DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Pakistan. Chiesa Cattolica, legge sulla blasfemia. Cronaca da una comunità perseguitata


Salvate i cristiani e il Pakistan dalla legge sulla blasfemia

di Dario Salvi

La legge sulla blasfemia – prigione e condanna a morte per chi offende il Corano o Maometto – è uno strumento per eliminare le minoranze religiose. AsiaNews lancia una campagna di sensibilizzazione perché sia abrogata. A causa di essa, dal 2001 sono stati uccisi almeno 50 cristiani, distrutte famiglie e interi villaggi. Anche nel Paese emergono voci cristiane e islamiche che chiedono la cancellazione della norma.

Roma (AsiaNews) – Robert Fanish Masih è solo l’ultima vittima cristiana, in ordine di tempo, della legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan dal 1986. Questa legge punisce con ergastolo o pena di morte chi profana il Corano o dissacra il profeta Maometto e basta essere accusati da una sola persona per essere arrestati ed eliminati. Una norma aberrante, foriera di discriminazioni, che “legalizza” violenze contro le minoranze religiose e i cui autori rimangono il più delle volte impuniti, grazie alla connivenza delle forze di polizia e dei funzionari di governo.
Robert, 20enne originario del villaggio di Jaithikey, poco distante dalla città di Samberial, nel distretto di Sialkot (Punjab), era stato arrestato il 12 settembre scorso con l’accusa di blasfemia. Il giorno precedente una folla di musulmani si era riunita attorno alla chiesa locale danneggiando prima l’edificio, poi gli hanno dato fuoco. Gli estremisti hanno anche saccheggiato due abitazioni adiacenti la chiesa.
Il giovane era stato accusato di aver “provocato” una ragazza, prendendo una copia del Corano che aveva fra le mani e “gettandola via”. In realtà, a scatenare l’ira dei fondamentalisti islamici vi era la relazione fra il ventenne cristiano e la ragazza musulmana; uno dei testimoni che ha incriminato Fanish, infatti, è la madre della giovane. Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica (Ncjp), aveva chiarito che i fondamentalisti “non sopportano che una ragazza musulmana si innamori di un cristiano”.
La notte fra il 12 e il 13 settembre Robert Fanish Masih è morto, in carcere, per le violenze subite. Il corpo del giovane, infatti, presentava segni evidenti di ferite profonde alla testa, provocate da un’arma da taglio. Poco dopo il ritrovamento del cadavere, Waqar Ahmad Chohan, ufficiale del distretto di polizia di Sialkot, ha riferito che Fanish si sarebbe “suicidato in cella”. Una tesi smentita con fermezza da numerosi leader cristiani, alcuni dei quali hanno potuto vedere il corpo del giovane prima dei funerali. Nadeem Anthony – membro della Commissione nazionale per i diritti umani (Hrcp) – ha subito denunciato un caso di “omicidio legalizzato”, smentendo la versione degli agenti che parlavano di “impiccagione in carcere”.
L’attivista ha quindi aggiunto che il giovane “ha subito torture, in seguito alle quali è deceduto. Sono visibili i segni delle percosse e delle ferite sul corpo, come emerge dalle fotografie”. Nei giorni seguenti alla morte, AsiaNews ha ricevuto gli scatti del cadavere, che confermano le torture inferte, le quali nulla hanno a che vedere con i segni di strangolamento da impiccagione.
