roma, al "luogo suo", e il Pontefice si trova a reggere la Chiesa in tempi difficili e problematici. Urge una coraggiosa riforma dei costumi, da viversi in primis dal clero perché essa possa dare frutti duraturi nel corpo universale della Chiesa. Scosso dalla rivolta, alimentata dalla lega antipapale, capeggiata da Firenze e favorita dalle mire politiche di Bernabò Visconti, lo Stato della Chiesa perde possedimenti e città. La ribellione di Cesena (1 febbraio 1377) sedata in un bagno di sangue, è cronaca tristemente nota anche alla santa senese.
Questo lo scenario pregresso e attuale sotteso alla Lettera 209, nella quale Caterina esorta Gregorio xi, da parte di Dio, ad adoperarsi per la pace e non per la guerra: "Pace, pace, per l'amore di Cristo crocifisso!", implora la santa. Se il ricorso alle armi potrà sembrare un atto dovuto per "racquistare e conservare el tesoro e la signoria de le città", perdute dalla Chiesa, il successore di Pietro, però, non ha altro bene più prezioso da riconquistare se non quello di "tante pecorelle che sono uno tesoro nella Chiesa. (...) Meglio ci è dunque lassare el loto delle cose temporali che l'oro delle spirituali". Egli otterrà tutti e due i beni - l'onore di Dio, la salvezza delle anime e le sostanze temporali - "più col bastone de la benignità, dell'amore e pace, che col bastone della guerra", e a tal fine la senese lo richiama all'essenza del suo ministero sacerdotale.
Il sangue di Cristo, che ci lava dai peccati e dal quale traggono virtù ed efficacia i sacramenti, è affidato alla Chiesa: è il suo tesoro ed essa ne è depositaria, custode, amministratrice. Mansioni sacre e sante che Caterina esemplifica nelle immagini della "bottiga" e del "cellaio". Il Verbo incarnato e crocifisso ha fatto di sé un ponte, inarcato tra terra e cielo a colmare l'abisso che separava l'uomo da Dio per il peccato di Adamo. Costruito con pietre vive - le virtù - e murato col sangue e con la calcina della carità dell'Unigenito Figlio, il "tutto Dio e tutto uomo", il ponte è ricoperto dalla misericordia - l'Incarnazione - che ripara i viandanti dalla pioggia della giustizia divina; è inoltre munito di scala, i cui gradini - piedi, costato squarciato e bocca del Crocifisso - agevolano la salita della creatura che ha in sé ragione verso il suo Creatore e Redentore. E sul ponte-Cristo è posta "la bottiga del giardino della santa Chiesa".
La chiave della "bottiga", del "cellaio della santa Chiesa", dove è custodito il sangue, è stata data a Pietro e a quelli che gli succederanno sino "a l'ultimo dì del giudicio". Del sacro deposito "Cristo in terra" è cellario, portinaio, guardiano, e soprattutto "ministratore", poiché il "sangue de l'umile immacolato Agnello" può riceversi soltanto dalle sue mani e da quelle di coloro che egli ha unto come ministri, perché lo aiutino "per tutto l'universale corpo della religione cristiana". Dal Vicario di Cristo, dunque, s'origina "tutto l'ordine chiericato", e come ai ministri egli affida l'ufficio di "ministrare questo glorioso sangue (...), così a lui tocca il correggerli de' difetti loro" e non ad altra persona o potere: "Questi sono i miei unti, e però dissi per la Scrittura: "Non vogliate toccare i cristi miei" (Salmo, 104, 15)".
Quanto Caterina da Siena insegna sulla dignità del ministero sacerdotale trova ampia formulazione nella parte de Il dialogo della divina Provvidenza titolata "Il corpo mistico della Santa Chiesa". L'imperativo "voglio" caratterizza l'adesione di Caterina; che, com'è suo costume, addebita a sé i tanti mali che affliggono il mondo e la Chiesa: "O anima mia, oimè, tutto il tempo della vita tua Ai perduto, e però sono venuti tanti mali e danni nel mondo e nella santa Chiesa (...); e però io voglio che tu ora remedisca col sudore del sangue".
