DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

"La megalopoli è come la giungla. Ricominceremo a unirci in tribù". Riflessioni da non perdere per comprendere l'importanze delle piccole comunità

Il sociologo Michel Maffesoli discuterà di futuro al Lingotto: "Non solo social network Anche le strade e i quartieri tornano a essere luoghi d’aggregazione"
di Francesca Amé
«In una società dove tutto è fluido anche i totem sono mutevoli e aleatori. Tuttavia, esistono ancora personaggi in grado di cristallizzare le passioni e gli umori collettivi. Sono persone capaci, al di là di una mera concezione razionale del mondo, di mobilitare le emozioni». I loro nomi? «Obama, Lula, Sarkozy, Berlusconi». La pensa così il sociologo francese Michel Maffesoli, docente alla Sorbona di Parigi nella cattedra che fu di Émile Durkheim e tra i principali esponenti del pensiero postmoderno. L’ombra di Dioniso e Il tempo delle tribù sono i suoi libri più noti, ed è di pochi mesi fa la pubblicazione di Apocalisse. Rivelazioni sulla società postmoderna (Ipermedium libri). Invitato al Salone del Libro di Torino, Maffesoli parlerà delle cosiddette tribù metropolitane perché saranno loro, sostiene lo studioso, le vere protagoniste del domani.

Professor Maffesoli, quali sono le nuove tribù urbane?

«Nella società postmoderna a predominare non sono più le grandi istituzioni elaborate nel XIX secolo, ma le moltiplicazioni dei micro-gruppi. Ci si ritrova insieme in funzione di un gusto: sessuale, musicale, sportivo, e così via. Nella giungla, la tribù era un modo di lottare insieme contro la diversità esterna. Ebbene, accade lo stesso nelle giungle di pietra che sono le nostre megalopoli: in questo senso le tribù urbane permettono di sperimentare nuove forme di solidarietà e generosità, tipiche delle nuove generazioni. È un fenomeno in crescita: siamo solo all’inizio del processo».

Come si muovono le tribù postmoderne se è vero che oggi coesistono il radicamento al proprio territorio e la possibilità di avere il mondo a portata di mano grazie a viaggi low cost e a Internet?

«Goethe affermava che al momento della sua origine una civiltà è paradossale: i valori contraddittori sono allo stesso tempo presenti. Ed è questo che caratterizza la postmodernità nascente: il ritorno alle radici, l’accento sul qualitativo dell’esistenza, le diverse forme dello slow food, l’importanza del territorio e, al contempo, l’erranza, il turismo, il ritorno dei pellegrinaggi. Definisco questo “radicamento dinamico”: oggi viviamo nella logica del “e... e” e non più in quella del “o... o”».

Lei scrive: «Le lieu fait lien», il luogo crea i legami ...

«Oggi lo spazio predomina sul tempo. Non è sempre stato così: la modernità, dal Settecento al Novecento, privilegiò la storia, la politica, la ricerca di una società perfetta per l’avvenire. L’importante era il futuro. Ciò che invece si sta sprigionando oggi è il senso del presente, del carpe diem, di un edonismo da vivere qui e ora. In Francia, come in Italia, possiamo vedere a esempio il ritorno al quartiere e alla strada come luoghi di socialità. Questa inversione del tempo in spazio mi sembra oggi il cambiamento più importante».

Se Roland Barthes dovesse aggiornare il suo celebre Miti d’oggi, su che cosa si soffermerebbe?

«Nel mio libro Icone d’oggi (Sellerio, 2009, ndr) ho cercato di completare quello che Barthes a suo tempo aveva fatto. Tra i miti postmoderni cito Harry Potter, Facebook, Myspace, Zidane».

Facebook e Myspace. Sarà la Rete a influenzare gli stili di vita del futuro?

«Credo che quello che familiarmente chiamiamo la Rete favorisca un’altra maniera di vivere il legame sociale. I vari social network avranno molteplici conseguenze pratiche: le forme di aiuto vicendevole, gli incontri, la costituzione di tribù ludiche o funzionali si ritrova nel nomadismo che attiene a Internet. Non possiamo più pensare la politica o la società senza il processo di contaminazione che interessa il nuovo tessuto sociale generato da Internet e le sue famose flash mobs, le mobilitazioni improvvise».

In questi giorni lei è a Torino e andrà a vedere la Sindone: come spiega il milione di pellegrini giunti sinora in duomo per l’ostensione?

«È un fenomeno sociale di grande importanza. Non sono sicuro che significhi un ritorno al cristianesimo, almeno nella sua dimensione razionale, ma piuttosto l’aspetto magico, quasi idolatrico presente nel cattolicesimo. Si tratta di religiosità, piuttosto che di religione, un po’ come avviene per il pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Penso che il fervore suscitato dalla Sindone si iscriva in quello che ho chiamato il “re-incanto del mondo” tipico della postmodernità».

«Il Giornale» del 13 maggio 2010