Ai funerali di Fanish Masih, celebrati il 16 settembre, vi sono stati lanci di gas lacrimogeni, numerosi feriti e una serie di arresti; la polizia ha caricato la folla di cristiani radunata per le esequie, giustificando il duro attacco dicendo che “volevano prevenire ulteriori disordini”. Il corpo è stato sepolto in un cimitero cattolico di Sialkot, il distretto d’origine del giovane, dove per diversi giorni ha regnato un’atmosfera carica di tensione.
Le accuse di blasfemia montano spesso fino a decretare la distruzione di case e villaggi cristiani. Lo scorso 30 luglio una folla di 3 mila musulmani ha attaccato e incendiato i villaggi di Koriyan per punire un presunto caso di blasfemia. Il 1° agosto i fanatici hanno attaccato il villaggio di Gojra, uccidendo 7 persone, fra cui donne e bambini, incendiati vivi. La storia degli ultimi decenni in Pakistan è piena di assalti a chiese e villaggi cristiani motivati da scandali sulla blasfemia montati ad arte: Kasur (giugno 2009); Tiasar (Karachi, aprile 2009); Sangla Hill (2005); Shantinagar (1997).
Il Joint Action Committee for People’s Rights (Jac), organizzazione non governativa pakistana che si batte per i diritti umani nel Paese, manifesta “grande preoccupazione” per le violenze in continua crescita, mentre la comunità cristiana lancia appelli – finora caduti nel vuoto – perché venga fatta giustizia; le promesse di risarcimento sono, al momento, rimaste disattese. Le violenze di gruppi musulmani contro cristiani, giustificate con la blasfemia, costituiscono una lunga lista. Esse non riguardano solo cristiani, ma anche altre minoranze e non solo individui, ma villaggi e interi paesi.
Di fronte al crescere di tale violenza gratuita e meschina, coperta dal manto della religione, cominciano ad emergere voci sempre più forti. Il 6 ottobre scorso, alla Camera bassa del Parlamento Sherry Rehman, ex Ministro dell’informazione, e Jameela Gilani, entrambe di fede musulmana, hanno chiesto l’abrogazione della legge sulla blasfemia.
Lo stesso giorno, il parlamentare cristiano Akram Masih Gill lancia una provocazione: “Se esiste l’ergastolo – afferma – per blasfemia contro il Profeta Maometto e il Corano, perché non introduciamo una simile punizione per chi infanga il nome di Cristo e la Bibbia?!”. Fiduciosi di questo appoggio interconfessionale, il 25 ottobre scorso i leader del Pakistan Christian Congress (Pcc), che raduna tutte le organizzazioni cristiane del Paese, hanno indetto una conferenza, a Rawalpindi sotto la minaccia dei fondamentalisti islamici. L’obiettivo era “l’abolizione totale delle leggi sulla blasfemia”.
A sua volta, per il 12 e 13 dicembre prossimi, l’International Minorities Alliance (Ima), organizzazione di ispirazione cristiana, ha indetto una “Conferenza internazionale sulle minoranze” a Lahore per discutere il futuro del Pakistan e delle minoranze. Il Pakistan, infatti, nato come Stato laico, a difesa di tutte le comunità etniche e religiose, è divenuto via via una Repubblica islamica che uccide le minoranze, anche quelle più devote alla costruzione del Paese.
L’abolizione della legge sulla blasfemia e di tutte le leggi contro le minoranze sono anche la strada per un vero progresso di tutta la popolazione pakistana.
Con questo dossier, AsiaNews, da sempre attenta alle questioni legate alla libertà religiosa e al rispetto dei diritti umani, intende offrire qualche strumento per capire e anche per solidarizzare con cristiani, ahmadi e sikh contro questa legge infamante.




