DA MILANO VIVIANA DALOISO
A nche Vittorino, non doveva nascere. Lo avevano condannato a morte una diagnosi errata – secondo cui sarebbe venuto al mondo con una malformazione cerebrale – e la scelta della sua mamma per l’aborto 'terapeutico'. Non doveva nascere, Vittorino, ma quel 27 febbraio del 1999 qualcuno si accorse che il piccolo respirava, e lottava per vivere.
È quasi sera, l’ambulanza entra d’urgenza al Policlinico San Matteo di Pavia, meta la divisione di patologia neonatale e terapia intensiva. Ai sanitari viene raccontato in fretta l’accaduto: quel 'feto', 'abortito', respira e si muove. Sono le parole della medicina, ma per i medici che le ascoltano, guardando le manine già ben disegnate del piccolo, suonano subito fuori luogo.
Giorgio Rondini, all’epoca primario del reparto, ha ancora negli occhi il corpicino: «Era la prima volta in assoluto che ci capitava una cosa del genere – ricorda il professore –. Il piccolo pesava appena 800 grammi, aveva forse 25 settimane, più o meno 180 giorni di vita. E non aveva nessuno, era stato rifiutato dalla sua stessa mamma. Questo fatto ci commosse subito, bastò un attimo perché ci sentissimo tutti genitori, e facessimo il nostro possibile per proteggerlo e salvargli la vita».
L’équipe del San Matteo si concentra sul bimbo, 24 ore su 24: la culla termica, la ventilazione artificiale, l’alimentazione tramite fleboclisi. I giorni passano – cinque, dieci – e il piccolo continua a respirare, lotta. Le infermiere portano carillon e pupazzetti, colorano il muro dietro i macchinari, attaccano ciondoli e campanelle. E gli dannon no un nome, anche: scelgono 'Vittorino', «forse non un gran che per un neonato d’oggi, ma lui aveva vinto la sua battaglia per la vita, e doveva vincere quella per la sopravvivenza – spiega Rondini –. Ci parve l’idea migliore».
Intanto gli esami portano a una incoraggiante, e insieme sconcertante, verità: i medici cercano la malformazione cerebrale di Vittorino, di cui a prima vista non c’è traccia. La cercano e la trovano. Scoprono solo una piccola emorragia, un versamento che poteva simulare all’ecografia l’ipotesi di un idrocefalo (una malformazione che compromette lo sviluppo del cervello), ma che può essere riassorbito con un piccolo intervento. Vittorino, rifiutato dalla madre perché creduto malato, è sano.
I giorni continuano a passare, la storia del bimbo 'adottato' al San Matteo commuove tutti: il 16 marzo in ospedale arriva l’allora assessore ai Servizi sociali del Comune di Pavia, Sergio Contrini, con un’idea che piace subito a tutti: in accordo con il Tribunale dei minori di Milano, Contrini è pronto a diventare il tutore di Vittorino. «In questo modo – spiega lo stesso Contrini, oggi presidente dell’Azienda di servizi alla persona di Pavia – in tempi brevissimi sarebbe stato possibile darlo in adozione ». Già, perché nel frattempo alla storia di Vittorino si è interessata una coppia. Una coppia che gli assistenti sociali e lo stesso Tribunale trovano idonea ad accogliere il piccolo, considerando la sua drammatica storia e le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare nei primi mesi di vita: «Li incontrai di sfuggita – continua Contrini –, erano persone straordinarie».
Vittorino cresce, si rafforza, arriva alle 30 settimane, le supera: al San Matteo non hanno più dubbi, il pericolo è scampato. «Ricordo ancora il giorno che arrivò l’ambulanza per portarlo via – ricorda Rondini –. Lo trasportarono in un ospedale di Milano, forse più vicino alla sua nuova famiglia. Oggi sappiamo solo tramite gli assistenti sociali che sta bene, che ha compiuto da poco undici anni, che non sa e non saprà mai nulla della sua storia, o di noi». Di quei medici che hanno creduto nella sua vita, e lo chiamano ancora Vittorino.
«Signora, ci sono gravi malformazioni cerebrali. Meglio abortire». Ma il piccolo sopravvisse all’interruzione ed era anche sanissimo. Al San Matteo di Pavia una gara di solidarietà tra medici e infermiere
© Copyright Avvenire 28 aprile 2010