DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Prosperi cita il Grande Inquisitore: la chiesa teme la vera religione

Roma. Adriano Prosperi non ha ben chiaro cosa la
chiesa debba fare per uscire dal pantano. Non perché non
la conosca – è uno storico che studia i meccanismi del potere
ecclesiastico da una vita – ma perché non si sente parte
in causa e dunque stilare l’ipotetica agenda della riforma
è un esercizio che non lo attrae. “Non saprei cosa augurare
a un’istituzione di cui non condivido il modo di ragionare
e di funzionare. Posso deprecare che nel passato
abbia costituito l’organo dell’inquisizione che poi ha pervaso
i tribunali laici, ma da questo punto in poi resto senza
parole. Anche perché la pratica quotidiana della fede,
che pure non mi appartiene, la rispetto moltissimo”.
Se Prosperi consigli non ne dà, accetta però di guardare
in controluce un’istituzione che ciclicamente tenta di
riformarsi. “In realtà ecclesia semper reformanda è una categoria
apologetica. Come tutti gli organismi storici la chiesa
è partita da un certo punto, poi ha seguito i cavalloni
della storia e man mano si è trasformata. Perciò l’invito a
tornare alla purezza del Vangelo, avanzato da certi laici,
lascia il tempo che trova. Ancor prima che san Francesco
morisse, i francescani avevano creato una cosa che non
corrispondeva in nulla alla sua idea. La storia è così, non
si può protestare contro il flusso in cui siamo immersi. Si
tratta comunque di una realtà molto differenziata, almeno
quanto il mondo di religioni che ha preso forma dai Vangeli.
La chiesa ha una vasta udienza nel mondo che si è
meritata perché ha rafforzato i vincoli di unità, ha irrigidito
la struttura gerarchica, si è separata dai poteri secolari,
si è dotata di articolazioni di carattere politico, finanziario,
diplomatico. Tutte le ragioni per cui i riformatori nelle
varie epoche hanno contestato la chiesa sono le stesse
ragioni per cui oggi la chiesa appare un’istituzione caratteristica”.
Il suo limite è la sua forza, pare di capire. “Non
ci si preoccupa delle opinioni di un pastore protestante o
di un primate anglicano quanto degli orientamenti politici
e di costume di un Papa cattolico. Questo potere ha una
sua corposità e il fatto che la chiesa abbia conservato tale
assetto è tra i motivi della sua importanza attuale”.
Secondo Prosperi l’altro elemento da considerare è
quello “incontrollabile e fondamentale” della fede. “Penso
sempre a quella frase fulminante di Machiavelli quando
parla dei principati ecclesiastici che non hanno eserciti
e tuttavia si mantengono lo stesso: ‘Sendo quelli retti da
cagione superiore alla quale mente umana non aggiugne,
lascerò il parlarne; perché, sendo esaltati e mantenuti da
Dio, sarebbe offizio di uomo prosuntuoso e temerario discorrerne’.
Quando Stalin si chiedeva quante legioni avesse
il Papa dimenticava le legioni angeliche che sono incontrollabili
perché frutto della fede. Lo stalinismo ha affondato
l’idea del comunismo mentre l’idea cristiana non può
essere messa alla prova perché rimanda a un’altra dimensione”.
La chiesa ha due volti, trascendente e immanente,
è una realtà teandrica, difficile da maneggiare. “La storico
tedesco Wolfgang Reinhard ha scritto una biografia di
Paolo V Borghese in cui descrive la quantità di vincoli con
cui la curia romana teneva in pugno l’Italia di allora, un’enorme
rete clientelare. Il Papa non distribuiva solo beni
materiali, ma degli Agnus Dei benedetti (piccoli medaglioni
fatti con la cera del cero pasquale della Cappella Sistina,
ndr) che valevano più delle monete perché rendevano
clienti di un altro mondo. Tuttora nella natura umana il bisogno
di credere è fortissimo. Personalmente ho visto un’epoca
della storia italiana in cui la gente che pativa fame e
malattie trovava soccorso nella fede”.
Lo storico della Normale di Pisa è molto critico sulla
copertura mediatica dello scandalo. “Bisognerebbe riflettere
su come l’informazione italiana ha reagito agli eventi,
con quanta deferenza rispetto al resto del mondo ne abbia
parlato, per capire fino a che punto la chiesa cattolica
sia importante nel nostro paese. C’è chi ha parlato addirittura
di un atto di autoriforma della chiesa, ho notato
molto servilismo. I libri degli storici hanno raccontato
molte vicende di preti grassatori e violentatori, come
emergono dagli archivi criminali, ma l’unico profilo di
