DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

AMMAZZARSI PER TÉLÉCOM. In due anni si sono uccisi 50 dipendenti dell’azienda francese. Adesso le terrazze sono inaccessibili


Con oltre 193 milioni di clienti in 32 paesi, France
Télécom è il maggior operatore telefonico francese.
Amministrata dallo Stato fino al 1997, è prima diventata
una società anonima, poi, dal 2004, un gruppo privato. Con
il 26,65% del capitale lo Stato ne è azionista di riferimento.
Il 70% dei 100.000 dipendenti ha mantenuto lo status di
dipendente pubblico che protegge dai licenziamenti, uno
su tre ha un contratto di diritto privato. Tra gli stipendiati
ci sono anche 80 medici. Otto si sono da poco dimessi.
Nel 2006, per ripianare i 110 miliardi di euro di debiti,
la società ha avviato un duro piano di ristrutturazione. In
due anni sono stati tagliati 22mila salariati, 10.000 sono
stati trasferiti. Per i sindacati il piano, basato sugli
incentivi all’abbandono volontario, si è tradotto in
pressioni su alcuni dipendenti affinché se ne andassero
senza far problemi, e nel progressivo aumento dei carichi
di lavoro e delle responsabilità per quanti rimanevano.
Dal 2002 ogni dipendente di France Télécom ha
cambiato posto in media ogni 27 mesi e luogo di lavoro
ogni trenta. Conseguenze: un tasso di dimissioni passato
dal 4 al 15,3%, almeno un mese di malattia a testa nel 2008
ecc. Nell’ottobre 2009 la società ha deciso di sospendere
per alcuni mesi la mobilità interna, tra le principali cause
dello stress. Il primo suicidio in azienda, nel febbraio
2008, fu liquidato come «un doloroso caso personale».
Didier Lombard, ex presidente e amministratore delegato
del gruppo, arrivò a parlare di «mode du suicide» (moda
del suicidio), poi si scusò. La maggior parte dei suicidi è
avvenuta tra i quadri e gli ingegneri, cinquantenni al
massimo, spostati da un giorno all’altro in sedi di lavoro
lontane anche cento chilometri da casa e spesso
dequalificati. Per il direttore delle risorse umane del
gruppo, Olivier Barberot, il tasso di suicidi in azienda
negli ultimi dieci anni non è aumentato, è rimasto a quota
2,15 ogni 10mila dipendenti. In un recente sondaggio
interno il 25% dei dipendenti di France Télécom ha detto
di sentirsi in «situazione di rischio», il 39% che le sue
condizioni di salute «si sono degradate negli ultimi cinque
anni a causa dell’attività lavorativa».
Il 9 aprile scorso il tribunale di Parigi ha aperto
un’inchiesta per mobbing sulla base di un rapporto
dell’ispettorato del lavoro secondo il quale l’operato di
France Télécom ha danneggiato, fino a metterla in
pericolo, la vita di alcuni dipendenti.
Da gennaio il quartier generale della Orange Business
Service (la filiale che si occupa di servizi sia nel campo
della telefonia fissa sia di quella mobile) è un immobile di
31mila metri quadrati a pochi chilometri da Parigi. Nella
nuova sede le terrazze sono inaccessibili, le finestre
bloccate, le luci soffuse in modo da evitare ansie: tutto a
prova di suicidio.


Sono cinquanta tra impiegati
e manager i dipendenti di
France Télécom che si sono
ammazzati da febbraio 2008
a maggio 2010. L’azienda ha
riconosciuto come «incidenti
sul lavoro» solo tre suicidi. Tutti gli
altri sono stati archiviati come «dramma
personale».
2008
Suicida n° 1 Un uomo di anni 51. Tecnico
di un’unità di intervento, degradato
a centralinista di call center, tra
le altre cose gli toccava subire le Orange
journey, giornate di formazione in
cui i dipendenti, «per esprimere la
propria aggressività», erano costretti
ad avvolgersi il capo in bandane arancioni
(come i colori sociali). Il 19 febbraio
si impiccò in azienda.
Suicidi dal n° 2 al n° 6 Il 29 marzo un
tecnico dell’unità di intervento Pays
de Loire ricollocato in un call center. Il
17 maggio un tecnico dell’unità di intervento
Alsace Lorraine, ricollocato
pure lui. Il 19 maggio un tecnico dell’unità
di intervento Normandia. Il 24
maggio un tecnico dell’unità di intervento
Alsace Lorraine («Non riusciva
ad assimilare le nuove tecniche», fece
sapere il sindacato Cgt). Il 29
maggio un tecnico dell’unità
di intervento Normandia.
