DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

I vescovi americani contro la “Legge Arizona” sull’immigrazione irregolare. Cattolici, perchè? Di Lorenzo Albacete

La controversa legge anti-immigrazione entrata in vigore pochi giorni fa nello Stato dell'Arizona, fortemente voluta dal governatore Jan Brewer, continua a sollevare proteste anche fuori dagli Stati Uniti. Dopo la condanna da parte dei vescovi statunitensi e di numerosi episcopati centroamericani, ieri è stata la volta di mons. Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e presidente della Conferenza episcopale del Perù. Il servizio di Luis Badilla.

Il presule sudamericano ha chiesto l'immediata revisione della legge che a suo avviso “viola gravemente la dignità della persona umana, in particolare di milioni di ispanici". La "Legge Arizona", come ormai viene chiamata, è stata criticata dallo stesso presidente Barak Obama, che ha disposto un'indagine "per verificare se il dispositivo sia contrario ai diritti civili sanciti nella Costituzione", e con il passare dei giorni solleva proteste ovunque e sempre maggiori. Domenica scorsa, si è svolta a Los Angeles una marcia di protesta contro la controversa legge, alla quale ha partecipato anche il cardinale Roger M. Mahoney, arcivescovo della città; alla manifestazione si sono aggiunte centinaia di gruppi, associazioni, Chiese, sindacati, centri culturali, perfino squadre di football. Il porporato ha definito “un imperativo morale” la modifica sostanziale della nuova legge che, tra diversi dispositivi, introduce il reato di “immigrazione clandestina” (punibile con sanzioni, l’arresto, fino al carcere) e autorizza la polizia statale a chiedere l’identificazione della persona in caso di sospetto di ingresso illegale nel Paese. Il cardinale Mahony, come già aveva fatto il 21 marzo davanti a 250mila persone a Washington, ha ribadito la richiesta dei vescovi statunitensi a procedere “ad una riforma nazionale sulle migrazioni prima che si diffondano un insieme di misure statali molto sensibili agli umori della piazza e poco meditate e responsabili”. “Ribadisco, ha aggiunto il porporato, che la Chiesa cattolica non si stancherà mai di proteggere gli immigrati, nostri fratelli e sorelle, affinché possano essere membri a pieno titolo, con tutti i diritti e i doveri, delle nostre comunità”. Una parte importante della stampa americana ritiene che la “Legge Arizona”, oltre ad essere “retrograda e meschina”, sia “inutile e demagogica”. Va detto che l'Arizona ha una lunga frontiera con il Messico e una popolazione di circa mezzo milione di immigrati irregolari, in gran parte ispanici, spesso accusati di “portare criminalità e violenza”, anche se i dati statistici non confermano questi pregiudizi. Mentre per il senatore repubblicano Russell Pearce, sostenitore della legge, ora la polizia “non ha più le manette politiche” che finora impedivano di identificare e arrestare gli immigrati irregolari, per il cardinale Mahony invece si rischia, usando un testo giuridico superficiale e pieno di luoghi comuni, “di offendere e umiliare la dignità delle persone a causa del colore della loro pelle o per via di un semplice sospetto”.

Radio Vaticana

Cattolici, perchè?



mercoledì 5 maggio 2010


Il problema della “riforma delle leggi sull’immigrazione” è certamente uno dei più aspramente dibattuti negli Stati Uniti in questi giorni, alimentato anche dalla controversa legge appena adottata dallo Stato dell’Arizona. Il provvedimento consente alle forze dell’ordine statali di richiedere agli individui sospettati (“ragionevolmente”, qualunque cosa significhi) di immigrazione clandestina di fornire le prove della loro presenza legale nel Paese, e di segnalarli alle autorità federali nel caso in cui non ne forniscano.

La discussione si è incentrata sulla questione del “profilamento razziale o etnico”, dal momento che la maggior parte dei sospetti clandestini in questa regione di confine è di origine messicana o centroamericana. La maggioranza degli immigrati è di religione cattolica, motivo per cui la Chiesa cattolica, la cui dirigenza è considerata pro-immigrati, è ampiamente coinvolta nel dibattito.

