Se il Papa usa un aggettivo come «terrificante», di sicuro non lo fa a cuor leggero. Soprattutto se, con quello, intende far echeggiare nelle coscienze di credenti e non credenti la dolente consapevolezza che alle persecuzioni dei «nemici di fuori» si è aggiunta quella «più grande» che «nasce dal peccato nella Chiesa». Era martedì scorso, e Benedetto XVI stava volando verso il Portogallo; gli era stato chiesto se, nel messaggio di Fatima sulle sofferenze dei Papi, fosse possibile anche inquadrare quelle provocate dagli abusi che alcuni sacerdoti hanno compiuto nell’ultimo mezzo secolo sui più piccoli, sui bambini, e dalle ondate violente contro la Chiesa e al successore di Pietro che da questi «tradimenti» hanno preso forza. E il Papa ha detto una parola forte di dolore. Un dolore che in cinquecentomila, sul grande sagrato di Fatima, sono poi accorsi a lenire.
Tutto il viaggio apostolico che si è concluso ieri è stato, a ben vedere, una risposta alle domande che Fatima si porta dietro da sempre. Nella chiave di un futuro che la Chiesa può affrontare solo con la testimonianza di fede limpida resa dai suoi figli, senza cadere nella tentazione – quasi si trattasse di un capitolo esaurito – di affidare alla «fine della storia» il messaggio consegnato dalla Vergine a Lucia, Francesco e Giacinta.
Non per niente, in modi diversi ma con identico senso, Papa Ratzinger ha sottolineato a più riprese che «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» e ci ha ricordato che in essa «rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi». La tentazione, l’insidia vera, è quella che nascerebbe all’interno di una Chiesa "rilassata", preoccupata di molto e attenta a poco, magari presa dalle forme organizzative e singolarmente restìa a servire con fedeltà la forza del Vangelo, dimentica dell’essenziale, del centro della sua missione: l’annuncio della Parola.
Non è un’idea di oggi, nel magistero di Benedetto XVI. Dove «terrificante», certamente, è la colpa umana e il peccato cristiano della pedofilia che persone consacrate hanno compiuto, facendo violenza a minori e dando scandalo alla comunità dei credenti e armi ai nemici della Chiesa. Ma terrificante sarebbe soprattutto la perdita di prospettiva riguardo alla missione.
È diventato via via più chiaro, sulla strada di Fatima, perché Papa Ratzinger abbia voluto così strettamente ed esplicitamente legare questa sua visita all’Anno Sacerdotale. Perché la Chiesa «ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare perdono ma anche la necessità della giustizia». Questo già accade, ma deve continuare ad accadere attraverso preti autenticamente convinti della grandezza del ministero a cui sono stati chiamati. E per questo che Benedetto ha voluto affidare alla Vergine di Fatima i 400mila sacerdoti del mondo, perché essi «rinnovino la Chiesa... trasfigurati dalla grazia di Colui che fa nuove tutte le cose».
Questo pellegrinaggio in terra portoghese, in un momento delicato e difficile, s’è così fatto "porta": una porta spalancata sul futuro della Chiesa. Che, ogni giorno, avrà bisogno del sostegno della Madre del Signore per far «rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità... tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù».
Tutto il viaggio apostolico che si è concluso ieri è stato, a ben vedere, una risposta alle domande che Fatima si porta dietro da sempre. Nella chiave di un futuro che la Chiesa può affrontare solo con la testimonianza di fede limpida resa dai suoi figli, senza cadere nella tentazione – quasi si trattasse di un capitolo esaurito – di affidare alla «fine della storia» il messaggio consegnato dalla Vergine a Lucia, Francesco e Giacinta.
Non per niente, in modi diversi ma con identico senso, Papa Ratzinger ha sottolineato a più riprese che «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» e ci ha ricordato che in essa «rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi». La tentazione, l’insidia vera, è quella che nascerebbe all’interno di una Chiesa "rilassata", preoccupata di molto e attenta a poco, magari presa dalle forme organizzative e singolarmente restìa a servire con fedeltà la forza del Vangelo, dimentica dell’essenziale, del centro della sua missione: l’annuncio della Parola.
Non è un’idea di oggi, nel magistero di Benedetto XVI. Dove «terrificante», certamente, è la colpa umana e il peccato cristiano della pedofilia che persone consacrate hanno compiuto, facendo violenza a minori e dando scandalo alla comunità dei credenti e armi ai nemici della Chiesa. Ma terrificante sarebbe soprattutto la perdita di prospettiva riguardo alla missione.
È diventato via via più chiaro, sulla strada di Fatima, perché Papa Ratzinger abbia voluto così strettamente ed esplicitamente legare questa sua visita all’Anno Sacerdotale. Perché la Chiesa «ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare perdono ma anche la necessità della giustizia». Questo già accade, ma deve continuare ad accadere attraverso preti autenticamente convinti della grandezza del ministero a cui sono stati chiamati. E per questo che Benedetto ha voluto affidare alla Vergine di Fatima i 400mila sacerdoti del mondo, perché essi «rinnovino la Chiesa... trasfigurati dalla grazia di Colui che fa nuove tutte le cose».
Questo pellegrinaggio in terra portoghese, in un momento delicato e difficile, s’è così fatto "porta": una porta spalancata sul futuro della Chiesa. Che, ogni giorno, avrà bisogno del sostegno della Madre del Signore per far «rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità... tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù».
Salvatore Mazza
© Copyright Avvenire 15 maggio 2010