Tratto da Il Foglio del 2 settembre 2010
Roma. Il suo ultimo segno di vita è stato un sms alla famiglia: “Tutto questo è troppo per me”. Poi il suicidio, o presunto tale.
C’è mistero sulla fine del giudice donna Kirsten Heisig, che si dice non abbia retto al lavoro massacrante che svolgeva da anni. Era la più nota e agguerrita giudice minorile di tutta la Germania. Nel suo libro, inviato all’editore prima di morire e che porta il titolo emblematico di “La fine della pazienza”, Heisig adesso declama, ma dall’aldilà, la fine del multiculturalismo tedesco.
Il libro non lo ha scritto dall’empireo delle idee, ma dal campo, raccontando il fallimento della società dell’accoglienza e dell’integrazione, sentenza dopo sentenza. Heisig dipinge la Berlino che nessun turista vede mai: un calderone di criminalità, ghetti multiculturali, immigrazione anarchica e leggi inservibili. In un paese già segnato dal “caso Sarrazin”, il banchiere centrale di sinistra che ha criticato duramente l’islam in Germania (ma è anche accusato di antisemitismo), arriva ora il pamphlet esplosivo del “giudice coraggio” suicida (è la tesi prevalente) pochi giorni prima dell’uscita del volume.
“Das Ende der Geduld”, questo il titolo del libro, è in testa alla saggistica tedesca secondo la classifica dello Spiegel. La Germania è sotto choc nell’apprendere, tramite Heisig, che bande di criminali mediorientali stanno introducendo illegalmente in Germania bambini palestinesi sottratti dai campi profughi del medio oriente. La legge tedesca, peraltro, nulla può sui minori di quattordici anni: non possono nemmeno essere rimpatriati.
Il magistrato tedesco lavorava nel più grande ghetto multiculturale nella parte ovest di Berlino, dove delle 300mila persone il 40 per cento è composto da immigrati e dove regna un tasso di disoccupazione del 19 per cento. “Richterin Gnadenlos”, è così che Heisig veniva chiamata: il giudice senza pietà, o anche il “terrore di Neukölln”. Neukölln, capitale meticcia nel cuore della capitale tedesca a ridosso della linea dell’ex Muro, è il paesaggio di rovine e illusioni che fa da sfondo al pamphlet. Un quartiere che i media chiamano “Problemkieze”, problematici. O con un’altra formula icastica, il “miniprincipato ottomano” di Germania, fondato sulla frutta e sui commerci. Un misto di rigetto e autoisolamento: turchi con turchi, tamil con tamil, arabi con arabi in un puzzle scomposto di 139 etnie. Le donne, coperte dal chador islamico, camminano qualche passo dietro all’uomo.
“Qui, alcuni vivono come nel medioevo”, ha ammesso Heinz Buschkowsky, il sindaco di Neukölln, un altro socialdemocratico che da tempo ha rotto con i tabù del multiculturalismo. Qui, alle elementari, il 95 per cento dei bambini non parla il tedesco come madre lingua e molti non lo parlano proprio. Non bastasse, luoghi di culto cristiani sono stati venduti a comunità musulmane per essere trasformati in centri islamici. Il quartiere dove lavorava Heisig ha la più alta percentuale di “delitti d’onore”. Donne “colpevoli” di vivere, vestirsi e amare all’occidentale. Padri, fratelli e mariti che uccidono figlie, sorelle, mogli. Botte, coltellate, colpi di pistola. Spesso mai denunciate alla polizia.
“I giovani turchi e arabi non sono interessati ai valori e alle leggi della Germania”, si legge nel libro di Heisig. “Sono indifferenti al sistema”. Nella capitale tedesca, ricorda il magistrato, “circa il 90 per cento dei criminali che compiono almeno trenta reati l’anno ha un background migratorio, il 45 per cento è di origini arabe, il 34 per cento ha radici turche”. Viviamo in una società, attacca Heisig, in cui i problemi vengono ignorati consapevolmente, “per tradizione da parte degli immigrati e per comodità da parte dei tedeschi”. La soluzione proposta dall’autrice è un taglio dei benefici sociali del generosissimo welfare germanico. Ma “vorrei che le future generazioni avessero le stesse possibilità che ho avuto io”, conclude sconsolata Heisig. Oggi il mistero circonda il suicidio dell’autrice, anche perché – secondo i più – il suo libro fin troppo ingombrante lascia immaginare una possibile vendetta delle gang criminali islamiche.