Dalla scuola una lezione sull'emergenza educativa
di Giorgio Paolucci
Il bullismo è diventato una delle piaghe del mondo giovanile, e la scuola è il palcoscenico preferito per mettere in scena le imprese di violenti e prevaricatori. Il tutto si consuma nell’impotenza o nella complicità di chi assiste allo 'spettacolo' e nella crescente difficoltà a trovare rimedi efficaci per contrastare il fenomeno. Serve certamente più rigore, ma può bastare il rigore per andare alla radice del problema, e soprattutto per innescare percorsi di positività e di reale cambiamento?
Accadono fatti da cui si può imparare molto, imprevisti e insieme emblematici. Eccone uno. Allo squillare della campanella che segnala l’inizio delle lezioni, un gruppo di ragazzi di terza media interrompe un’improvvisata partitella di calcio, ma uno di loro non vuole smettere e tira una violenta pallonata contro i compagni 'rei' di voler entrare in classe. Ne colpisce uno in piena faccia mandando in frantumi gli occhiali. Una dinamica simile si era già innescata nei giorni precedenti, con altre pallonate provocatoriamente tirate dal bullo di turno all’insegna della legge del più forte: non giochi con me, peggio per te.
Che fare? Il colpevole nega tutto, la scuola vuole-deve dare un segnale forte, certi episodi di intolleranza non sono ammissibili. Il preside e gli insegnanti si consultano: la sospensione è il provvedimento più efficace? Si decide di percorrere un’altra strada: si convoca la madre del 'bullo', alla quale viene comunicato l’accaduto proponendole – come punizione e a parziale risarcimento del danno – di ritirare il figlio dalla gita di due giorni in montagna programmata per il fine settimana, dando la quota di iscrizione alla vittima perché possa comprarsi gli occhiali. La madre concorda sulla soluzione proposta, la classe assiste ammutolita al tentativo di 'conciliazione' tra le parti.
Accade però un fatto inaspettato: il giorno dopo, i genitori del ragazzo con gli occhiali rotti restituiscono il denaro e chiedono che il compagno del figlio venga riammesso alla gita: «Abbiamo deciso insieme di perdonare».
Insegnanti e preside restano spiazzati. Lo studente ha sbagliato, loro hanno proposto una punizione esemplare, ma adesso lui può inaspettatamente beneficiare di qualcosa che trapassa la logica consueta: può scoprire che la misura con cui tratta gli altri non è la misura con cui viene trattato.
Il ragazzo, che fino al giorno prima aveva negato di avere tirato la pallonata, chiede scusa al compagno. Insieme vanno dal preside e la vittima rinnova la richiesta già fatta dai genitori: vuole perdonare. Il tutto avviene tra lo stupore dei ragazzi, dei genitori del colpevole e degli stessi insegnanti. Una logica impopolare e del tutto inattesa si è insinuata tra le pieghe di una comunità, ha incrinato le fragili certezze delle regole, ha fatto breccia nelle menti e nei cuori. Ha dimostrato con l’evidenza di un fatto che la logica della violenza può essere battuta dalla forza del perdono. In quella scuola è andata in scena una piccola-grande lezione di umanità che resterà indelebilmente impressa nella mente dei ragazzi.
Più di una formula matematica o di una poesia mandata a memoria. Li renderà più uomini, e forse più umana la società che dovranno costruire.
Accadono fatti da cui si può imparare molto, imprevisti e insieme emblematici. Eccone uno. Allo squillare della campanella che segnala l’inizio delle lezioni, un gruppo di ragazzi di terza media interrompe un’improvvisata partitella di calcio, ma uno di loro non vuole smettere e tira una violenta pallonata contro i compagni 'rei' di voler entrare in classe. Ne colpisce uno in piena faccia mandando in frantumi gli occhiali. Una dinamica simile si era già innescata nei giorni precedenti, con altre pallonate provocatoriamente tirate dal bullo di turno all’insegna della legge del più forte: non giochi con me, peggio per te.
Che fare? Il colpevole nega tutto, la scuola vuole-deve dare un segnale forte, certi episodi di intolleranza non sono ammissibili. Il preside e gli insegnanti si consultano: la sospensione è il provvedimento più efficace? Si decide di percorrere un’altra strada: si convoca la madre del 'bullo', alla quale viene comunicato l’accaduto proponendole – come punizione e a parziale risarcimento del danno – di ritirare il figlio dalla gita di due giorni in montagna programmata per il fine settimana, dando la quota di iscrizione alla vittima perché possa comprarsi gli occhiali. La madre concorda sulla soluzione proposta, la classe assiste ammutolita al tentativo di 'conciliazione' tra le parti.
Accade però un fatto inaspettato: il giorno dopo, i genitori del ragazzo con gli occhiali rotti restituiscono il denaro e chiedono che il compagno del figlio venga riammesso alla gita: «Abbiamo deciso insieme di perdonare».
Insegnanti e preside restano spiazzati. Lo studente ha sbagliato, loro hanno proposto una punizione esemplare, ma adesso lui può inaspettatamente beneficiare di qualcosa che trapassa la logica consueta: può scoprire che la misura con cui tratta gli altri non è la misura con cui viene trattato.
Il ragazzo, che fino al giorno prima aveva negato di avere tirato la pallonata, chiede scusa al compagno. Insieme vanno dal preside e la vittima rinnova la richiesta già fatta dai genitori: vuole perdonare. Il tutto avviene tra lo stupore dei ragazzi, dei genitori del colpevole e degli stessi insegnanti. Una logica impopolare e del tutto inattesa si è insinuata tra le pieghe di una comunità, ha incrinato le fragili certezze delle regole, ha fatto breccia nelle menti e nei cuori. Ha dimostrato con l’evidenza di un fatto che la logica della violenza può essere battuta dalla forza del perdono. In quella scuola è andata in scena una piccola-grande lezione di umanità che resterà indelebilmente impressa nella mente dei ragazzi.
Più di una formula matematica o di una poesia mandata a memoria. Li renderà più uomini, e forse più umana la società che dovranno costruire.
«Avvenire» del 13 maggio 2010