prete che tutti gli italiani conoscono – o conoscevano fino
a poco tempo fa – era quello di don Abbondio, forse un po’
vigliacco ma non un mascalzone”. Eppure ai tempi di san
Carlo Borromeo c’erano le prigioni episcopali per i preti
che si macchiavano di delitti gravi. “Sì, c’era un sistema
giudiziario autonomo, però è un dato di fatto che il delitto
della sollecitatio ad turpia (quando il prete usa la confessione
per indurre la o il penitente a rapporti sessuali, ndr)
non ha portato nessun prete in prigione. La priorità era tutelare
l’onore del clero”. Eppure oggi i tribunali della coscienza
– per usare il titolo di un suo noto studio su inquisitori,
confessori e mssionari – non sono certo quelli ecclesiastici.
La chiesa ha perso il suo potere di controllo. “Rimane
però la sua struttura di cui una politica priva di fede
tenta di impadronirsi. Le gerarchie conservano una
sindrome anticomunista e la simpatia per i conservatori.
In cambio ottengono l’insegnamento del catechismo nelle
scuole e il crocefisso come arredo negli spazi pubblici”.
Prosperi vede un cattolicesimo molto arroccato. “Oggi
la chiesa si batte contro il pluralismo. Ripenso a Rosmini
che si fece portatore presso Pio IX della proposta di un’Italia
federativa sotto la presidenza del Papa. Nel 1848 Pio
IX sembrava l’alfiere della libertà, la chiesa pareva sganciarsi
dai poteri dell’Ancien régime. Poi le cose sono andate
diversamente, è venuto il Sillabo, la condanna del liberalismo.
Oggi la sfida è simile e non so se la chiesa sappia
farvi fronte. Non rinuncia a una sua politica, a una segreteria
di stato, ad ammiccare al tal ministro o al tal governo.
C’è un passato che pesa e che si è incarnato in questa
specie di conchiglia romana. Non dimentichiamo che
il grande salto in avanti è dovuto a un uomo, Karol Wojtyla,
che ha lasciato completamente da parte la struttura romana,
con lui la curia non contava niente. Adesso torna in
primo piano con un uomo di grande cultura, un professore,
che però è cresciuto dentro di essa. Magari la detesta
e parla di sporcizia ma non è un pastore che gira per il
mondo, che dichiara che la chiesa aveva sbagliato su Galileo,
che immagazzina santi a volontà contro tutte le regole
antiche, che canonizza padre Pio”.
Secondo lo storico toscano è anche un problema di baricentro.
“Storicamente l’italianizzazione della curia e del
papato ha fatto sì che il nostro paese abbandonasse il percorso
degli stati nazionali moderni e si caratterizzasse come
il paese delle diversità tenuto insieme dal cattolicesimo.
Si tratta di un’egemonia in senso gramsciano, cioè di
un potere indiretto e superiore. Ma prima ancora Machiavelli
nei ‘Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio’ osservava:
‘E perché molti sono d’opinione che il bene essere delle
città d’Italia nasca dalla Chiesa romana, voglio contro a
essa discorrere… due potentissime ragioni. La prima è che
per gli esempli rei di quella corte questa provincia l’Italia,
che allora non era uno stato unitario, ha perduto ogni divozione
e ogni religione… Abbiamo adunque con la Chiesa
e con i preti noi italiani questo primo obligo: di essere
diventati sanza religione e cattivi’. L’altra ragione era allora
quella della divisione politica del paese voluta dal papato”.
Secondo Prosperi lo stato di minorità non è terminato:
“Ostensioni di presunte reliquie e di Madonne piangenti
e sanguinanti e il divieto al popolo di leggere la Bibbia
hanno fatto degli italiani un popolo ignorante e superstizioso.
Con grande soddisfazione di chi nelle gerarchie si
batte contro relativismo, illuminismo e darwinismo”. Eppure
dove hanno prevalso i protestanti il cristianesimo
non gode di ottima salute. “Il mondo è stato profondamente
trasformato dalla Riforma. In seguito l’Italia e altri paesi
cattolici hanno recuperato socialmente e sul piano economico
ma sul piano dell’opinione pubblica, della quantità
di libri che si leggono, dello statuto della coscienza, sono
un passo più indietro. Può darsi che sia una situazione
migliore – la dieta mediterranea non è certo peggiore del
fast food – ma la differenza c’è”. E a colmarla non basterà
un profeta, sostiene Prosperi. “L’apologo del Grande Inquisitore
di Dostoevskij resta vero: la forza eversiva della
religione la chiesa la tiene rinchiusa nei suoi forzieri. Profeti
e messia sono presenze pericolosissime”.

Marco Burini


© Copyright Il Foglio 18 maggio 2010