DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Parole che non ti aspetti (da leggere attentamente). La spada nel mondo, per Cacciari solo la profezia salva la chiesa

Roma. Massimo Cacciari ha ben chiara la strada che la
chiesa deve imboccare per uscire dal pantano. “Senza
dubbio ci sono aspetti storico-contingenti, questioni di carattere
organizzativo come il reclutamento del clero. Ci sono
anche temi di fondo ma tradizionali e non propriamente
dogmatici come il celibato”. Da abolire? “Forse non del
tutto, diciamo da rivedere. Magari potrebbe essere riservato
ad alcune cariche nella chiesa”. Un po’ come nelle
chiese orientali dove è richiesto ai vescovi e ai monaci.
“Appunto. Comunque prima o poi dovranno decidersi ad
affrontare questi aspetti che, ripeto, riguardano solo la
tradizione, per quanto la tradizione sia fondamentale nella
chiesa come in qualsiasi corpo di questo genere. Così
dovranno ripensare al ruolo delle donne: un’effettiva rivitalizzazione
della chiesa passa attraverso l’esaltazione
della donna anche attribuendole ruoli istituzionalmente
più significativi, se non proprio il sacerdozio”.
Secondo Cacciari questi sono appuntamenti obbligati
nell’agenda della riforma ecclesiale, ma il suo cuore è altrove.
“Storicamente per la chiesa la riforma è sempre la
stessa: ritornare al Logos, al Verbo. Ogni volta che la chiesa
si è salvata il sedere è stato perché si è rimessa a predicare
il Verbo, quella è la riforma autentica. E quando lo
farà non sarà mai troppo tardi”. Insomma, concentrarsi di
nuovo sul nucleo evangelico. “Sì, la chiesa deve tornare al
paradosso del Vangelo, portare finalmente la spada in
questo mondo. Deve smetterla di inseguire questo e quello,
di parlare di federalismo e roba del genere, e tornare
a predicare verbum”. C’è chi diffida di questo profetismo,
lo giudica una deriva pericolosa. “Ma non è affatto vero,
la chiesa si è salvata in momenti infinitamente più drammatici
di questo proprio grazie alle derive profetiche.
Questa è la riforma vera, poi è chiaro che ci sono gli aspetti
organizzativi di cui dicevamo prima”. La questione del
potere, delle strutture, non può evaporare in un amen.
“Certo, per questo parlavo anche di una riforma nella e
della tradizione. Ma la chiesa non può accontentarsi di un
aggiornamento strutturale di fronte all’ateismo dilagante,
quello vero”. Si spieghi. “Il vero ateismo è la derisione sistematica
delle beatitudini che avviene nel mondo contemporaneo
e da questo tu chiesa non ti salvi se non predicando
il Verbo, a chi ci crede e a chi non ci crede”. Ecclesia
semper reformanda, la chiesa è sempre da rifare.
“Quante volte è successo nella storia? Pensiamo alla riforma
di Papa Gregorio Magno, a quella di san Francesco, di
Lutero e del concilio di Trento, del concilio Vaticano II.
Probabilmente la chiesa sarà in grado riformarsi ancora
una volta”. I tempi sembrano maturi, forse si è formata la
massa critica necessaria al salto di qualità. “Sì, la massa
critica c’è, però non vedo i segnali di una volontà riformatrice.
La chiesa attuale mi sembra del tutto inadeguata”.
Insomma la vede troppo arroccata, in trincea. “E qual è il
problema? San Francesco e san Domenico non venivano
mica fuori dalle gerarchie ecclesiastiche. San Francesco
non faceva parte della Conferenza episcopale italiana”.
Però non si pose mai fuori dalla chiesa. In ogni caso, lei
giudica le attuali strutture ecclesiastiche troppo pesanti.
“Ma la mia non è un’accusa, è la storia a dirci che i grandi
santi non escono dalle strutture. E per un credente questa
è la prova che lo Spirito Santo soffia dove vuole”. Il guru
della teologia progressista, Hans Küng, ha stilato un vasto
programma di riforma (pubblicato il 15 aprile su Repubblica)
in forma di lettera a tutti i vescovi del mondo.
“Sono critiche di carattere sociale, politico, non hanno alcuna
vitalità profetica”. Insomma dobbiamo aspettare
che, dal mezzo dell’assemblea dei credenti, qualcuno si alzi
e parli animato dallo Spirito. “Per uno che appartiene
alla chiesa non si tratta di aspettare, ma di operare”.
Dal tono delle sue risposte lei si mostra ancora molto
incuriosito del fenomeno cristiano. “Non è che mi incuriosisca,
lo studio e cerco di conoscerlo. Non si può ragionare
e capire qualcosa di questo mondo senza la presenza
viva di questa tradizione e dei suoi problemi”. In realtà il
filosofo Cacciari è molto ascoltato e non di rado applaudito
dalla cultura cattolica, incrocia spesso il microfono con
i maggiori teologi, da Coda a Sequeri a Salmann, e ha forti
legami con prelati di primo piano come Gianfranco Ravasi
e manager in clergyman come don Verzè. Come reagiscono
questi interlocutori cattolici alle sue riflessioni?
“Mi danno ragione”. Anche loro molto delusi, quindi.
“Non parlerei di delusione, non è una questione sentimental-
psicologica. Ciò che conta è che la chiesa torni ad
avere la forza e il respiro di predicare quella parola che
è segno di contraddizione, di inquietudine, di spaesamento
anche rispetto al vero ateismo. Che non è, come insiste
a dire il Papa, Nietzsche e l’irrazionalismo eccetera eccetera,
ma la pratica quotidiana del mondo. Non è che oggi
non si crede in Dio, è che ci si fa beffe di quel Signore che
ha pronunciato il discorso delle beatitudini”. Un ateismo
empirico che resiste alle confutazioni teologiche. “Per
questo occorre il grande esempio, occorre un nuovo san
Francesco”. Quindi la parola d’ordine della riforma ecclesiastica
è testimonianza. “Sì, ma nel vero senso della parola.
Il testimone è un martire”.

Marco Burini

© Copyright Il Foglio 13 maggio 2010