Suicida n° 7 Jean-Michel,
53 anni. Sposato, padre di tre
figli, in France Télécom dal
1993 come tecnico specializzato
nei satelliti, nel 2003
era stato ricollocato come
venditore in un call center.
Ossessionato dal
motto aziendale
«evolversi, adattarsi
», terrorizzato dalle
rigide direttive
(5,2 chiamate l’ora,
un minuto e trenta
per compilare il report,
raggiungere
almeno il 60%
dell’obiettivo pena
trasferimento, ecc.),
avvilito dai capi che
lo prendevano in giro per gli scarsi risultati
(«buon venditore porta a casa i
soldi»), più volte aveva chiesto di essere
trasferito altrove, anche a fare il
magazziniere, ma non l’avevano mai
accontentato. Il 2 luglio, dopo aver telefonato
a mezzo mondo, alle 18.15
chiamò anche la collega e sindacalista
Anne-Marie e le disse che si voleva
ammazzare, lei cercò di tirarlo su finché
alle 19.15 sentì il fischio del treno
sotto il quale Jean-Michel s’era buttato,
lasciandosi stritolare. Una lettera,
per la direzione di France Télécom:
«Quando lavoravo ero solo un automa
davanti a uno schermo. Il fatto stesso
di essere rinchiuso tra queste mura mi
demoralizzava. Io non chiedevo molto.
Solo fare un lavoro più manuale e tecnico
come lo chiedevano per me la dottoressa
e l’assistente sociale. […] Ecco
adesso potete dormire tranquilli. Vi libero
di me. Era il vostro scopo? A
quanto dite per me non c’è nient’altro.
Siete una banda di carogne pronte a
tutto per liberarvi della gente in difficoltà
o che dà fastidio. Tutti i mezzi sono
buoni per raggiungere i vostri obiettivi.
È l’unico punto sul quale siete tutti
d’accordo. Le uniche soluzioni per
noi sono o andare via o farla finita, come
me».
Suicidi dal n° 8 al n° 11 L’1 settembre
un tecnico si buttò da una falesia, nello
stesso giorno un impiegato si impiccò
nella sede Philippe Auguste di
Parigi. Il 16 settembre si uccise un
informatico, nella sua casa a Lille. Il 9
novembre un tecnico dell’unità di intervento
Picardie.
2009
Suicida n° 12 Guy, 38 anni. Tecnico
nella sede di Toulon-Devaly, il 28 gennaio
si impiccò a casa sua. Una poesia,
inviata ai colleghi via mail, dal titolo
“Fine di me”.
Suicida n° 13 Il 3 aprile un incaricato
Affari dell’unità di intervento Hautde-
Seine (a Nanterre) non si presentò
al lavoro. Due colleghi lo andarono a
cercare a casa e lo trovarono che penzolava
dal soffitto.
Suicidi n° 14 e 15 Il 7 aprile si sparò
in azienda un tecnico dell’unità interventi
Normandia a Quincampoix. L’8
aprile si uccise un tecnico dell’unità di
intervento Bretagne a Guingamp.
Suicida n° 16 Anne Sophie C., 42 anni.
Ingegnere dal 1997 nella sede di
Fulton a Parigi, negli ultimi anni era
stata ricollocata quattro volte, da ultimo
nella Gestione relazioni clienti. Il
20 aprile si buttò dalla finestra.
Suicida n° 17 Joël, 44 anni, tecnico
nella sede Kellermann di Parigi, depresso
da quindici anni per non aver
realizzato il sogno di diventare ballerino
(raccontava a tutti di essersi esibito
con un gruppo trasgressivo al “Coconut
club”, ma nessuno gli credeva),
viveva al sesto piano, nella banlieue,
un divano letto di stoffa, pavimento di
lineolum. Il 25 maggio aprì la finestra
e si buttò di sotto. Una mail, piena di
parole di odio per France Télécom.
Suicida n° 18
Un’impiegata
del call service
d i
S a i n t
Lo. Saputo
che l’avrebbero
spostata in un negozio a far la venditrice,
si tagliò le vene con uno
scalpello.
