DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

«Preservativi in classe? Si stravolge la scuola»

di Antonella Mariani

«Quando andremo ad acquistare i libri in farmacia, allora sarà giusto che nelle scuole si distribuiscano i preservativi». Un paragone azzardato, quello di Gianni Nicolì, pedagogista e insegnante, responsabile nazionale dell’Ufficio scuola dell’Associazione genitori (Age). E anche un po’ provocatorio: perché secondo lui la scuola è «luogo di apprendimento, crescita educativa e maturazione di vita sociale» e installare macchinette per la vendita di preservativi, come nei due licei di Roma e di Palermo di cui abbiamo parlato negli scorsi numeri di Èvita, «è uno stravolgimento della funzione istituzionale della scuola. La scuola forma le coscienze e le intelligenze, non dà strumenti di pianificazione familiare. Oltretutto i preservativi sono reperibili ovunque e non si avvertiva il bisogno che lo fossero anche a scuola».
Professor Nicolì, allora a cosa ser­vono le macchinette nelle scuole?
Servono a tacitare l’incapacità degli adulti di dialogare con i giovani su questi temi e a scaricare il problema su un mezzo tecnico.
Con quali effetti collaterali?
È evidente che se ne incentiverà l’uso. Invece di insegnare un principio di valore e cioè che la sessualità è qualcosa di grande e di bello, che abbiamo nella testa e non solo sotto la cintura, che coinvolge tutta la persona e non si riduce a una pratica, be’, si inducono i ragazzi ad esercitarla purché in modo protetto. Mancano i significati profondi.
C’è da aggiungere che di 'istruzio­ni per l’uso' se ne trovano in gran quantità su internet. Lei gira per le scuole, parla a ragazzi e genitori di educazione all’affettività. Secondo lei cosa hanno bisogno di sentirsi dire i giovanissimi?
I ragazzi vogliono essere ascoltati, vogliono che si dica loro la verità per il loro bene, con disinteresse e con spirito di cura. Hanno bisogno di imparare ad amare e ad essere amati. Noi cerchiamo di spiegare loro che la sessualità è una dimensione espressiva di questo desiderio di amare tipica delle persone adulte. Aggiungiamo che la sessualità raggiunge la sua massima espressione quando diventa dono, che presuppone una formazione psicologica prima ancora che fisica, visto che interessa il cervello e gli strati più profondi della coscienza.
E i giovani capiscono?
Sì, i giovani accettano la verità anche quando essa è scomoda. Anzi, vogliono la verità. E la verità è che hanno diritto a una piena realizzazione affettiva, ma per fare della loro vita un’opera d’arte devono investire in modo corretto su loro stessi, senza sperperarsi. Noi diciamo ai ragazzi che la sessualità non è solo la soddisfazione di un bisogno ma un progetto di vita. E che l’investimento giusto su di sé è di non sprecarsi subito, ma di spendersi solo quando è il momento giusto.
E loro ascoltano?
Sì. Sono gli adulti a non crederci, e sa perché? Perché hanno dei giovani una visione distorta, filtrata attraverso la loro immaturità di adulti. Ecco perché scelgono la via corta e installano la macchinetta che distribuisce i preservativi. No, la sessualità non ammette un approccio così superficiale. La sessualità è interiorità, dobbiamo farlo riscoprire ai giovani. Ma partendo dalla consapevolezza che siamo stati noi adulti ad averla esteriorizzata. In 37 anni di vita in mezzo ai giovani ho capito che non sono loro quelli che vivono peggio la sessualità: gli scambi di coppia, la pornografia non la fanno i ragazzi, ma gli adulti.
Qual è l’opinione dell’Associazio­ne genitori sull’educazione sessua­le insegnata a scuola?
Siamo a favore, purché l’insegnamento rispetti requisiti di scientificità, obiettività e si riferisca a regole e valori morali. Che crediamo non appartengano solo ai credenti: i valori sono perenni, universali e transconfessionali. Ma pensiamo anche che i genitori sono i primi e i principali responsabili dell’educazione dei loro figli.
I genitori come possono avere voce in capitolo nelle scuole?
Attraverso i sistemi di rappresentatività e facendo democratico pressing perché la scuola sia veramente educativa.
«Avvenire» del 13 maggio 2010