DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Melloni dà consigli per superare la tempesta pastorale perfetta

Roma. Anche Alberto Melloni ha le sue idee per la
riforma della chiesa, ma se Massimo Cacciari punta sul carisma
di un profeta prossimo venturo lui confida nelle risorse
inesauribili dell’istituzione. “Sono uno storico e non
un profeta. Quello che so è che i grandi momenti di riforma
sono quelli in cui alle persone che sono il problema si
domanda di diventare la soluzione. Perché nessuno verrà
da fuori a salvarci. Persino al concilio di Trento, il momento
più drammatico, furono i vescovi protagonisti degli abusi
che decisero di farla finita con gli abusi. Questo è normale
nel cattolicesimo romano, il resto è romanticismo. La
riforma di Francesco ha tenuto per una generazione o
due, la riforma gregoriana è un’altra cosa”.
Se Gregorio VII in pieno medioevo aveva i suoi bei
grattacapi, Benedetto XVI non può certo dormire tranquillo.
“Era nato come un pontificato di decantazione, dottrinalmente
sicuro, tranquillo, che alleggerisse alcuni
aspetti del pontificato di Wojtyla. Adesso Ratzinger si trova
davanti ai più drammatici problemi di governo che un
Papa abbia mai dovuto affrontare. E non sono le tumultuosità
del postconcilio, fastidiose ma anche molto ricche,
queste sono difficoltà che vengono da lontano, errori accumulatisi
nel tempo. L’attacco di Von Schönborn a Sodano
– che non è un cardinale qualunque ma il decano del
Sacro collegio, colui che chiude gli occhi al Papa quando
muore e convoca il Conclave – è indice di un clima esasperato.
Non s’era mai visto niente del genere”.
Secondo Melloni, erede di Giuseppe Alberigo alla guida
della scuola di Bologna che indica nel Vaticano II una
“transizione epocale” del cattolicesimo, la crisi ha ragioni
profonde. “All’inizio lo scandalo sembrava potesse corroborare
una lettura conservatrice degli anni Settanta.
Nella lettera agli irlandesi Benedetto XVI ha scritto che
il postconcilio ha attutito la coscienza del diritto penale
nella chiesa. Certo, la sua non è la lettura volgare dei lefebvriani
che vedono nella stagione postconciliare il lasciapassare
della pedofilia, ma il fatto che abbia attribuito
ciò che è successo al venir meno del diritto canonico è
abbastanza chiaro. Solo che questa lettura non regge, lo
dimostrano le dimensioni quantitative e cronologiche del
fenomeno. Non è una cosa che ha colpito l’Olanda più della
Spagna, per dire. Nel rapporto finale sul caso Degollado
(il fondatore dei Legionari di Cristo colpevole di gravi
abusi, ndr) si spiega che è stato un vero e proprio sistema
di potere a causare quello che è successo. Ma anche più
in generale il disastro che abbiamo sotto gli occhi è dovuto
a sistemi di potere che hanno impedito di formare un
giudizio corretto sugli eventi”.
Dunque la riforma dovrebbe essere una riforma di governo.
“Finora la risposta della chiesa, sia quella che la
Santa sede ha partorito da sé sia quella che i media gli
hanno chiesto – basta sfogliare il New York Times – è stata
di tipo centralistico. Ma non è detto che tutta questa
melma si sia formata per colpa del centro, come non è detto
che la soluzione sia al centro. Una parte del disastro si
è prodotta in Vaticano, una parte si è prodotta in periferia
con vescovi incapaci di governare le diocesi, e una parte
si è prodotta nella scarsa comunicazione tra l’uno e l’altro
livello”. La parola d’ordine per Melloni è collegialità. “All’indomani
del Concilio, non si sono trovate risposte collegiali
al governo della chiesa universale. Oggi ne paghiamo
lo scotto”. A sentir parlare di collegialità non pochi storcono
il naso, forse confondendola con la democrazia. “La
collegialità è infinitamente più della democrazia: non è la
