DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Mosul, strage sul bus degli studenti cristiani

Due bombe contro il convoglio dei giovani diretti all’università: quattro morti e 171 feriti


DI
LUCA GERONICO
M
eglio un vecchio pullman scas­sato che avventurarsi soli in au­to fino a Mosul. Meglio viaggia­re tutti assieme da Qaraqosh, 40 lunghi chilometri fino all’università, che vivere ancora a Mosul, dove possono ucciderti all’angolo di una strada.
Le minacce scritte in quei volantini ap­piccicati ben in vista sui muri di cinta con­tro le ragazze «senza velo» o «vestite al­l’occidentale » fino a domenica mattina non avevano fermato l’autocolonna dei giovani cristiani.
Un primo posto di blocco passato senza problemi: una formalità, sembrava, in vi­sta delle prime case della città dove c’è il secondo posto di blocco, gestito dalla po­lizia. All’improvviso, inaspettato, un bot­to violentissimo seguito subito da un al­tro. «Sono letteralmente saltati in aria», racconta uno studente che viaggiava ap­pena più indietro. Quattro i bus sventrati. «Un attacco brutale, senza precedenti», ha dichiarato a
Fides padre Bashar Warda, sa­cerdote di Erbil dove sono ricoverati mol­ti dei feriti. Un ordigno rudimentale la­sciato sul ciglio della strada la prima e­splosione e subito dopo un’autobomba: questa la scarna e lacunosa ricostruzione di un attacco certamente premeditato. Quattro le vittime – fra cui un negoziante – e 171 i feriti, molti dei quali in gravi con­dizioni. Del tutto inadeguata la protezio­ne delle due auto di scorta, una all’aper­tura e una alle fine del convoglio.
«Siamo scioccati perché le vittime non so­no soldati o militanti, ma solo studenti che portavano con sé i libri e i loro sogni di crescere nel loro Paese», ha aggiunto pa­dre
Bashar Warda. Un attentato dal forte valore simbolico e praticamente passato in silenzio dalle au­torità irachene. Solo ieri il governatore del­la provincia di Mosul, Athith Nagifi, ha fat­to le condoglianze all’intera comunità cri­stiana locale ed espresso la «dura con­danna » per l’attentato. «Una tragedia. Un’altra tragedia», ha commentato il ve­scovo ausiliare caldeo di Baghdad Shle­mon Warduni. «Tutti sanno che quegli au­tobus sono pieni di studenti cristiani. At­taccarli non è frutto di errore», ma una de­liberata persecuzione. Warduni si è pure detto molto addolorato per il silenzio del governo: «Finora nessuno tra i responsa­bili delle istituzioni ci ha rivolto una parola di solidarietà», ha concluso Warduni.
L’ennesimo attacco dopo gli omicidi mi­rati e gli attentati contro le chiese duran­te tutta la campagna elettorale. In aprile, con il Paese paralizzato dalle contestazio­ni sul voto, le minacce non erano cessate.
Proprio ieri, a quasi due mesi dal voto del 7 maggio, a Baghdad è iniziato un nuovo conteggio manuale dei voti espressi nella capitale dopo che la lista del premier u­scente Nouri al-Maliki, sconfitto di misu­ra dal rivale Iyyad Allawi, aveva denun­ciato brogli. Un vuoto di potere nel quale la minoran­za cristiana teme di annegare. «Se le au­torità civili o militari non ci tutelano dob­biamo domandare l’aiuto internazionale: urge un intervento delle Nazioni Unite», ha dichiarato l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Georges Casmoussa. Un appel­lo condiviso nella sostanza dal ministro degli Esteri Franco Frattini: «Ora per l’U­nione europea non è più solo il tempo di far sentire la sua vo­ce, deve mobilitare tutte le sue amba­sciate nei Paesi in cui vengono perpetrate e restano impunite queste crudeltà». Tutti devono sapere che il «martirio reli­gioso purtroppo esi­ste, e che va denun­ciato e contrastato», ha concluso il titola­re della Farnesina.