La Chiesa cattolica in Pakistan (Scheda)


I cattolici sono meno dell’1% su un totale di oltre 160 milioni di abitanti. Nel Paese vi sono due arcidiocesi, quattro diocesi e una prefettura apostolica. Una piccola minoranza attiva e apprezzata per il suo impegno nei settori dell’educazione, aiuto ai poveri, assistenza sanitaria e interventi nei casi di emergenza.

Islamabad (AsiaNews) – Il Pakistan conta poco più di 160 milioni di abitanti ed è il secondo Paese musulmano al mondo, dopo l’Indonesia. Circa il 95% della popolazione professa l’islam, con un 75% di fede sunnita e il 20% di sciiti; i cristiani sono il 2% circa del totale (cattolici meno dell’1%), l’1,8% sono induisti, il rimanente 1,2% professa altre religioni, tra cui sikh, parsi, ahmadi, buddisti, ebrei, bah’ai e animisti.
Fra i centri con la maggiore presenza di cattolici vi è la diocesi di Lahore, nel Punjab, con 390 mila fedeli su un totale di 26 milioni di persone; 26 le parrocchie. A seguire vi è la diocesi di Faisalabad, con 189 mila fedeli su 33 milioni di persone, distribuiti in 28 parrocchie. Al terzo posto la diocesi di Islamabad e Rawalpindi, con 174 mila fedeli su 32 milioni di abitanti e un totale di 19 parrocchie. Poi Karachi, con 145 mila fedeli e 15 parrocchie, su 15 milioni di persone. Il Pakistan comprende due arcidiocesi, quattro diocesi e una prefettura apostolica, tutte di rito latino.
Nel Paese vi sono diverse scuole, istituti e ospedali cristiani, che godono di grande prestigio e sono apprezzati anche dalle autorità locali per la bontà del lavoro svolto a favore della popolazione, a prescindere dalla fede professata. Tuttavia la libertà religiosa, come avviene in altre nazioni a maggioranza musulmana, non è garantita e si ripetono di continuo casi di persecuzioni, minacce di morte e omicidi mirati.
Le attività della Chiesa pakistana coprono diversi settori tra i quali: educazione e istruzione, aiuto ai poveri (un terzo della popolazione è a rischio fame), progetti di sostegno all’agricoltura, assistenza sanitaria e interventi nei casi di emergenza o catastrofi naturali. Tra le numerose opere compiute dalla Caritas Pakistan, insieme a Ong di ispirazione cristiana, va ricordata l’assistenza alle vittime del terremoto che ha colpito il Paese nel 2005, uccidendo 75 mila persone e rendendo senzatetto almeno 3,5 milioni. L’organismo si avvale della collaborazione di 500 persone e dell’opera gratuita di circa mille volontari, in grado di aiutare circa 500 mila persone in tutto il Paese.



La legge sulla blasfemia: una lunga serie di ingiustizie (Scheda)

La Sezione 295 B e C del Codice penale pakistano punisce con l’ergastolo o la pena di morte chi profana il Corano e diffama il profeta Maometto. Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per farsi apprezzare dall’ala fondamentalista del Paese, è diventata uno strumento per perseguitare minoranze religiose e gli stessi musulmani. Quasi 1000 persone incriminate, centinaia le vittime.