Infatti, un recente studio sui cattolici ispanici (“Sondaggio sull’Identificazione Religiosa degli Americani 2008”, anche noto come ARIS, condotto dall’Istituto per lo Studio della Secolarizzazione nella Società e nella Cultura, o ISSSC, presso il Trinity College di Hartford in Connecticut) mostra che gli ispanici, o latino-americani, costituiscono una percentuale sempre più significativa della Chiesa cattolica americana. Secondo un ricercatore dell’ISSSC, “negli ultimi 18 anni, ci sono pochi fenomeni che hanno cambiato l’America e la religione americana più della crescita della popolazione latino-americana”.

Ad esempio, l’aumento di 11 milioni nella popolazione cattolica statunitense dal 1900 al 2008 è dato in gran parte dai nove milioni di cattolici ispanici; di conseguenza, il 32% dei cattolici statunitensi è ora ispanico, rispetto al 20% del 1900.

Tuttavia, c’è ora uno sviluppo altrettanto importante che comincia a preoccupare la leadership ispanica della Chiesa Cattolica, inclusi i vescovi. Anche se nell’attuale dibattito sull’immigrazione si insiste da parte di tutti sulla necessità che i latino-americani imparino a parlare inglese correntemente e acquisiscano la cultura degli Stati Uniti, i leader cattolici sono preoccupati dei possibili risultati di questo processo di assimilazione.

Ad esempio, il sondaggio ARIS mostra chiaramente che più gli immigrati si assimilano alla società americana e meno si identificano come cattolici. Nel 1900, il 66% degli ispanici si definivano cattolici. Nel 2008, la percentuale è scesa al 60%. Inoltre, si è verificato un aumento del numero di latino-americani che non seguono alcuna religione, dal 6% nel 1900 al 12% nel 2008. Quest’ultima sembra essere, di fatto, la tendenza religiosa con la crescita più importante nella popolazione ispanica degli Stati Uniti.

Più a lungo un latino-americano ha vissuto negli USA e meno tende ad identificarsi come cattolico.

In più, coloro che hanno una maggiore padronanza dell’inglese tendono a qualificarsi come membri di Chiese cristiane conservatrici, oppure come non appartenenti ad alcuna religione.

I Testimoni di Geova e altre sette protestanti, come gli Avventisti e i cristiani ecumenici, hanno triplicato i propri aderenti, mentre l’appartenenza alle comunità pentecostali ha solo tenuto il passo con la crescita della popolazione.

La maggioranza delle persone senza religione e dei membri delle sette protestanti ha meno di 30 anni. Le persone senza religione hanno una maggior probabilità di avere un titolo universitario, mentre quelle nelle sette protestanti hanno la minore formazione universitaria.

Il sondaggio ARIS mostra altri risultati che confermano questa tendenza, portando alla conclusione che l’assimilazione degli immigrati ispanici, legali o illegali, danneggia la loro identità cattolica.


Economicamente, i latino-americani che appartengono alle principali chiese protestanti hanno il reddito familiare più elevato. Dal punto di vista politico, i cattolici latino-americani e quelli senza religione si identificano con il Partito Democratico, mentre i cristiani non cattolici preferiscono il Partito Repubblicano.

Riassumendo, il professor Barry A. Kosmin del Trinity College conclude che “mentre gli immigrati latino-americani stanno contribuendo significativamente alla stabilità del cattolicesimo americano, le generazioni più giovani e quelle nate negli Stati Uniti tendono a orientarsi verso un abbandono della religione, oppure verso tradizioni cristiane conservatrici”.

I vescovi americani e i leader cattolici ispanici sono consapevoli di tutto questo ed hanno provato ad affrontare il problema tentando di sostituire un processo che chiamano “integrazione” a quello di assimilazione. Hanno quindi iniziato ad opporsi alle riforme delle leggi di immigrazione volute dai politici, che enfatizzano la necessità dell’assimilazione.

Ma è davvero questa la risposta più appropriata dei cattolici al problema? A mio avviso, invece di dedicare molte energie a trovare il processo di socializzazione più adeguato, i vescovi e i leader cattolici ispanici dovrebbero concentrarsi su programmi pastorali che aiutino i cattolici ispanici a capire che cosa fa sì che i cattolici siano cattolici, nella relazione tra le loro tradizioni storiche e la fede cristiana in Gesù Cristo. È questo l’unico modo in cui i programmi di evangelizzazione porteranno frutti culturali davvero nuovi ed adeguati alle sfide del tempo presente.



Il Sussidiario