DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Un sacchetto di arance per l’emergenza educativa

GIORGIO PAOLUCCI
E
mergenza educativa: un fenomeno sulla bocca di tutti. Si levano alti lai nei confronti di 'questi ragazzi che ne combinano di tutti i colori, e non sai più come gestirli'. Si sprecano analisi e denunce, scarseggiano i rimedi Quello su cui (quasi) tutti concordano è che, dopo l’epoca del 'vietato vietare', è necessaria più severità. Tradotto: insegnanti e genitori devono diventare i poliziotti della gioventù. Bisogna tornare a punire come un tempo, altrimenti la situazione diventa ingovernabile. Ma può bastare l’adulto-sceriffo? Un episodio di cui siamo stati testimoni pochi giorni fa aiuta a rispondere agli interrogativi che molti si pongono senza trovare risposte convincenti.
Studenti di terza media in gita a Firenze, sosta per il pranzo al sacco davanti al monastero di San Marco. Dopo essersi sfamati, cominciano a lanciarsi i panini avanzati e a sbriciolare le merendine, si spruzzano addosso l’acqua delle bottigliette, mentre un gruppo improvvisa una partitella di calcio con le arance rimaste nei sacchetti. Urla, risate sardoniche, tra lo sconcerto e la disapprovazione dei passanti: ma i genitori, cosa insegnano a casa a questa gente? E i professori, i professori che fanno? Accade un fatto imprevisto: due insegnanti raccolgono le arance avanzate e le mettono in due sacchetti, altri due vengono riempiti di panini, poi si raccolgono le bottigliette d’acqua sparpagliate a terra.
Chiamano quelli che giocavano a calcio e li invitano a seguirli.
«Cosa c’è? Non abbiamo fatto niente». «Non preoccupatevi, venite con noi». Insieme vanno davanti alla loggia dell’Ospedale degli Innocenti, poco lontano, dove bivaccano alcuni anziani clochard.
Un insegnante avvicina quell’umanità dolente e chiede: «Volete qualche panino? Non vi offendete?» Sui volti di quegli uomini si accende un sorriso, le mani si allungano verso i sacchetti. «Serve anche dell’acqua?». «No grazie, ne abbiamo ancora un po’». Ma come, avrebbero potuto farne scorta… e invece no, può servire ad altri. Dal colonnato spunta una donna malvestita, gli occhi scavati e lo sguardo fiero: «Ho sei bambini, sei… posso averne un po’ anch’io?». Restano da distribuire le arance, e gli sguardi dei barboni s’illuminano: «Che meraviglia, la frutta!».
I due prof tornano verso il monastero di San Marco, seguiti dai ragazzi che si guardano tra loro quasi increduli, gli occhi bassi, e commentano: «Ma hai visto quello come ha preso le arance? E quell’altro che non ha voluto la bottiglietta d’acqua?». La bravata da cui tutto era nato ha lasciato il posto allo stupore per qualcosa di grande di cui erano stati testimoni e involontari protagonisti.
Qualcosa di più grande della loro inettitudine che ha reso evidente, nell’impatto con la domanda presente in quell’umanità bisognosa, la piccolezza del loro comportamento.
La realtà insegna più di tante prediche sui valori. Basta saperla guardare con occhi sinceri. Ma per questo ci vuole qualcuno che educhi a guardarla così. Qualcuno capace di prendere per mano dei ragazzi che, prendendo a calci le arance avanzate dal loro pranzo, prendono a calci la loro vita. E che della vita possono riscoprire il significato e il valore avendo davanti agli occhi qualcuno che non si aspettavano. Quei due insegnanti si sono risparmiati l’ennesima e prevedibile ramanzina, hanno fatto lezione fuori dalla classe. Una lezione di vita fatta di poche parole e di un gesto capace di risvegliare domande che ognuno si porta nel cuore. E così hanno conseguito un piccolo-grande traguardo educativo che nessuno 'sceriffo' avrebbe saputo conseguire.


© Copyright Avvenire 23 aprile 2010


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