Islamabad (AsiaNews) – La legge sulla blasfemia è il peggior strumento di repressione religiosa in Pakistan: secondo dati della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica (Ncjp), dal 1986 all’agosto del 2009 almeno 964 persone sono state incriminate per aver profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto. Fra questi 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e altri 10 di altre religioni. Essa costituisce anche un pretesto per attacchi, vendette personali o omicidi extra-giudiziali: 33 in tutto, compiuti da singoli o folle inferocite.
Dal 2001 a oggi, sempre secondo Ncjp, almeno 50 cristiani sono stati uccisi utilizzando come pretesto la legge sulla blasfemia. A questi si aggiungono quelli delle altre minoranze religiose del Paese, oggetto di violenze da parte di estremisti musulmani che, in alcuni casi, finiscono per colpire anche i fedeli dell’islam. La comunità ahmadi, confessione di ispirazione musulmana che non riconosce Maometto come ultimo profeta, considerata per questo eretica da sunniti e sciiti, dichiara che nel 2009 sono stati uccisi almeno 12 fedeli. Dal 1984 a oggi sono morti 107 ahmadi, 719 sono stati arrestati.
La legge sulla blasfemia è stata introdotta nel 1986 dal dittatore pakistano Zia-ul-Haq per difendere da offese e ingiurie l’islam ed il suo Profeta, Maometto, ed è ormai diventata uno strumento di discriminazioni e violenze. La norma è prevista alla sezione 295, comma B e C, del Codice penale pakistano e punisce con l’ergastolo chi offende il Corano; essa prevede anche la condanna a morte per chi insulta il profeta Maometto. Le accuse a carico dei – presunti – blasfemi sono spesso false o motivate da interessi meschini, generano scandali e spingono folle inferocite a farsi giustizia. Anche se arrestati in base all’accusa di un solo testimone, i malcapitati rischiano violenze e torture dalla polizia.
Diversi giudici – su pressione delle folle, aizzate dai locali mullah – hanno comminato la pena di morte anche senza alcuna prova contro gli accusati. Insieme con le ordinanze Hudood – regole strette di diritto penale che, basate sul Corano, puniscono anche con la flagellazione e la lapidazione i comportamenti incompatibili con la legge islamica come adulterio, gioco d’azzardo, uso di alcol – la legge sulla blasfemia fornisce l’esempio di una legislazione fra le più settarie e fondamentaliste, oltre che essere un modo per procedere verso la radicale islamizzazione del Paese.
Ecco, di seguito, alcuni casi di persone uccise a causa della legge sulla blasfemia in Pakistan:
Nel luglio 2009 Rao Zafar Iqbal, attivista pakistano di religione indù e avvocato per i diritti umani, riceve minacce di morte per il suo lavoro a difesa delle minoranze. Le missive provengono dal Jan Nisaran-e-Nabuwat e dal Aqeeda-e-Tahafuz-e-Kathme Nabuwat. L’attivista si reca alla polizia per sporgere denuncia, ma gli agenti non vogliono aprire un’indagine. Poco dopo, un sicario lo fredda a colpi di pistola. Il 4 agosto il quotidiano Daily Pavel pubblica un riquadro in cui si dichiara la “legittimità” dell’assassinio di Rao Zafar Iqbal, perché la sua morte “è un servizio all’islam”.
Samuel Masih è stato ucciso da un agente di polizia nel maggio del 2004, mentre è ricoverato in un ospedale di Lahore. Il 23 agosto 2003 era stato incriminato in base al primo comma dell’articolo 295 del codice penale pakistano, che prevede al massimo due anni di carcere. Secondo la denuncia egli avrebbe sporcato il muro di una moschea. Malato di tubercolosi, era entrato all’ospedale Gulab Devi il 21 maggio 2004. La mattina seguente Farad Ali, agente al quale era stato affidato l’incarico di sorvegliare il paziente, lo colpisce alla testa con una lama per tagliare i mattoni. Samuel Masih è deceduto il 28 maggio 2004 al General Hospital di Lahore.
Muhammad Yousaf Ali, di religione musulmana, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella prigione di Kot Lakhpat, a Lahore, da Tariq Mota, un altro prigioniero e membro del gruppo estremista – messo al bando – Anjaman-e-Sipahe Sahaba, l’11 giugno 2002. Yousaf Ali, 55 anni, era stato condannato a morte per blasfemia il 5 agosto 2000, in un caso denunciato dal movimento estremista islamico con base a Lahore Tharik-I-Khatmi Nabuwat.
Manzoor Masih, 37 anni, originario di Gujranwala, è stato assassinato da militanti armati il 5 aprile 1994 sulla soglia dell’Alta Corte di Lahore. Tre cristiani erano sottoposti a giudizio con l’accusa di blasfemia, e tra questi vi era Salamat Masih, un ragazzino di soli 14 anni. In base alla testimonianza resa dagli accusatori, Manzoor Masih e Rehmat Masih si trovavano nei pressi di Salamat, e per questo sono stati sospettati di averlo istigato a scrivere parole dissacratorie sul muro della moschea.
Nella lotta contro la legge sulla blasfemia, non si può dimenticare un suo profeta: mons. John Joseph, vescovo di Faisalabad dal 1984, che nel suo impegno per la giustizia e la pace del suo Paese, ne è rimasto consumato, morendo a 65 anni. Il 6 maggio 1998 egli si è suicidato davanti a un tribunale che aveva condannato un giovane cristiano per blasfemia.
Né si può dimenticare che le accuse di blasfemia spesso servono a scatenare violenze e distruzioni a interi paesi e chiese cristiane. Lo scorso 30 luglio una folla di 3 mila musulmani ha attaccato e incendiato i villaggi di Koriyan per punire un presunto caso di blasfemia. Il 1° agosto gruppi di estremisti islamici hanno attaccato il villaggio di Gojra, uccidendo 7 persone, fra cui donne e bambini, incendiati vivi. La storia degli ultimi decenni in Pakistan è piena di assalti a chiese e villaggi cristiani motivati da scandali sulla blasfemia montati ad arte: Kasur (giugno 2009); Tiasar (Karachi, aprile 2009); Sangla Hill (2005); Shantinagar (1997).



Cristiani in Pakistan: dalla libertà alle persecuzioni

di Fareed Khan

All’atto della nascita, il padre fondatore Ali Jinnah ha sancito la libertà religiosa e la parità di diritti senza distinzione di casta o credo religioso. Le successive Costituzioni hanno sconfessato questi ideali, lasciando spazio a persecuzioni e violenze contro le minoranze. Alla blasfemia si aggiungono conversioni forzate e matrimoni imposti: le violenze contro i cristiani e le altre religioni non islamiche.

