DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La chiesa di Benedetto e quella di Kung

Scritto da Cesare Catà | 27/04/2010 | http://www.informazione.tv/news.asp?id=8460

È stato detto, e non credo sia un’iperbole, che l’attacco subito in questi mesi dalla Chiesa di Roma è il più grande mai sferrato dai tempi della Riforma. È stato detto, e anche questo a ragione, che tale attacco ha la sua “base” organizzativa in ambienti di potere internazionale massonico o pseudo-massonico che mirano programmaticamente a minare l’autorità papale. Verissimo. Ma c’è forse un altro dato, quasi inconfessabile e più terribile, al fondo del fango che oggi viene gettato in faccia a Joseph Ratzinger all’alba del 5° genetliaco del suo Pontificato (si badi bene: il primo e unico Papa in grado di denunciare la pedofilia come un male odioso, una colpa orrenda che macchia a sangue la vita della Chiesa). Mi riferisco al fatto che, per molti versi, la crisi e l’attacco patiti oggi dal Cattolicesimo hanno una origine e una forza che, prima di essere esterna, è anzitutto interna. Interna alla Chiesa stessa. Una Chiesa che, nei suoi rappresentanti, non riesce e/o non vuole essere ratzingeriana.

Questo Papa fa paura, perché è il Pontefice più colto e acuto che abbia mai seduto sul soglio di Pietro dai tempi di Pio II. Sempre le grandi idee terrorizzano i mediocri. E oggi, ahimè, sono molti i mediocri tra i rappresentanti della Chiesa.

Questo Papa fa paura a molti gruppi di potere interni alla Chiesa, chiamati alla sbarra da Ratzinger; fa paura a molti equilibri e personalismi vescovili e cardinaleschi; fa paura a troppi monsignori, curati e parroci adagiatisi su una idea stanca di Cristianesimo, ormai incapace di parlare alle genti – come Ratzinger pretende, con voce mite e ferma, che accada ancora.

Il fatto che il più celebre teologo vivente, lo svizzero Hans Küng, professore emerito alla Università di Tubinga, abbia recentemente composto una “pubblica lettera” sulla Cristianità, ampiamente circolata sui giornali nei giorni scorsi, la quale non è altro che un attacco frontale e rozzo all’operato di Ratzinger, la dice lunga sulla situazione attuale della Chiesa al suo interno.

Hans Küng, che era, con Ratzinger, il più giovane teologo presente al Concilio Vaticano II nel ’62, muove all’oggi Benedetto XVI una serie di rilevazioni critiche che vale la pena osservare.

Primo: il teologo rimprovera al Papa di non essersi ravvicinato alle Chiese evangeliche, per una comune celebrazione della Eucarestia. Küng finge di non sapere che dietro le incongruenze rituali sono presenti scarti teologici fondamentali tra il Cattolicesimo e le Chiese Evangeliche, e che dunque una “approssimazione” in tal senso devierebbe la sostanza della dottrina. Sulla stessa linea, il professore di Tubinga critica Ratzinger per la sua modalità relazionale con le culture ebraica e musulmana. Con la prima, in quanto Ratzinger non sarebbe stato in grado di concepirla indipendentemente dallo sviluppo cristiano neotestamentario (cioè: Küng chiede al capo della Chiesa di Roma di giudicare l’Ebraismo da un punto di vista non-cristiano, neutro…); con la seconda, in quanto l’Islam sarebbe stato svilito nella sua sostanza da Ratzinger, e viene citato a questo proposito il discorso di Ratisbona. Anche in questo caso, il più famoso teologo europeo non può non capire che Ratzinger, in quel celebre discorso, fece cenno a come il Logos sia presente nella essenza del Cristianesimo – per il quale l’infinito si incarna in un essere umano – in luogo dell’obbedienza nell’Islam, per il quale l’infinito si incarna in un Libro.

Poi Küng critica Ratzinger per il suo operato nei confronti dell’America Latina e dell’Africa. Il Papa avrebbe sbagliato, per aver affermato che i popoli indigeni “anelassero” implicitamente alla conoscenza del Verbo di Cristo. Solo da una prospettiva laicista, relativista – che il teologo spera assurdamente possa essere propria di un Papa – si può affermare che l’essere umano, essenzialmente, non desideri la conoscenza del messaggio cristiano. Per quanto concerne i popoli africani, Küng si unisce al coro mediatico che ebbe ad attaccare il Papa, per non aver affermato con chiarezza la possibilità di utilizzare i preservativi nei coiti. In realtà, il discorso del Papa è stato in quella occasione assai più profondo (nonostante le mistificazioni di agenzia), mirando a parlare del cuore dell’uomo, di un rinnovamento dell’anima. I preservativi c’entravano poco.

