DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Lotta alla fame, due punti deboli

di Anna Bono
Tratto dal sito Svipop il 18 novembre 2009

Un miliardo e 200 milioni è la cifra record raggiunta da coloro che soffrono la fame secondo un documento pubblicato nei giorni scorsi dalla FAO in vista del nuovo vertice mondiale sulla sicurezza alimentare che si è svolto a Roma, sede dell’organismo ONU, dal 16 al 18 novembre.

Il senegalese Jacque Diouf, presidente della FAO, ha deciso di evidenziare la gravità della situazione con due iniziative. Nel fine settimana precedente all’apertura del summit romano Diouf ha attuato uno sciopero della fame di 24 ore sollecitando tutti a seguire il suo esempio. Sul sito web www.1billionhungry.org ha inoltre lanciato una petizione per dire basta alla fame: ogni cinque secondi – spiega in un video – muore un bambino; è più o meno il tempo necessario a ‘cliccare’ la propria adesione alla campagna di solidarietà. La FAO si augura di raggiungere un numero di ‘clic’ almeno pari a quello delle persone affamate: ogni ‘clic’ – dice Diouf – “servirà come spinta ad agire per i nostri capi di stato e di governo”.

“Guardare negli occhi i governanti del mondo, chiedere loro interventi concreti e risolutivi, risvegliarne le coscienze”: è questo infatti il ruolo principale della FAO, secondo Diouf che ha indicato nello sviluppo del settore agricolo la chiave per sconfiggere la fame. Occorrono investimenti in sementi, fertilizzanti, infrastrutture rurali, a incominciare dai sistemi di irrigazione, dalle strade, dai silos e dai magazzini per un rapido trasporto e un adeguato stoccaggio dei raccolti che attualmente vanno perduti per cattiva conservazione in una misura che arriva al 40-60%.

Non vi è dubbio che questa è la strada giusta purché miri al superamento delle economie di sussistenza affinché le piccole e medie attività agricole moltiplichino la loro produttività e garantiscano raccolti costanti per qualità e quantità, sufficienti al fabbisogno interno di ciascun paese e, per quel che riguarda le colture tropicali destinate al mercato, finalmente competitivi sui mercati internazionali rispetto ai prodotti asiatici e centro-sud americani.

Secondo i calcoli della FAO per ottenere dei risultati duraturi occorrono circa 44 miliardi di dollari all’anno e va da sé che lo sforzo finanziario maggiore è richiesto ai paesi industrializzati, in particolare quelli del gruppo G8.

Il punto debole del programma è lampante, almeno per quanto concerne l’Africa, il continente con la percentuale più elevata di persone bisognose di assistenza: da decenni la cooperazione internazionale allo sviluppo non fa che fornire sementi e fertilizzanti, costruire strade, ferrovie e ponti, dotare le comunità contadine di sistemi d’irrigazione, di silos, di magazzini e, naturalmente, di pozzi, ambulatori e scuole. Inoltre ha istituito organi finanziari per fornire capitali ai governi e, con il microcredito, ai privati cittadini privi di mezzi.

Nel frattempo, però, in Africa, con le casse di stabilizzazione dei prezzi istituite in epoca coloniale ma trasformate con le indipendenze in enti di rapina istituzionalizzata, e con altri strumenti i governi autoctoni, lungi dal proteggere e sostenere il settore rurale, hanno compiuto un sistematico, radicale prelievo dei redditi agricoli a beneficio delle casse statali e delle popolazioni urbane: “A stupire – scriveva Giri già nel 1986 (Africa in crisi, ed. italiana 1991, SEI) – non è che l’Africa sprofondi sempre più nella dipendenza alimentare, ma che non ci sprofondi maggiormente”. In effetti sono africani 20 dei 31 stati che al momento necessitano di aiuti alimentari urgenti.

Sicuramente questo aveva in mente Diouf quando ha invitato anche i governi dei paesi in via di sviluppo ad assumersi le loro responsabilità avviando strategie politiche nazionali mirate e concrete: senza di che, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, il traguardo proposto di destinare il 17% degli aiuti internazionali al settore agricolo perde significato.

Ma un secondo punto debole del programma consiste nel fatto che capi di stato come ad esempio il leader coreano Kim Jong ll o il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, responsabili di due tra le maggiori crisi umanitarie in corso, ben difficilmente risponderanno agli appelli della FAO: sotto simili regimi la fame si combatte distribuendo incessantemente cibo a sufficienza, ma lo sviluppo umano resta un obiettivo irraggiungibile.