Luci e ombre, virtù e peccati dei ministri sono mostrati dall'Eterno Padre a Caterina: il servizio virtuoso del tesoro dei sangue, posto da Dio, per gratuita sua grazia, nelle mani dei prescelti, fa risaltare, per contrasto, la miseria di chi indegnamente lo amministra. Caterina è invitata a prendere coscienza dell'eccellenza e dignità del ministero sacerdotale, che Dio non ha riservato alla natura angelica, ma alla creatura che ha in sé ragione. Questa, infatti, creata per amore a immagine e similitudine di Dio e ricreata a grazia dal sangue del Figlio suo unigenito, ha "maggiore eccellenza e dignità che l'angelo".
In virtù del sangue del Verbo, l'originaria nobiltà e grandezza della creatura è sublimata dal sacramento del battesimo, che per l'efficacia della sua grazia e per il dono della fede restaura e perfeziona in lei la potenzialità che le è propria, l'attitudine ad amare. La contemplazione di tale grande dignità, ricomprata "con tanta pena sul legno della santissima croce", strappa talvolta alla santa apostrofi forti: "O ingrato uomo, che natura t'ha data lo Dio tuo? La sua. E tu non ti vergogni di tollere da te tanto nobile cosa con la colpa del peccato mortale?".
Tuttavia la vulnerabilità e la debolezza della creatura, retaggio della colpa originale, non fanno desistere l'Amore per essenza: come ha voluto l'incarnazione del Verbo per redimere l'opera delle sue mani, ribellatasi al suo progetto d'amore, così, per sostenerla e guidarla nel cammino verso di Lui, continua a scegliere i ministri tra la progenie di Adamo. Se il battesimo ridona alla creatura "la somiglianza divina perduta a causa del peccato", il sacramento dell'eucaristia, elargendole sotto la "bianchezza del pane" il corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo, la unisce in modo mirabile al suo Dio. Gli effetti spirituali sono, dunque, identici sia nel fedele sia nel sacerdote, poiché l'uno e l'altro si nutrono dello stesso pane e bevono allo stesso calice, ma è esclusivo del sacerdote il dono-potere di rendere realmente presente il Corpo e il Sangue di Cristo nel pane e nel vino. Per accostarsi a sì grande mistero si richiede a tutti purità e carità, "ma molto maggiormente Io richieggio - rileva l'Eterno Padre - purità ne' miei ministri e amore verso di me e del prossimo loro, ministrando il corpo e sangue de l'unigenito mio Figliuolo con fuoco di carità e fame della salute de l'anime, per gloria e loda del mio nome".
La speciale loro dignità richiede ai sacerdoti un adeguato stile di vita: scelti per amministrare i sacramenti, messi "come fiori odoriferi nel corpo mistico della Chiesa" e "posti come angeli, debbono essere come angeli in questa vita". Se per celebrare il sacrificio eucaristico essi esigono "la nettezza del calice", Colui che li ha elevati a tanto onore chiede loro nettezza e purezza di cuore, anima, mente, corpo. Ne consegue che devono bandire la superbia dal loro cuore, che non devono cercare "le grandi prelazioni"; che siano generosi e non avari; non vendano per cupidigia la grazia spirituale, posta da Dio nelle loro mani per la salvezza delle anime. Anche se le sostanze temporali non reggono il confronto con l'intrinseco valore dei beni spirituali elargiti dai ministri sacri, questi possono e debbono ricevere dai fedeli elemosine e beni temporali per il loro sostentamento, per sovvenire i poveri e per le diverse necessità della Chiesa.