Poi, sempre sulla stessa linea, Küng ce l’ha con Ratzinger perché questi non avrebbe accettato la teoria evoluzionistica darwiniana. Una teoria che, se da un lato mostra finalmente oggi tutti i suoi limiti teoretici, dall’altro, presa alla lettera, è radicalmente contraria alla idea filosofica della Creazione. Tale posizione papale, sempre a detta del fine teologo, stopperebbe le analisi scientifiche più avanzate, ad esempio sulle staminali.

Infine, negli ultimi cinque punti della sua lettera, Küng si sofferma sugli aspetti più teologico-politici che a suo avviso macchiano l’operato del Papa, consistenti sostanzialmente nel non prendere in sufficiente considerazione il Concilio Vaticano II come bussola d’orientamento, ammettendo nella Chiesa gruppi e vescovi “reazionari” (sic) che dovrebbero esserne espulsi.

Paradigmatico il fatto che Küng imputi al Papa, come fosse una grave colpa, il tentativo di promuovere la messa medievale tridentina, celebrandola occasionalmente lui stesso. Per il teologo, quest’atteggiamento sarebbe gravissimo, in quanto non “incrementerebbe” (sic) le vocazioni al sacerdozio e non attirerebbe i giovani alla Chiesa.

Quest’ultima affermazione (benché falsa) è utile per capire tutta la linea della rozza argomentazione di Küng contro Ratzinger. Su ogni questione, quello che il teologo chiede al Papa è un Cristianesimo edulcorato, relativizzato, accattivante, pubblicitario, “moderno” nel senso più deteriore del termine. Uno pseudo-cristianesimo. Il filosofo Ratzinger, come Papa, si è mosso in effetti al contrario: percorrendo un faticoso cammino verso le radici veraci della Cristianità, per mostrare, non un Cristianesimo mediatico, utile per cocktail party di fronte alle telecamere, o per chiamare alla vocazione mandrie di ragazzi e ragazze – ma piuttosto il Verbo di Cristo nella sua disarmante, terribile e faticosa bellezza.

Se oggi, come è chiaro, il pericolo dei fondamentalismi e dell’ideologia dello scontro di civiltà è una tara fatale della nostra epoca, la risposta a tale situazione non può venire, da parte Cristiana, attraverso un relativistico neutralismo del pensiero, come Küng vorrebbe. E ciò per un motivo molto semplice: in quel caso, non si tratterebbe di Cristianesimo. La posizione di Küng sarebbe interessante e legittima – se non pretendesse di essere cristiana.

Ratzinger è forse il solo uomo di pensiero di questi anni che ha guardato in faccia, con radicalità, i problemi fondamentali: pretendendo dalla Chiesa di Roma, che il destino lo ha chiamato a guidare, una fedeltà totale e incondizionata alla propria essenza.

Va detto che quello di Küng, nella grossolanità teologico-filosofica delle sue argomentazioni, non è un gracchiare isolato. Il male della Chiesa è, oggi, anzitutto interno e endogeno. È il male di una Chiesa che non vuole, ad ogni costo, essere ratzingeriana. Non vuole essere se stessa.

La voce ferma e mite del nostro Pontefice, come ho detto, in questo senso fa paura. E di certo la fragilità della Chiesa contemporanea, che ha demandato per la quasi totalità ai movimenti quel rapporto con il popolo che da sempre è stato la sostanza della religione cristiana, possiede un ruolo nella strumentalizzazione in chiave anti-papale del crimine obbrobrioso della pedofilia.

Il nostro tempo esige oggi, dalla Chiesa, uno sforzo di rinnovamento conservatore, come quello che Ratzinger cerca con tutto il suo cuore di perseguire. Perché – checché ne dicano vecchi teologici cattedratici – quella sarebbe una Chiesa che i giovani e gli uomini di buona volontà seguirebbero. Non una Chiesa di pic-nic e schitarrate, di carismi di capi spirituali e influenze politiche, di movimenti aggregativi. Bensì una Chiesa di Bellezza, di tremenda Bellezza. La chiesa di Cristo. A molti, internamente, questo discorso di Ratzinger non va giù. Non va giù a molti prelati e parroci, che questo Papa, com’è suo dovere, chiama a rialzarsi dalla mediocrità, per essere all’altezza del magistero e della cultura cristiana.

Quanto pesa questa situazione nell’attuale attacco politico al Papa?

Chi ha paura di Benedetto XVI?

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