Per la Cina il Vaticano ha un nuovo stratega, l'arcivescovo Hon
Il nuovo segretario cinese di "Propaganda Fide" espone per la prima volta i suoi giudizi e i suoi piani. Più moderati di quelli del "falco" Zen, ma neppure cedevoli a un "dialogo a tutti i costi" con le autorità di Pechino
di Sandro Magister
ROMA, 4 aprile 2011 – Alla fine della scorsa settimana, quasi nelle stesse ore, due esponenti di peso della Chiesa cattolica, entrambi cinesi, hanno espresso due differenti giudizi sul difficile momento che la Chiesa attraversa in Cina.
Il primo è il cardinale Giuseppe Zen Zekiun, già vescovo di Hong Kong, oggi a riposo ma sempre attentissimo a ciò che accade nel suo paese.
Venerdì 1 aprile il cardinale Zen ha pubblicato su "Asia News", l'agenzia on line del Pontificio Istituto Missioni Estere, un veemente atto d'accusa contro il "triumvirato" che vorrebbe replicare con la Cina la Ostpolitik praticata nel secolo scorso dal Vaticano con i regimi comunisti. Una politica di "dialogo a tutti i costi" – scrive Zen – disastrosa allora e ancor più disastrosa oggi, il cui solo risultato sarebbe di "sprofondare sempre di più i cattolici cinesi nella melma della schiavitù".
Il triumvirato messo sotto accusa da Zen è composto dal cardinale Ivan Dias, prefetto della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, da un "minutante" della stessa congregazione vaticana, e dal padre Jerome Heyndrickx, celebre sinologo e loro stratega. I tre agirebbero – secondo Zen – sia contro la linea dettata da Benedetto XVI nella sua lettera alla Chiesa in Cina del 2007, sia contro l'opinione della stragrande maggioranza della commissione che il papa ha istituito per seguire la situazione cinese, della quale lo stesso Zen fa parte.
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Il secondo alto dirigente della Chiesa che lo stesso giorno, venerdì 1 aprile, ha preso la parola sul caso della Cina è l'arcivescovo Savio Hon Taifai (nella foto), con un'intervista al quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", raccolta dal vaticanista Gianni Cardinale.
Monsignor Hon, 61 anni, è il primo cinese arrivato a coprire un incarico superiore nella curia romana. Lo scorso 23 dicembre Benedetto XVI lo ha nominato segretario della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, che ha competenza su tutti i territori di missione, Cina compresa.
Originario di Hong Kong, alto, fisico asciutto, gioviale, monsignor Hon si definisce un "teologo poco diplomatico".
Infatti, in questa sua intervista, che è la prima da lui data finora, Hon esprime giudizi molto diretti. Senza schivare nessuna questione. Descrive con semplici tratti anche le visioni opposte del cardinale Zen e di padre Heyndrickx. E non nasconde di essere più vicino al primo, pur non seguendolo in tutto.
L'intervista di Hon è riprodotta più sotto. Ma per inquadrarla occorre prima riassumere brevemente ciò che è accaduto negli ultimi mesi tra il governo cinese e la Chiesa cattolica.
Lo scorso 30 marzo è stato ordinato in Cina, a Jiangmen, un nuovo vescovo: Paul Liang Jiansen, 46 anni. La sua nomina è stata "approvata" dalla Santa Sede e contemporaneamente "autorizzata" dalle autorità cinesi.
Tra il 18 aprile e il 15 novembre del 2010 altri dieci vescovi sono stati ordinati in Cina con l'approvazione congiunta di Roma e di Pechino, nelle diocesi di Hohot, Haimen, Xiamen, Sanyuan, Taizhou, Yan'an, Taiyuan, Yuncheng, Nanchang, Zhoucun.
In mezzo, però, il 15 novembre, c'è stata nella diocesi di Chengde un'ordinazione illecita, compiuta cioè per volere del solo governo, senza l'approvazione del papa. Era dal 2006 che non si era più fatta in Cina un'ordinazione episcopale illecita.