Suicida n° 19 Michel Deparis, 51 anni,
celibe, due sorelle, impiegato quadro,
da trent’anni in France Télécom
nella sede in via Réattu, a Marsiglia.
Sportivo, grande appassionato di maratona,
aveva corso anche quella di
New York. La notte tra il 13 e il 14 luglio
(festa nazionale) si impiccò in casa
sua. Il cadavere, trovato la mattina dopo
dalla sorella Veronique. Una lettera:
«All’attenzione della mia famiglia.
E dei miei colleghi di lavoro. Diffondere
questa lettera ai miei colleghi e
ai delegati del personale. Mi suicido a
causa del lavoro a France Télécom. È
la sola causa. Urgenza permanente, sovraccarico
di lavoro, assenza di formazione,
disorganizzazione totale dell’impresa.
Management attraverso il
terrore! Tutto ciò mi ha totalmente disorientato
e perturbato. Sono diventato
un relitto, meglio finirla. […] PS: lo
so che molte persone diranno che ci
sono altre cause (sono solo, celibe, senza
figli, etc.). Ma no, con tutto questo
me la sono sempre cavata bene. È proprio
il lavoro l’unica causa». I familiari
non vollero ai funerali i dirigenti di
France Télécom, che liquidò il suicidio
come «Dramma personale». La sorella
Christine: «Non ci hanno fatto
neanche le condoglianze».
Suicida n° 20 Un tecnico dell’unità di
intervento Bretagne a Quimper. Il 30
luglio, giusto un giorno prima di rientrare
al lavoro dopo le ferie, s’arrampicò
su un ponte e si buttò di sotto.
Suicida n° 21 Nicolas G., 28 anni. Assunto
nel 2005 come tecnico interventi
rete, spostato agli interventi clienti nel
gennaio 2009, costretto a turni di 48 ore
settimanali, sempre più depresso, negli
ultimi tempi aveva persino smesso
di frequentare il cliccatissimo sito viedemerde.
fr (vitadimerda.fr), dove i ragazzi
infelici si autoderidono e dove
lui lasciava aneddoti di questo tipo:
«Oggi incontro un amico per strada.
Non mi vede e allora gli telefono. Lui
tira fuori il portatile, guarda chi chiama,
sospira e non risponde». O ancora:
«Oggi è il mio compleanno e i miei colleghi
di France Télécom mi hanno offerto
un deodorante». L’11 agosto, dopo
aver cercato di telefonare all’ex fidanzata,
si impiccò nel suo garage a Besançon.
Una lettera: «Il mio lavoro mi
fa soffrire. France Télécom mi ha messo
nella merda finanziariamente facendomi
cambiare lavoro. Oggi mi
hanno insultato, vessato, urlato. Ho
chiesto aiuto ma niente la gente se ne
fotte. Sono a disagio con i clienti, il lavoro
fa schifo e la gente è stronza (anche
cretina). I soldi... anche questa settimana
faccio 48 ore. Lavoro dalle 8 alle
19.30 con mezz’ora di pausa e capi e
colleghi non mi rispondono quando li
chiamo. Sono arrabbiato con France
Télécom. France Télécom è largamente
responsabile di quel che mi succede.
Bisogna fare una dichiarazione
d’incidente sul lavoro».
Suicida n° 22 Michel, 53 anni. Sposato,
padre di tre figli, tecnico della rete
ad alta velocità (Côte d’Amor Bretagne).
Il 29 agosto si suicidò a casa sua.
Suicida n° 23 Stéphanie detta Fanny,
32 anni. Single, abitava in 40 metri
quadri al piano terra di un vecchio immobile
a Sainte-Mandé, vicino a Parigi,
con un coniglio di nome Zébulon e
un gatto battezzato Frimousse. Uniche
note colorate dell’appartamento, un
vaso di fiori finti sul camino e una riproduzione
di Miro, il suo artista preferito.
Nessuna foto di se stessa: dopo
che gli era morta la madre era diventata
bulimica, prendendo 25 chili in
cinque anni, e da allora si sentiva brutta
e goffa. Laureata in Legge, entrata a
France Télécom a 23 anni («L’inizio
dell’inferno», secondo suo padre Guy,
63 anni), ricollocata due volte durante
la ristrutturazione, da qualche mese
aspettava il terzo trasferimento. L’11
settembre si cambiò d’abito tre volte,
alle 18 aprì la finestra del suo ufficio,
al quarto piano di un’elegante palazzina
in rue Médéric, e si buttò di sotto,
andando a schiantarsi sul marciapiede.
