DI VINCENZO R. SPAGNOLO
« F ino a qualche mese fa, avevamo previsto per il 2010 un raccolto non molto diverso dall’anno passato. Ma adesso ci sono novità estremamente importanti: recentemente abbiamo verificato in Afghanistan, nelle zone delle colture di oppio, il diffondersi di una “pestilenza” che sta colpendo il bulbo del papavero. Riteniamo che le province di Helmand, Kandahar e Uruzgan, centri della coltivazione, saranno severamente colpite, probabilmente con una riduzione delle coltivazioni da oppio del 25-30%. Una cosa di estrema importanza per il Paese e per l’esito positivo della nostra lotta al mercato della droga».
A parlare è Antonio Maria Costa, vice- segretario delle Nazioni Unite e direttore dell’Unodc (United nations office on drugs and crime). A fine maggio partirà per l’Afghanistan, ma in questi giorni è di passaggio a Roma. E da qui annuncia l’esistenza di un virus-killer che starebbe sterminando i papaveri, con conseguenze sulla futura produzione del principale “bene” d’esportazione di un Paese, l’Afghanistan, dove si produce oltre il 90% per dell’eroina che avvelena il pianeta.
Un virus naturale, come quello che colpisce le palme nei Paesi del Mediterraneo? O inventato in qualche laboratorio occidentale per porre fine alla narco-minaccia afghana? «Una domanda-chiave, ma alla quale non so però rispondere – dice Costa –. Mi risulta che sia un agente naturale che uccide il bulbo. Ma comunque, non sarebbe la prima volta: una decina d’anni fa, un virus simile sterminò i papaveri in Uzbekistan ». Il calo delle coltivazioni dovuto al misterioso virus seguirebbe quello già registrato, per altri motivi, lo scorso anno. Nel 2009, secondo l’Unodc, la coltivazione di oppio era già scesa del 22%, interessando una superficie di 123mila ettari, rispetto ai 157mila del 2008 e ai 193mila dell’anno prima. Nel 2010, spiega il vice di Ban Ki-Moon, se l’assassino “biologico” dei papaveri continuerà a fare il suo lavoro, il calo potrebbe essere anche più imponente.
Ma in terra afghana e nei Paesi confinanti potrebbero registrarsi diverse conseguenze, da non sottovalutare: «Ci sono implicazioni di tipo economico e strategico. Ovviamente, i contadini che coltivano il papavero e raccolgono l’oppio saranno colpiti e perderanno una importante parte del loro reddito: c’è il timore che il diffondersi di questa epidemia, che è una malattia naturale, possa indurre una parte dei contadini ad affiancare gli insorti. D’altra parte, sappiamo che i taleban conservano uno stoccaggio di oppio e di eroina molto grande. Il possibile aumento del prezzo dovuto alla moria dei papaveri di quest’anno rivaluterebbe le loro scorte, dando loro la capacità di rafforzare le proprie capacità belliche. Speriamo che le forze di guerra e di pace presenti in Afghanistan, ossia la Nato, ma anche le organizzazioni internazionali che assistono la popolazione, possano contribuire all’economia delle regioni colpite per permettere ai contadini di sopravvivere allo choc economico determinato dal virus che uccide i papaveri ». Un anno fa, Costa aveva anche invocato l’aiuto delle forze Nato per la distruzione dei depositi di stoccaggio. «Distruzione che è avvenuta intensamente nel 2009, quando sono state compiute oltre 200 operazioni militari contro i laboratori, i convogli di droga e lo stoccaggio – spiega il direttore dell’Unodc –. Nel 2010, invece, le operazioni militari nella provincia di Kandahar sono state così imponenti da porre in secondo piano qualsiasi intervento contro i signori della droga».
© Copyright Avvenire 1 maggio 2010