E poco dopo, dal 6 all'8 dicembre, le autorità cinesi hanno radunato a Pechino un'assemblea nazionale di rappresentanti cattolici, alla quale hanno partecipato 45 vescovi molti dei quali approvati dal Vaticano, e sono stati eletti i vertici della conferenza episcopale e dell'associazione patriottica: due organizzazioni né l'una né l'altra riconosciute dalla Santa Sede.
Sia l'ordinazione illecita di Chengde, sia l'assemblea di Pechino sono state disapprovate dalla Santa Sede con comunicati molto forti nei toni, del 24 novembre e del 17 dicembre.
Ecco dunque l'intervista di Gianni Cardinale con l'arcivescovo Hon, segretario della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, ripresa da "Avvenire" del 1 aprile.
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"PURTROPPO È CRESCIUTO IL NUMERO DEGLI OPPORTUNISTI"
Intervista con Savio Hon Taifai
D. – Eccellenza, quali sono state le reazioni alla sua nomina, nella sua patria?
R. – Molto positive a Hong Kong. Ho ricevuto molte congratulazioni anche da comunità e vescovi della Cina continentale. Hanno considerato la mia nomina come un vero e proprio regalo di Natale da parte del Ppapa.
D. – E dal governo cinese e dagli organismi ufficiali della Chiesa?
R. – Nessuna reazione. Forse è meglio così, come si dice in inglese: "no news, good news". Non hanno voluto esprimere nessun giudizio: né positivo, né negativo. Mi sembra un atteggiamento di prudente attesa.
D. – Lei ha viaggiato molto nella Cina continentale. Quando l'ultima volta?
R. – Sono stato a Shanghai dall'8 al 13 dicembre scorso. Proprio in corrispondenza dell'ottava assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi che si è tenuta a Pechino dal 7 al 9 di quel mese.
D. – Che giudizi ha raccolto a riguardo?
R. – Gli amici e gli studenti con cui ho parlato erano tutti molto critici. Può essere comunque che qualcuno era favorevole, ma non voleva dirlo davanti a me. Ho parlato pure con quelli che sono tornati da Pechino. Anche loro, con me, erano critici. E dicevano che avevano subito enormi pressioni per partecipare.
D. – In quella occasione la Santa Sede ha emanato un comunicato molto duro...
R. – Sì. Devo dire però che non tutti i partecipanti erano stati costretti a farlo. C'è chi lo ha fatto spontaneamente, come spontaneamente aderisce alla politica di "autonomia" della Chiesa cinese dal papa e dalla Santa Sede.
D. – Anche tra i vescovi?
R. – Purtroppo anche tra i vescovi, anche tra quelli riconosciuti da Roma. A Pechino non pochi di loro si sono precipitati dal nuovo vescovo di Chengde, consacrato illecitamente poche settimane prima, per congratularsi con lui, per fare fotografie con lui, e questo non erano obbligati a farlo. Insomma: a questa assemblea hanno partecipato 45 vescovi, di un età media inferiore ai 50 anni. Alcuni di loro sono stati portati a forza, altri no.
D. – E quali conclusioni trae da questa constatazione?
R. – Che, purtroppo, è cresciuto il numero degli opportunisti.
D. – E qual è la causa?
R. – Una mancanza di formazione adeguata nel clero. Ma anche qualche lacuna nella scelta dei candidati all'episcopato. A volte non sono stati promossi i migliori, ma si sono preferite nomine di compromesso. Ormai da un po' di anni, infatti, i governanti cinese hanno compreso che i vescovi illegittimi non saranno mai accettati veramente dai fedeli, e così preferiscono lavorare affinché sacerdoti ligi alle loro indicazioni vengano consacrati vescovi con il "placet" della Santa Sede.
D. – Quindi lei ritiene che sia necessaria una migliore formazione dei candidati al sacerdozio e un più attento discernimento da parte della Santa Sede nella scelta dei candidati all'episcopato. Questo vuol dire che negli ultimi anni non è stato sempre così?