Gli allievi cuochi della scuola alberghiera
lì di fronte, in testa il lungo
cappello bianco da cucina, sentito il
tonfo si precipitarono a soccorrerla:
«Aveva freddo, ha chiesto una coperta
e se l’è tirata sopra il viso».
Morì in ospedale dopo un paio
d’ore d’agonia. Una mail, a suo
padre Guy, inviata alle
17.10: «Buona sera papà,
quando ti ho chiamato
questa mattina mi hai
detto che non sembravo
in forma. Hai ragione. Le
mie pulsioni suicida sono
tornate. Ho deciso di
farlo questa sera. Oh, è
inutile avvisare il proprietario
perché metterò fine ai
miei giorni al lavoro. Il mio capo non
lo sa ma sarò la 23esima impiegata a
suicidarsi. Non accetto la nuova riorganizzazione
del servizio. Cambio capo
e, per avere qual che sto per avere,
meglio morire. Lascio la mia borsa con
portatile e chiavi in ufficio. Porto con
me la carta di donatrice d’organi, non
si sa mai... A parte questo, non dimenticare
di andare a prendere Zébulon e
Frimousse per dar loro da mangiare.
Mi dispiace che tu debba ricevere questo
genere di messaggi ma sono più
che persa. Ti voglio bene papà. Stéphanie
» (il suicidio di Fanny è tra gli unici
tre archiviati da France Télécom come
«incidente sul lavoro»).
Suicida n° 24 Jean-Paul Rouennais,
51 anni. Sposato con Annie, padre di
due figli di 12 e 7 anni, dopo che l’avevano
degradato da tecnico a centralinista
s’era convinto d’essere rimbambito,
tanto che di continuo ripeteva
agli amici: «Quando uno rimbambisce
mica se ne accorge». Il 28 settembre
comprò un biglietto del cinema, poi
cambiò idea, guidò fino a un viadotto
sull’autostrada A41, all’altezza di Albysur-
Chéran (Haute-Savoie), scavalcò il
parapetto e si buttò di sotto. In macchina
una lettera alla moglie, nella
quale accusa France Télécom: «Mi
hanno ucciso loro, rendendomi la vita
impossibile» (secondo caso archiviato
come «incidente sul lavoro» dopo una
mobilitazione di tutte le federazioni
sindacali e un’indagine dal Comité
d’Hygiène, de Sécurité et des Conditions
de Travail).
Suicida n° 25 Alain, 48 anni. Sposato,
padre di tre figli, «sorriso fiero e allegro
», amava le barche e le maree, dipingeva
i paraggi della sua Bretagna.
Da tredici anni ingegnere della direzione
Ricerca e sviluppo, era considerato
come uno dei migliori elementi
della sede di Lannion (Côte d’Amor),
però gli avevano sospeso la sua promozione
nella sede di Rennes e lui
s’era fatto sempre più
cupo e depresso, tanto
che da luglio stava
in malattia e a un collega
aveva confidato il
terrore che l’azienda
lo mettesse in mobilità
forzata. La mattina del
15 ottobre la moglie,
tornando a casa con le
buste della spesa, lo
trovò che penzolava
dal soffitto della camera
coniugale. Una lettera,
dove si lamentava perché non l’avevano
promosso a Rennes.
Suicidi dal n° 26 al n° 29 Il 14 novembre
un agente clienti della direzioni
Grandi conti a Lanester (Morhiban). Il
4 dicembre un impiegato di call center
nell’Isère. Il 5 dicembre un impiegato
di Globecast a Parigi, nel terzo arrondissement.
Il 6 dicembre un quarantatreenne
addetto all’estrazione dei dati
a Villeneuve-d’Ascq.
Suicidi dal n° 30 al n° 34 Alla fine del
2009 la direzione di France Télécom
parlò di 34 suicidi tra i dipendenti: di
cinque non si ha traccia.
2010
Suicidi dal n° 35 al n° 42 Il 2 gennaio
si impiccò un impiegato di Arceuil, 33
anni. Lo stesso giorno si sparò un impiegato
di Quimper di recente spostato
al Servizio soluzioni clienti. Il 26
gennaio si suicidò un tecnico cinquantenne
ricollocato al centro d’ascolto di
Hirson. L’8 febbraio un tecnico dell’unità
intervento Normandia fu trovato
in un bosco che penzolava da un albero.
