DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Le “spintarelle” che intorbidano il caso della moschea di Ground Zero

di Stefano Pistolini

Tratto da Il Foglio del 20 agosto 2010

Creare i presupposti affinché una certa cosa vada in un certo modo. Insinuando, ad esempio, che nessuno desidera davvero una moschea accanto a Ground Zero. Un filosofo riverito come Cass Sunstein chiama queste attività “nudge”, “spintarelle” più o meno palesi che condizionano l’opinione pubblica, spingono i cittadini a muoversi in una certa direzione e convincono gli elettori a sposare una tesi.

Il caso del tempio islamico che alcuni vorrebbero costruire nel cuore di Manhattan sembra un classico del “nudge”. Negli ultimi giorni, molti hanno parlato di dubbi, ripensamenti e clamorosi cambi di scenario fra i responsabili del progetto che sono capeggiati dall’imam Rauf. Si è venuto a sapere che gli ideatori della moschea sarebbero disposti a discutere le proprie intenzioni, accogliendo le proposte del governatore di New York, David Paterson, e valutando l’opportunità di spostare il tempio un po’ più in là, sempre in zona, ma in un posto giudicato meno sensibile – c’è anche chi osserva che i non newyorkesi non sappiano quanto siano grandi due mega isolati come quelli di Lower Manhattan. Persino il nome della moschea potrebbe cambiare: in un primo momento doveva essere chiamata Cordoba House, ma adesso, per stuzzicare di meno l’opinione pubblica, il nome scelto ricorda semplicemente l’indirizzo dell’edificio, Park 51. Le fonti di queste notizie, tuttavia, non sono sempre chiare.

Ha cominciato il quotidiano israeliano Haaretz, che ha pubblicato alcune indiscrezioni sul nuovo orientamento del gruppo Rauf. A ruota, il network Cbs ha parlato ripetutamente di un incontro tra i rappresentanti della Cordoba Initiative e il governatore Paterson, che si sarebbero dovuti confrontare sul rapporto tra toponomastica ed emotività nella Manhattan del presente. E’ così che la bolla mediatica ha cominciato a gonfiarsi: sono arrivati i primi commenti sull’eventuale cambio di rotta, gli assensi e i dissensi, si è discusso di nuovi scenari ed è intervenuto persino l’arcivescovo cattolico di New York, Timothy Dolan, che ha consigliato mediazione e trasloco e ha citato l’esempio del ‘93, quando Giovanni Paolo II rimosse le suore cattoliche dal convento sul sito del campo di Auschwitz in seguito alle proteste dei leader ebrei.

A questa atmosfera da revisionismo ha contribuito lo Studio ovale, con le precisazioni del presidente americano, Barack Obama, che pochi giorni prima si era espresso a favore della più completa libertà di culto – e, quindi, aveva implicitamente benedetto la costruzione della moschea. Mentre Obama diceva che passare dall’universale al particolare richiede aggiustamenti e riflessioni, è sembrato di capire che anche l’imam Rauf e i suoi fossero pronti a rivedere il progetto, un gesto conciliante e rispettoso nei confronti dell’America che si scontrava con quanto predicato sino ad allora, ovvero l’intenzione d’avvicinare, connettere, intrecciare il lutto cristiano con quello musulmano.

Questo sviluppo della storia ha provocato in poco tempo aggiustamenti tra i politici, se è vero che democratici di massimo rilievo come Harry Reid hanno pubblicamente detto “no, grazie” alla moschea, e repubblicani di peso come Grover Norquist hanno dichiarato che la questione poteva diventare una terribile trappola per i conservatori, schiacciati da un nuovo peccato d’intolleranza e condannati a perdere una grande quantità di voti “etnici” nelle imminenti elezioni di midterm. Il “nudge”, quindi, stava camminando da solo, stava producendo il suo effetto domino. E’ stato a quel punto che gli uffici della Cordoba Initiative hanno trasmesso un comunicato ufficiale che andava nella direzione opposta: “Siamo intenzionati a mantenere la location che già abbiamo annunciato per la costruzione del nostro community center”, diceva il documento. Nessun incontro col governatore Paterson è in agenda. Punto. Niente trasloco, soltanto allusioni, non suffragate da fatti.

La conclusione è che esiste un filone narrativo principale di questa vicenda dal potente valore simbolico, ma che attorno a esso si manifestano numerosi effetti collaterali, potenzialmente in grado di destabilizzare l’opinione pubblica. Insinuare dubbi sulla solidità delle intenzioni degli islamici è un modo per offuscare la chiarezza del loro progetto, a prescindere dal fatto che lo si condivida o meno (un nuovo sondaggio parla del 63 per cento di contrari tra i newyorkesi intervistati). Ma al tempo stesso, accendere bengala mediatici come quelli citati rende friabile il terreno, tanto più per gli sviluppi politici della faccenda. Quel che è certo è che l’utilizzo delle “spintarelle” è oggi una tecnica codificata. Individuare, attribuire e analizzare i “nudge” (a chi conviene? chi si vuole deligittimare?) dovrebbe diventare un’attività abituale del corredo informativo, in questi nostri anni Dieci.