Povera Australia. Considerate e commuovetevi: proprio lì, in uno dei paradisi del fruttuoso e lucroso campo della fecondazione artificiale, scarseggiano pericolosamente le donazioni di seme maschile, tanto che le cliniche hanno lanciato campagne su riviste e quotidiani (con il simpatico slogan, riferito agli spermatozoi: “Ne hai milioni da risparmiare, abbiamo bisogno di uno soltanto”) mentre le coppie in attesa del bebè eterologo sono “costrette” a rivolgersi agli Stati Uniti. Che cosa è successo? E’ semplice: dall’inizio dell’anno, è entrata in vigore una norma che garantisce al nato da eterologa di accedere, al compimento dei diciotto anni, alle informazioni sul padre biologico. E, naturalmente, i volenterosi e solidali spargitori di seme si fanno due conti e si dicono che non reggerebbero allo stress di un incontro, sia pure indenne da pretese ereditarie, con la prole disseminata. “La situazione è disastrosa e può solo peggiorare – ha dichiarato al Global Post, con toni da tregenda, la direttrice di una clinica della fertilità di Sydney – tanto che sarà più facile adottare che ottenere una gravidanza grazie a un donatore”. Capito che tragedia?
Nicoletta Tiliacos
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