Islamabad (AsiaNews) – Il Pakistan è un Paese dalle molteplici sfaccettature e caratterizzato da diversità religiose, settarie ed etnico-linguistiche. Vi è una predominanza della comunità musulmana: più del 90% dei suoi 180 milioni di abitanti aderisce all’islam, sebbene tra i vari gruppi vi siano differenze nella dottrina. I cristiani sono una minoranza religiosa in Pakistan e subiscono discriminazioni religiose, sociale, costituzionali, economiche ed educative.
Tra quanti si riconosco nei pakistani non musulmani vi sono cristiani, baha’i, buddisti, indù, jainisti, kalasha, parsi (zoroastriani), sikh. I padri fondatori hanno immaginato un Paese progressista, democratico e una società tollerante la quale, pur conservando una maggioranza musulmana, avrebbe garantito pari diritti ai cittadini non-musulmani.
L’11 agosto 1947, nel suo discorso davanti alla prima Assemblea Costituente del Pakistan, Ali Jinnah ha affermato: “Voi siete liberi; siete liberi di frequentare i vostri templi, siete liberi di andare nelle vostre moschee o in qualsiasi altro luogo di culto dello Stato del Pakistan. Voi potete appartenere a qualsiasi religione, casta o credo – questo non ha nulla a che vedere con gli affari dello Stato… Vogliamo partire da questo principio fondamentale: che siamo tutti cittadini e cittadini con pari diritti di un unico Stato. Ora, penso che dovremmo tenere bene a mente questo aspetto quale nostro ideale e scoprirete che, con il passare del tempo, gli indù smetteranno di essere indù e i musulmani smetteranno di essere musulmani, ma non dal punto di vista religioso perché questo riguarda l’ambito personale della fede professata da ciascun individuo, ma dal punto di vista politico quale cittadini dello Stato”.
Questa è considerata la carta del Pakistan e la sintesi del punto di vista di Ali Jinnah sul ruolo della religione e dello Stato.
Islamizzazione del Paese
Ma, nei decenni successivi, in special modo negli anni ’70 e ’80, Il Pakistan, piuttosto che garantire pari diritti e opportunità ai cittadini musulmani e non-musulmani, ha iniziato a incoraggiare le forze estremiste. I movimenti islamici pakistani hanno riscritto la storia dell’Asia del Sud per perseguire la loro ideologia basata sulla religione.
Di conseguenza, molti musulmani pakistani non sanno nulla dei significativi contributi forniti dalle minoranze nella nascita e nella difesa della nazione. Studiosi e giornalisti hanno in gran parte fallito nel loro compito di fornire questa informazione vitale.
Sfortunatamente, la storia ufficiale del Pakistan non illustra il ruolo ricoperto dai cristiani nella costruzione del Paese, gli eventi storici che riguardano il contributo dei cristiani e delle altre minoranze religiose non sono menzionati o sottolineati a dovere.
Le Costituzioni del Pakistan
Oltre alla legge transitoria del 1947 e alla Risoluzione con gli obiettivi del 1949, il Pakistan ha visto quattro Costituzioni dalla proclamazione di indipendenza. Nel 1973, il governo di Zulfikar Ali Bhutto ha offerto una forma parlamentare della Costituzione che, ad oggi, resta l’unico documento promulgato con un vasto consenso. Tuttavia, il generale Zia ul-Haq ha inserito emendamenti radicali alla Costituzione, che hanno colpito i diritti civili dei pakistani e in special modo i non-musulmani.
Una Costituzione che sancisce la discriminazione
La Costituzione del Pakistan differenzia i cittadini in base alla religione professata; e fornisce un trattamento preferenziale ai musulmani. mentre l’articolo 2 della Costituzione dichiara l’islam “la religione di Stato in Pakistan” e il Corano e la Sunna “la legge suprema e la fonte di guida nella promulgazione delle leggi, che va fatta attraverso norme attuate dal Parlamento e dalle Assemblee provinciali, e per la politica di indirizzo generale dal Governo”, in base all’articolo 41(2) solo un musulmano può diventare presidente. Inoltre, l’articolo 260 della Costituzione differenzia i “musulmani” dai “non-musulmani” facilitando e incoraggiando, in questo modo, la discriminazione sulla base della religione.
