DA ROMA ROBERTO I. Z ANINI
U na volta c’era la réclame e la pubblicità serviva per far conoscere il marchio. Il filosofo Immanuel Kant, alle soglie dell’800, sovrapponeva il concetto di pubblicità a quello di trasparenza. Pubblicità era ciò che serviva a far conoscere il prodotto in funzione del media utilizzato come veicolo. Oggi siamo passati all’era della pubblicità autoreferenziale, pedagogica in senso stretto, per la quale il marchio è un pretesto per promuovere un mito, uno stile di vita, con la maggior parte dei media concepiti in funzione della pubblicità, non per essere veicoli di informazioni.
Insomma, quella che un tempo era l’anima del commercio, ha soffocato l’anima della comunicazione, ha rubato l’anima del prodotto, ha comprato quella del consumatore, che, come Dorian Gray, guarda in uno spot e si vede sempre giovane. Un fenomeno interessante, forse il più significativo dell’era moderna, senza dubbio il più pervasivo e condizionante, perché coinvolge tutti i sistemi di comunicazione: politica, economica, giornalistica. Comprenderlo diventa essenziale per conservare spazi di libertà o riappropriarsene.
È in questa direzione che si muove 'Il libro nero della pubblicità', di Adriano Zanacchi, esperto di comunicazione, già docente alla Sapienza e alla Pontifica università salesiana, che di pubblicità si è occupato per decenni in Rai e all’Istituto di autodisciplina pubblicitaria. Ieri, presentando il suo lavoro, in un incontro organizzato presso la sede della Federazione nazionale della stampa dall’editore Jacobelli, l’autore ha sottolineato di averlo scritto, non solo come strumento di denuncia e informazione, ma come «atto di fede in una società migliore».
Il problema esiste e bisogna imparare ad affrontarlo. Gli interventi dei relatori, coordinati dal senatore e giornalista Roberto Di Giovan Paolo, non hanno fatto altro che confermarlo. Il presidente della Fnsi, Roberto Natale, ha puntato il dito sulla commistione fra i vari generi di comunicazione, per la quale la stessa persona si può trovare a fare pubblicità, scrivere sui giornali, sceneggiare fiction, fare uffici di politici e di aziende. Così come, nei fatti, non esistono quasi più gli editori puri, «ma ci sono tante vie industriali alla comunicazione: quella automobilistica, quella cementiera, quella edile-immobiliare, quella sanitaria...». Forse, ha detto Natale, un salvagente potrebbe venire dall’emancipazione della Rai dalla pubblicità, rendendola realmente un servizio pubblico.
Una pia illusione? Ciò che non è illusione è la direttiva europea, recepita nel cosiddetto decreto Romani, che introduce il 'product placement' anche per le fiction tv. Si tratta della possibilità di introdurre pubblicità all’interno dell’opera. Una cosa che esisteva già per il cinema, legalizzata alcuni anni fa dall’allora ministro Urbani, e che portata in tv aggrava, nei fatti, il rischio di vedere sceneggiature realizzate per sostenere un certo tipo di prodotto.
L’immagine dei pubblicitari è stata in qualche modo difesa da Anna Innamorati, presidente dell’agenzia MCan Erikson, che ha stigmatizzato la demonizzazione della pubblicità, anche se lei stessa ha detto di temere il condizionamento dello sponsor sull’informazione e sulla tv. Una critica al celebrato sistema di autodisciplina della pubblicità è venuta dal presidente dell’Aiart e del Consiglio degli utenti Luca Borgomeo, per il quale sarebbero necessarie regole esterne, «che vanno fatte rispettare».
Intanto dobbiamo prepararci a forme nuove di invasione e pervasione pubblicitaria, che ci inseguono tracciando il nostro identikit di consumatori attraverso la molteplicità dei nostri passaggi su internet, oltre che dei nostri acquisti al supermercato o con le carte di credito. Forse la verità è nel paradosso di uno dei tanti pubblicitari pentiti ampiamente citati da Zanacchi, tale Frédéric Beigbeder: «Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma».
Un libro di Adriano Zanacchi insegna a riconoscere gli inganni di un potere economico che intride ogni forma di comunicazione. Borgomeo: mancano le regole. Natale: almeno liberiamo la Rai
© Copyright Avvenire 1 maggio 2010