gestione di un potere di delega ma l’esercizio di una potestà
che, secondo la dottrina cattolica, discende dalla volontà
di Cristo. I vescovi non sono i rappresentanti delle
diocesi ma i successori degli apostoli, hanno il munus che
deriva loro dalla consacrazione episcopale. Che poi lo
esercitino correttamente è un altro paio di maniche. In effetti,
confondere collegialità e partecipazione è stata una
delle banalizzazioni dell’immediato postconcilio”.
Per Melloni le dimensioni della crisi sono tali che “non
saranno le terapie d’urgenza, il diritto penale civile o ecclesiastico,
a risolverla. Certo, è un bene che i vescovi si
dimettano subito, siano denunciati o meno, ma visto l’arco
di tempo su cui si estendono i casi ci sarà materia per
i prossimi cinquant’anni. E’ una questione di carattere
istituzionale: la chiesa deve gestire diversamente il potere.
Se la soluzione fosse quella di creare una specie di Fbi
ecclesiastica con base a Roma, che indaga sui reati al di
sopra di tutti, sarebbe un errore perché l’atteggiamento
che si ha dal centro non può che essere severo ma anche
prudente, dato che rischiano di essere coinvolti i vertici.
Ci vuole invece un esercizio più fiducioso della collegialità.
Questo scontro al fulmicotone tra Von Schönborn e
Sodano dice che i cardinali dovrebbero cominciare a parlarsi,
se possibile non tramite i giornali. Il tiro a segno sulla
segreteria di stato deve finire”.
Melloni suggerisce anche un altro elemento di riforma.
“Nella vicenda dei preti pedofili mi colpisce che si continuino
a cercare soluzioni mediatiche. Sono i giornali che
pretendono l’incontro del Papa con le vittime. Lui fa benissimo
a incontrarle, se questo le può consolare un pochino.
Ma non sono mica vittime sue e neanche della chiesa,
lo sono di criminali che ci sono stati e sempre ci saranno.
Ci vuole piuttosto un grande gesto di purificazione”. La
pietà popolare offre diversi esempi: il rosario riparatore,
l’adorazione eucaristica, la processione. “Ottimo, purché
siano i pastori a pregare in testa al popolo. Domandando
a Dio la grazia del perdono e quella della riforma, la chiesa
verrà esaudita. Inoltre, il prossimo sinodo dei vescovi
sulla figura del prete dovrebbe essere di tipo penitenziale
e non dibattimentale. Il fatto che in programma ci sia
solo un’ora di libera discussione mi pare riduttivo, con
quello che è successo non potrà essere un incontro di routine”.
Per lo storico bolognese l’agenda della riforma è
presto fatta: “Anzitutto la questione del celibato: si può lasciare
tanta chiesa senza eucarestia per difenderlo così
com’è? Poi c’è da rimettere in ordine la galassia dei movimenti,
rivedere i criteri della nomina dei vescovi, riflettere
sulla qualità del collegio cardinalizio. Solo che adesso
queste cose sono precipitate tutte in una volta e per chiunque
diventa facile dire al Papa: troppo poco e troppo tardi”.
Insomma, non sono più tanti elementi di un dossier
più o meno gestibile ma un solo grosso nodo da sciogliere.
“Certe preoccupazioni di Benedetto XVI, come la volontà
di ricucire lo scisma lefebvriano, impallidiscono di fronte
alla magnitudo di quello che sta accadendo. E intanto in
Germania migliaia di cattolici non hanno più firmato per
il Kirchensteuer (la tassa alla chiesa di appartenenza, ndr)”.
Comunque Melloni è convinto che la chiesa debba liberarsi
da un’idea mondana di durezza. “Come se il suo compito
fosse quello di formare dei preti per poi inseguirli e
impiccarli se compiono dei crimini particolarmente gravi.
Ho l’impressione che abbia introiettato un’immagine di sé
che viene dall’esterno. La chiesa non è fatta né di angeli
né di diavoli, ma di uomini e di donne. Se cercate gli angeli
rivolgetevi al Tibet, il cattolicesimo è un’altra cosa”.

Marco Burini

© Copyright Il Foglio 15 maggio 2010