L’11 febbraio un quadro trentenne
si suicidò nella sua casa di Dijon. Il
giorno dopo s’ammazzò un project designer
cinquantatreenne dell’unità di
intervento di Parigi, in malattia per
depressione. Il 19 febbraio un cinquantaquattrenne,
degradato al call
service di Lens, si fece soffocare dai
gas di scarico della sua auto. Il 20 febbraio
si tagliò le vene un’impiegata
dell’unità di intervento Nord Pas-de-
Calais (era in malattia perché ci aveva
già provato).
Suicida n° 43 Un’impiegata di 50 anni.
Ricollocata dalla direzione del Servizio
clienti al Contatto clienti, chiese
più volte il trasferimento, che le fu
sempre rifiutato. Il 24 febbraio, dopo
l’ennesimo vano colloquio con la responsabile
delle risorse umane, tornò
a casa sua e mandò giù una boccetta di
barbiturici.
Suicida n° 44 Daniel D., 54 anni. In
France Télécom come tecnico da venticinque
anni, ricollocato, dal primo
novembre 2009, come agente di commercio,
il 25 febbraio si suicidò.
Suicida n° 45 Joël C., 51 anni. Sposato,
tre figli, manager del call center
tecnico di Lille. La notte tra il 10 e l’11
marzo si suicidò a casa sua.
Suicida n° 46 François R., 50 anni.
Impiegato di Lione, prima tecnico e
poi addetto alla fatturazione, spesso in
malattia per problemi di salute, «solitario
», il 21 marzo si buttò dalla finestra.
Suicida n° 47 Martine C., 47 anni. Assistente
della Gestione risorse umane
nell’agenzia Pro di rue Philippe Auguste
a Parigi, in malattia da mesi, il 12
aprile si uccise a casa sua.
Suicida n° 48 Una donna di anni 31.
Impiegata alla direzione Ricerca & sviluppo
a Issy-Les-Moulineaux il 23 aprile
aprì una finestra di casa sua e si
buttò di sotto.
Suicida n° 49 Dominique D., 52 anni.
Tecnico a Lille, mai colpito dalla ristrutturazione
di France Télécom, separato
e padre di quattro figli, il 9 maggio
si impiccò nella sua casa di Loos.
«Il suo responsabile, preoccupato di
non vederlo al lavoro, lo ha trovato a
casa morto» (il portavoce di France
Télécom).
Suicida n° 50 Denis D., 59 anni. Vicedirettore
di un’Agenzia vendita e servizio
clienti, in malattia per depressione,
nella notte tra il 10 e l’11 maggio, a
Marq-en-Baroeul, nei pressi di Lille,
s’arrampicò su un ponte pedonale e si
buttò di sotto. Una mail, al suo superiore,
per dire che s’era ammazzato
per «motivi personali».
Aspiranti suicidi Tentativi di suicidi
a France Télécom negli ultimi due anni:
36. Il caso più brutale e spettacolare,
quello di Yonnel Dervin, sposato e
padre di un ragazzo di 23 anni, che il 9
settembre 2009, a 49 anni, di cui trenta
passati dentro France Télécom, fu declassato
da ingegnere per i sistemi
aziendali ad addetto guasti per i clienti
privati, sentendosi dire dalla direzione:
«Caro Yonnel, alla tua età non ci
sono più prospettive di carriera, sei arrivato
al massimo delle tue capacità».
Il giorno dopo alle 8.30, durante la riunione
che avrebbe reso ufficiale la
riorganizzazione della sede France
Télécom di Troyes, quando arrivò il
suo turno Yonnel, alto, stropicciato, il
volto grigio, si alzò in piedi, si mise a
parlare dei disagi e del malessere dei
dipendenti e mentre parlava, senza
tremori, tirò fuori un coltello e se lo infilò
nella pancia. Salvato, si fece poi intervistare
accanto alla moglie, in tuta e
pantofole, nel salotto di casa con le pareti
rosse: «Avrei preferito morire.
Nella mia testa vedo ancora tutto nero
».

Moda dei suicidi «Bisogna finirla con
questa moda dei suicidi» (l’ex presidente
e amministratore delegato di
France Telecom Didier Lombard, che
poi si dovette scusare per la frase).
(A cura di Jessica D’Ercole
e Roberta Mercuri)

© Copyright Il Foglio 17 maggio 2010