DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Gli uomini s’impiccano, le donne preferiscono il veleno

Il termine suicidi, mancato a lungo nelle principali lingue
europee, è stato introdotto da Sir Thomas Browne in
un’opera pubblicata nel 1642, con riferimento al suicidio
pagano di Catone per distinguerlo dal self-killing condannato
dal cattolicesimo.
La più importante teoria sul suicidio è del sociologo
francese Émile Durkheim (Il suicidio. Studio di sociologia,
1897): l’integrazione (troppo alta o troppo bassa) e la regolamentazione
sociale (troppa o troppo poca) sono le
grandi cause delle morti volontarie.
Nell’antica Roma agli uomini liberi era consentito togliersi
la vita per un gran numero di motivi: una malattia,
la paura, il desiderio di vendetta, la perdita di
una persona cara, il furor (cioè un eccesso di follia).
Non c’era la stessa tolleranza per il suicidio di militari
o schiavi.
Per secoli il suicidio è stato considerato più grave di un
omicidio. Tra il 1600 e il 1700 i cadaveri degli uomini che
si erano tolti la vita venivano impiccati, quelli delle donne
bruciati. I corpi erano sepolti fuori dalle città, lontani
dai vivi, dalle chiese e dalle tombe dei santi.
William Shakespeare. Nelle sue pièces si tolgono la vita
24 personaggi.
Dopo il 1680 si verificarono in Inghilterra numerose
morti volontarie tra persone appartenenti ai ceti più elevati.
Gli studiosi parlarono di «male inglese».
«Si può quasi dire che la miseria protegge» (Émile
Durkheim sulla relazione fra economia e suicidio).
Montesquieu nel 1749: «Gli inglesi si uccidono senza che
si possa immaginare nessuna ragione che ve li determini,
si uccidono persino in piena felicità [...]. È l’effetto di una
malattia [...] generata dal clima che colpisce l’anima a un
punto tale da portare al disgusto di tutte le cose fino a
quello della vita».
Nel Settecento a Londra si uccidevano 9 abitanti su
100.000, il tasso di suicidi di Parigi era da due a tre volte
superiore.
I marxisti condannavano il suicidio come una forma di
individualismo borghese.
Nel 1911 il socialista francese Paul Lafargue, 71 anni, si
uccise con la moglie Laura, figlia di Karl Marx. Dalla lettera
di commiato: «Sano di corpo e di spirito mi uccido
prima che l’inesorabile vecchiaia, che mi toglie uno a
uno i piaceri e le gioie dell’esistenza e che mi spoglia delle
mie forze fisiche e intellettuali, non paralizzi la mia
energia, non spezzi la mia volontà e non mi riduca a essere
un peso per me e per gli altri».
Durante la Seconda guerra mondiale le deportazioni a
opera dei nazisti hanno provocato ondate di morti volontarie
tra gli ebrei. Nella capitale tedesca la quota degli
ebrei sul totale dei suicidi è passata dal 18% nel 1941 al
40% nel 1942, raggiungendo il 75% nell’ultimo quadriennio
di quell’anno. Dal 1941 al 1943 si tolsero la vita 1.279
ebrei: tanti che per essere seppelliti nel loro cimitero
hanno dovuto aspettare in media due settimane.
«Brutto stronzo, ficcati bene nella tua stupida testa che
a decidere quanto tempo devi stare vivo e quando devi
morire siamo noi e non tu» (un uomo della Gestapo a un
membro delle squadre speciali, bloccato mentre cercava
di unirsi a un gruppo di compagni ebrei cechi che stavano
entrando nella camera a gas).
Il 30 aprile 1945 si sono uccisi Hitler ed Eva Braun. Il loro
esempio fu seguito da Goebbles e famiglia, Bormann,
Himmler, dal ministro della giustizia e da quello della
cultura, da molti leader regionali del partito, delle SS, da
generali, da ammiragli ecc.
In Inghilterra tra il 1964 e il 1975 si è verificato un forte
calo dei suicidi (da 5.714 a 3.693). Sembra il fenomeno sia
dipeso dal fatto che, a partire dalla fine degli anni cinquanta,
il gas derivato dal carbone fu sostituito dal gas
naturale, molto meno tossico. Fino ad allora la metà degli
inglesi si uccideva lasciando aperti i rubinetti del gas
della propria abitazione. Il passaggio al gas naturale rese
sempre più difficile servirsi di questo mezzo per togliersi
la vita.
In Italia il tasso di suicidio ha superato quello di omicidio
nel 1870 nelle regioni nordoccidentali e in Emilia, nel
1880 in Toscana, nel 1900 in Umbria e nel Lazio, nel 1930
in quasi tutte le regioni meridionali, in Calabria solo nel
1995.
Nei paesi occidentali per ogni suicidio consumato ve ne
sono almeno dieci tentati. Le differenze tra chi riesce a togliersi
la vita e chi ci prova senza successo: i primi sono
gli uomini e gli anziani, i secondi le donne e i giovani. Il
gesto dei primi è di solito pianificato con cura, quello dei
secondi è più impulsivo.
Le donne preferiscono uccidersi con mezzi meno violenti
(avvelenamento e annegamento), gli uomini con armi e
impiccagione. In Italia più basso è il livello di istruzione
più si predilige l’impiccagione. Il salto nel vuoto è invece
tanto più frequente quanto più elevato è il titolo di
studio.
In Italia, negli ultimi vent’anni, il tasso di suicidio si è
mantenuto piuttosto stabile, intorno a 7 o 8 per 100.000
abitanti.
Salvare una vita costa 20.000 dollari: con 200mila pillole
di serotoninergici (inibitori che riequilibrano i disturbi
nella trasmissione nervosa dovuti alla depressione) si
evita un suicidio. Dieci pillole costano circa un dollaro.

(Notizie tratte da Congedarsi dal mondo.
Il suicidio in Occidente e in Oriente
di Marzio Barbagli, Il Mulino, 2009)

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