R. – Non è solo una mia opinione. Spesso in Cina continentale ho sentito lamentele di fedeli e sacerdoti per scelte episcopali di compromesso. Devo aggiungere però che la Santa Sede ha sempre avuto, giustamente, la preoccupazione di evitare ordinazioni illegittime.
D. – Ed è difficile trovare l'equilibrio tra questa esigenza e quella di evitare ordinazioni legittime ma di compromesso.
R. – In effetti è così. Scegliere buoni candidati è difficile. Il governo ritiene che nel presentare elenchi di candidati accettabili dal suo punto di vista, fa già una grande concessione. E se la Santa Sede rifiuta di dare il "placet", allora minaccia di farli consacrare comunque...
D. – Come è successo lo scorso novembre a Chengde.
R. – Sì, per me quello è stato un messaggio chiaro, il governo ha voluto dire: a casa mia comando io. Un segnale che ci ha fatto quasi ritornare agli anni Cinquanta, come se alcuni cenni di dialogo che pure si sono registrati non ci fossero mai stati.
D. – Come ricominciare questo dialogo?
R. – Il governo cinese ha funzionari molto preparati e abili nel negoziare e così devono essere anche gli interlocutori della nostra parte. Prima di tutto però bisognerebbe capire se il governo ha veramente voglia di trovare un accordo con la Santa Sede oppure no.
D. – Su questo, e su altro, divergono le opinioni di due grandi conoscitori della Cina: il cardinale Joseph Zen e il padre Jerome Heyndrickx. Lei come valuta questo dibattito?
R. – Padre Heyndrickx fa due premesse. La prima è che il governo cinese ha buone intenzioni, compresa quella di firmare un accordo con la Santa Sede. La seconda è che dopo la lettera del Papa ai cattolici cinesi del 2007 le cosiddette comunità clandestine non hanno più ragione di esistere. Dall'altra parte il cardinale Zen, che conosce molto bene la realtà e la mentalità cinese, non ha molta fiducia nelle autorità comuniste. Lui ritiene, a ragione, che se il governo vuole suscitare questa fiducia deve compiere degli atti concreti che però finora non si sono visti. Ad esempio, dare la libertà alla Chiesa di scegliere i propri vescovi. Inoltre il cardinale Zen, e io con lui, ritiene che le comunità clandestine hanno ancora ragione di esistere.
D. – Un'ultima domanda. Perché per i vescovi ordinati illecitamente e per i loro consacranti non è stata dichiarata la scomunica?
R. – In realtà per chi riceve e per chi compie una ordinazione illegittima è prevista la scomunica immediata. Ci possono essere però degli elementi attenuanti, per chi ad esempio è forzato ad avere un ruolo in questi atti. Credo che la Santa Sede, prima dichiarare pubblicamente la scomunica, stia indagando i singoli casi per verificare queste attenuanti. Ma si tratta di un processo comprensibilmente delicato e lungo.
D. – Qual è il suo giudizio su questi vescovi illegittimi?
R. – Ci sono casi di candidati che si fanno consacrare vescovi illecitamente con il retropensiero che nel giro di poco tempo, su loro implorazione, la Santa Sede concederà il perdono e piena legittimità. Bisogna stare attenti a contrastare questo tipo di calcoli. Detto questo però bisogna sempre tener presente che la Chiesa è il Corpo di Cristo e se c'è un pezzettino di questo Corpo che si sta staccando non bisogna lasciarlo andare ma cercare di recuperarlo con giustizia ma anche con misericordia.
L’ira del card. Zen sul “dialogo a tutti i costi” di p. Heyndrickx e Propaganda Fide
di Card. Joseph Zen Zekiun, sdb
Lo “stato disastroso” della Chiesa in Cina è causato dalla politica di Pechino, ma anche dalla politica vaticana, troppo simile alla fallimentare Ostpolitik del card. Casaroli. Attuare il dialogo, ma senza svendere la nostra fede. Rischio di scisma per quei vescovi che sono “entusiasti” nell’ubbidire al regime. Uno spirito di penitenza e conversione per tutti.