di Umberto Silva
Tratto da Il Foglio del 5 novembre 2009
Al direttore - Il governo italiano è giustamente insorto contro la sentenza della Corte europea di rimuovere il Crocefisso dalle scuole, ma nelle sue motivazioni si avverte un eccesso di prudenza. Che il Crocefisso sia il simbolo più forte della nostra tradizione non dice granché: la tradizione oggi è molto scaduta, con croci d’oro massiccio che pendono dal collo dei peggiori Barabba. Inoltre tirare in ballo l’identità nazionale è quantomai arrischiato, invece del Crocefisso nelle aule dovremmo appendere la scultura di un tronista.
Il Crocefisso va scritto maiuscolo: non è un povero ferro battuto ma è più vivo che mai; come non accorgersi che nessuna croce può fissare Cristo? Si chiama Resurrezione e non occorre l’altare di una chiesa perchè il miracolo avvenga; quale migliore altare della cattedra di un’aula scolastica e quale migliore sguardo, fresco e vivificante, di quello di tanti bambini curiosi! Il Crocefisso – non ‘i crocifissi’, chè Gesù Cristo non aveva cloni, aveva un corpo e un sangue che tutto versò per noi – va mostrato perché i bambini e noi tutti abbiamo bisogno di dimenticare quel che siamo e a ben altro tendere, apprendendo l’insegnamento di chi si è ribellato al dogmatismo per portare tra gli uomini la libertà. In nome di quale libertà si vorrebbe ora cancellarlo?
Il Crocefisso ci guarda e ci parla, interrogandoci su questioni ben più decisive di quelle poste dal professore e dalla maestra: che Alessandro Magno abbia vinto a Isso non cambia il nostro destino, il destino cambia se ora, per ciascuno di noi, Cristo vince. Parlino i maestri dell’inaudita novella della Sua nascita, senza attardarsi a rivendicarne la storicità o a confutarla: non si tratta di un fatto accaduto duemila anni fa ma di qualcosa che accade tutt’ora, e sta nella forza e nella bellezza del racconto di ciascuno se il Crocefisso apre gli occhi e ci ascolta.
La Corte europea dei diritti dell’uomo sembra la caricatura di quella che mandò al rogo Giovanna d’Arco; sostiene che il Crocefisso può “infastidire i bambini di altre religioni e quelli atei”. Infastidire? Santo cielo, che tipaccio! Ma sì li turbi i bimbi, sicché a loro volta portino in famiglia – in quelle di noi cristiani immaginari, innanzitutto – la brezza della curiosità. Che i nostri figli ci disturbino, e ci distraggano dalle scemenze quotidiane. E accanto al Crocefisso spuntino nelle aule le croci di Abramo Lincoln e di Giordano Bruno, ladroni come Lui di baci e di anime, a ricordarci non quel che siamo o pensiamo di essere, ma quel che occorre diventare.