A conforto e sostegno dei "suoi cristi", che vuole strenuamente impegnati nella sequela del Figlio Unigenito, l'Eterno Padre ricorda il vissuto esemplare di alcuni suoi "dolci e gloriosi ministri". Questi, pur nella diversità di ruoli e di carismi, con vera e perfetta umiltà e come lucerna posta sul candelabro, hanno illuminato la Chiesa e dilatato la fede: Pietro, "a cui furono date le chiavi del regno del cielo da la mia Verità", con la predicazione, la dottrina e il martirio; "Gregorio con la scienzia e santa scrittura e con specchio di vita; Salvestro contro a gl'infedeli e massimamente con la disputazione e provazione che fece della santissima fede in parole e in fatti"; Agostino, Girolamo e il glorioso Tommaso, estirpando gli errori "col lume della scienzia"; i martiri con l'effusione del sangue; i prelati scelti da "Cristo in terra" con santa e vita onesta, con vera umiltà e ardentissima carità, con la "margarita della giustizia", per la quale, avendo corretto se stessi, hanno potuto correggere e riportare sulla retta via i loro fedeli. "Come pastori buoni, seguitatori del buono Pastore mia Verità, il quale Io vi diei a governare voi pecorelle, e volsi che ponesse la vita per voi", tutti costoro hanno anteposto a loro stessi e ai personali interessi, l'onore di Dio e la salvezza delle anime, che, divenuti loro cibo, come affamati l'hanno mangiato "con diletto in su la mensa della santissima croce". Così, "come angeli terrestri e più che angeli" si sono accostati alla mensa dell'altare, celebrando "con purità di cuore e di corpo e con sincerità di mente, arsi nella fornace della carità". Hanno adempiuto anche l'ufficio proprio degli angeli: sul loro gregge hanno vigilato come custodi e guardiani, suggerendo buone e sante ispirazioni, elevando a Dio desideri e preghiere, offrendo la dottrina della parola e l'esempio della vita. Un governare umile e amabile il loro, fondato su fede solida, carità immensa, speranza viva in Dio provvidente, e ciò li ha liberati dalla preoccupazione di accantonare per loro beni materiali, anzi hanno dato con tale larghezza ai poveri che alla loro morte hanno lasciato in debito la Chiesa.
L'esemplarità eroica di così buoni e santi ministri strappa al cuore del Padre l'affettuosa esclamazione "O diletti miei!", appassionato preludio all'elogio che riepiloga e conclude quanto l'Eterno Padre ha fatto conoscere di loro a Caterina: "O diletti miei! Essi si facevano sudditi essendo prelati; essi si facevano servi essendo signori; e si facevano infermi essendo sani e privati della infermità e lebbra del peccato mortale. Essendo forti si facevano debili; co' matti e semplici si mostravano semplici, e co' piccoli, piccoli. E così con ogni maniera di gente per umilità e carità sapevano essere, e a ciascuno davano il cibo suo".
L'antitesi della "scellerata vita" di certi prelati, chierici e religiosi - posti a essere "angeli terrestri" e fattisi invece "templi del diavolo" - ha il suo triste sommario all'inizio di quei dieci capitoli de Il dialogo della divina Provvidenza, nei quali l'Eterno Padre squaderna a Caterina la cruda e nuda miseria della loro vita, perché lei e gli altri servi suoi offrano per loro "umili e continue orazioni". "Miseri tapinelli", "quanto è terribile e oscura la morte loro!". È l'amara compassione del Padre che non può abbracciare nemmeno nell'ultimo approdo il tanto atteso figliol prodigo. In quest'ora estrema, assediati dal demonio, con intollerabile confusione e con orribile chiarezza vedono la gravità del loro stato, ma non sanno affidarsi alla misericordia divina. Ben diversa l'ultima battaglia del giusto: per chi ha vissuto, lottando e vincendo il mondo, il demonio, la carne, il trapasso avviene nella pace. E il Signore suo Dio, dando al pastore fedele la corona di giustizia adorna "delle margarite delle virtù", lo saluta "angelo terrestre" e così lo elogia: "O angelo terrestro! beato te che non se' stato ingrato dei benefizi ricevuti da me e non ài commessa negligenzia né ignoranzia; ma sollicito, con vero lume, tenesti l'occhio tuo aperto sopra i sudditi tuoi, e come fedele e virile pastore ài seguitata la dottrina del vero e buono Pastore, Cristo dolce Iesu unigenito mio Figliuolo".


(©L'Osservatore Romano - 12-13 aprile 2010)