La Costituzione è così devota nel fornire un trattamento di favore alla maggioranza musulmana che anche un giudice indù deve giurare in nome di “Allah”. Il 24 marzo 2007 il giudice Rana Bhagwandas, un indù, mentre acquisiva la carica di Giudice supremo – in quanto membro più anziano dopo la sospensione del Capo della giustizia Iftikhar Muhammad Chaudhry – ha dovuto prestare giuramento con una preghiera tratta dal Corano – “Possa Allah, il Dio onnipotente, aiutarmi e guidarmi (Amen)”.
Il Codice penale pakistano prevede, in particolare, alle Sezione 295-A, 295-B e 295-C dure pene per chi è accusato di blasfemia. Queste leggi sulla blasfemia mettono a repentaglio alcune delle più importanti disposizioni della Costituzione del Pakistan come il fondamentale diritto di “professare, praticare a propagare la propria religione” (Articolo 20), l’uguaglianza davanti alla legge e una protezione uguale per tutti i cittadini davanti alla legge (Articolo 25), e la salvaguardia “dei diritti legittimi e degli interessi delle minoranze” (Articolo 36).
Le leggi sulla blasfemia
Storicamente, i passi più importanti verso l’islamizzazione del Paese sono stati presi dal presidente Zia-ul Haq (in carica dal 1977 al 1988), il quale ha introdotto una serie di leggi islamiche e dato vita a un sistema giudiziario per rivedere tutte le leggi esistenti, per valutare la loro conformità alle leggi islamiche. Leggi e regolamenti approvati durante gli anni di legge marziale sotto il presidente Zia-ul Haq, inclusi quelli che regolavano le offese alle religioni, sono stati posti al di sopra di una possibile revisione giudiziaria mediante l’ottavo emendamento costituzionale del 1985.
Le leggi sulla blasfemia sono state in larga parte abusate e mal-interpretate per colpire le minoranze e, in alcuni casi, per vendette anche fra gli stessi musulmani. Quanti hanno dovuto rispondere dell’accusa di blasfemia hanno continuato a vivere nella paura anche dopo la dichiarazione di innocenza emessa dal tribunale.
Gli emendamenti alle leggi legate alle offese in nome della religione nel Codice penale del Pakistan generate sotto la presidenza di Zia differiscono in maniera significativa rispetto alle leggi emesse in precedenza per – almeno – quattro ragioni. Essi non menzionano in modo specifico l’intento malevolo di ferire la sensibilità religiosa, quale condizione dell’offesa e introducono un aumento significativo della pena. Inoltre fanno un preciso riferimento all’islam, mentre le leggi precedenti erano volte a proteggere i sentimenti religiosi di “tutti”. Oltretutto, c’è un preciso cambio di tono: le nuove sezioni introdotte nel codice penale pakistano non lo considerano un reato volto a ferire i sentimenti religiosi dei musulmani, ma piuttosto definiscono l’offesa nei termini di insulto o affronto all’islam stesso. Il reato consiste nel infangare o insultare il profeta dell’islam, la sua cerchia e i familiari e nel dissacrare il Corano.
Altre discriminazioni contro i cristiani
Le discriminazioni diffuse a livello sociale, economico, legale e culturale contro i cristiani sono il problema principale che il Pakistan deve risolvere. Terre e proprietà dei cristiani, ivi compresi i luoghi di culto, sono stati confiscati a forza. Alle minoranze è negata la parità di trattamento e l’applicazione della legge a protezione degli individui è applicata in modo arbitrario. Rapimenti, stupri e matrimoni forzati di ragazze indù e cristiane sono una pratica diffusa nel Paese. In caso di arresto, l’accusa presenta un documento redatto da un qualunque seminario teologico musulmano in cui si afferma che le ragazze hanno abbracciato l’islam di loro iniziativa e l’accusato ha sposato legalmente le vittime. I tribunali in genere non considerano il fatto che la maggior parte di loro sono minorenni e accettano semplicemente il certificato di conversione senza alcuna indagine ulteriore.
