di Claudio Risé
Tratto da Il Mattino di Napoli del 23 novembre 2009
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«Stai al tuo posto»: ecco un’esortazione ormai sparita dal vocabolario di genitori e educatori.
Forse perché troppo dura: non pretendere di essere altro da ciò che sei (un bambino, uno studente, un figlio). Forse perché sospettata di infliggere una ferita troppo acuta al narcisismo del giovane. Eppure, imparare a stare in quello che in quel momento della vita è «il proprio posto», è condizione indispensabile per ricevere un’educazione. Rifiutarlo genererà caos.
Nella vita proprio la difficoltà di accettare un preciso posto nella società produce disordine ed anche criminalità. Ad esempio, la vicenda che da tempo occupa con tinte sempre più fosche le pagine delle cronache italiane, ed ha al proprio centro l’ex governatore del Lazio e le sue frequentazioni, illustra come ognuno dei suoi personaggi non sia riuscito a «stare al proprio posto», ad aderire ad un ruolo preciso con le relative responsabilità.
Il caso, infatti, fu provocato da carabinieri che da custodi dell’ordine si erano trasformati in ricattatori grazie ai fatti di cui erano venuti a conoscenza. Ecco una prima doppia identità: da una parte forze dell’ordine, dall’altra attori di crimini, e provocatori di disordine.
I carabinieri potevano d’altra parte assumere questa identità fluttuante anche perché lo stesso faceva la loro vittima: Piero Marrazzo, Governatore del Lazio. Il quale da una parte guidava con delicate responsabilità una delle Regioni più importanti d’Italia, dall’altra remunerava senza risparmio delle prostitute clandestine, acquistando inoltre da loro dosi di cocaina.
Appare anche qui, nella vicenda (peraltro molto umana) di Piero Marrazzo, la fatica, oggi sempre più difficile da sopportare, di «stare al proprio posto»: il tuo. Quello che la tua stessa vita, le tue capacità, le tue abilità, ti hanno assegnato. E che prende la forma di un «posto», una collocazione sociale, che tuttavia per garantirti un’identità (quindi anche un equilibrio psicologico) stabile, ti chiede di assumerti le responsabilità corrispondenti. Ad esempio, per un amministratore pubblico, di non violare le leggi dello Stato, e di non farti complice (magari come vittima) di chi le vìola.
Piero Marrazzo, come migliaia di altri protagonisti della contemporanea «società liquida» (come l’ha chiamata il sociologo Zygmunt Bauman), non ce l’ha fatta. Proprio in questa difficoltà nel mantenere un’identità «solida», ben definita, cui si rimane fedeli pagando i relativi prezzi, consiste del resto la liquidità della società postmoderna. Nella quale ogni forma tende a dissolversi per assumerne un’altra; a volte contraria, come quella del carabiniere che diventa malfattore, o quella del governante che si lascia governare da irregolari e fuorilegge. Tutto ciò tuttavia tende anche a «liquefare» la personalità da una parte e le istituzioni sociali dall’altra.
A completare queste drammatiche trasformazioni appare infine, in questa vicenda, la metamorfosi sessuale dei partner del governatore i quali, uomini alla nascita, avevano poi scelto di passare (per quanto possibile) all’altro sesso, assumendone forme, nomi e costumi. Diversamente dall’androginia naturale (ad esempio dell’atleta Semenya), qui l’identità naturale si alternava con l’altra, utilizzata per interesse economico, o per piacere.
Ma l’essere umano può assumere identità multiple e opposte, senza esserne danneggiato? Il pensiero greco (con le sue Tragedie), ancora prima di quello ebraico e cristiano assicurava di no. Forse aveva buoni motivi.