Diversi gruppi talebani hanno iniziato a imporre pesanti somme di denaro sotto forma di tasse (la Jizya, ndr) ai non musulmani in diverse aree della Provincia di frontiera nord-occidentale (Nwfp) sotto il loro controllo. Esponenti delle comunità sikh, indù e cristiane sono stati rapiti per denaro; per la loro liberazione sono state versate somme ingenti di denaro.
Il 6 febbraio del 1997 una folla di circa 30mila musulmani ha attaccato il villaggio di Shantinagar, vicino a Khanewal, città del Punjab, e hanno dato fuoco a tutte le abitazioni, comprese diverse chiese. A scatenare l’assalto un caso di blasfemia contro un cristiano in base alla Sezione 295-B del codice penale pakistano.
In seguito, il 12 novembre del 2005 una folla inferocita di circa 2mila musulmani ha devastato e dato fuoco a tre chiese, un convento di suore, due scuole cattoliche, la casa di un pastore protestante e la parrocchia di un sacerdote cattolico, un ostello per ragazze e le cose di alcuni cristiani, tutti del villaggio di Sangla Hill, nel distretto di Nankana, provincia del Punjab. La scintilla che ha scatenato l’attacco è un presunto caso di blasfemia contro un cristiano della zona, sempre in base alla sezione 295-B del ccp. L’8 maggio 2007 molte famiglie cristiane hanno dovuto abbandonare le loro case in seguito a lettere minatorie ricevute da fondamentalisti islamici a Charsada, nella Nwfp, in cui veniva loro imposto di convertirsi all’islam entro 10 giorni, o affrontare terribili conseguenze. Nel giugno 2007, cristiani del villaggio di Shantinagar, nel Punjab, hanno ricevuto simili minacce ad abbracciare l’islam. Spesso la polizia non fornisce un’adeguata protezione.
Il 22 aprile 2009 una banda di estremisti armati ha attaccato un gruppo di cristiani nella città di Tiasar, sobborgo di Karachi, bruciando sei case e ferendo in modo grave tre cristiani. Uno di loro è Irfan Masih, le cui condizioni sono apparse gravi fin dall’inizio; il giovane è morto cinque giorni più tardi.
Una folla di musulmani inferociti, il 30 giugno 2009, ha attaccato le case dei cristiani nel villaggio di Bahmani Wala, nel distretto di Kasur (Punjab), dopo un’accusa mossa nei confronti di un cristiano colpevole – a detta dei musulmani – di aver dissacrato la figura del profeta. Gli assalitori hanno danneggiato un centinaio di case e hanno rubato diversi beni, fra cui contanti e gioielli; essi hanno anche mandato in frantumi mobili e suppellettili per la casa.
Il primo luglio 2009 un giovane cristiano, Imran Masih, è stato torturato da un gruppo di musulmani, quindi arrestato dalla polizia del posto con l’accusa di aver bruciato pagine del Corano. Il fatto è successo a Hajwary, nei sobborghi di Faisalabad.
Il 30 luglio 2009 migliaia di fondamentalisti islamici sono piombati sul villaggio di Koriyan e hanno incendiato 51 abitazioni cristiane, in seguito a un presunto caso di blasfemia. Due giorni più tardi, il primo agosto, almeno 3 mila estremisti hanno preso di mira la comunità cristiana di Gojra, bruciando vive sette persone (tra cui due bambini e tre donne), e ferendone altre 19; date al rogo dozzine di case.
Questi incidenti sono solo un esempio degli abusi perpetrati in nome della legge sulla blasfemia e delle sue devastanti conseguenze; essa è stata usata come pretesto per giustificare le violenze contro gli altri. Da questi incidenti dovremmo comprendere gli effetti delle leggi sulla società. Gli incidenti degli ultimi 20 anni hanno mostrato che una larga fetta di musulmani sono diventati essi stessi vittime di queste normative, causa di enormi sofferenze; per questo la situazione esige un rimedio efficace, serio e di lungo periodo.
Secondo i dati raccolti dalla Commissione nazionale di Giustizia e Pace, un organismo della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp), dal 1986 all’agosto del 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge. Di questi, 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta.
Circa 32 persone sono state vittima di omicidi extra-giudiziali, perpetrati da folle di estremisti inferociti o singoli individui.