DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Il crocifisso nell'arte e nella liturgia. L'albero glorioso che spiega il mistero

Il 15 maggio, nella chiesa dell'Annunziata a Pesaro, viene presentato il volume Il Crocifisso e la Maddalena. Meditazioni sul capolavoro di Federico Brandani (Roma, Art, 2009, pagine 136, euro 28, a cura di Stefano Zilia Bonamini Pepoli, con prefazione di monsignor Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie) realizzato in occasione del restauro della scultura cinquecentesca conservata nella chiesa di Sant'Agostino a Pesaro. Pubblichiamo stralci del saggio scritto dall'abate vicepresidente della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa.

di Michael John Zielinski

La croce identifica il cristianesimo, riunendo nel mistero l'abbassamento e l'innalzamento di Cristo. Per questo il credente acclama Ave, crux gloriosa. La teologia dell'incarnazione del Verbo dà ragione della kènosis, lo "svuotamento" di Dio, poiché attraverso di essa si manifesta la potenza della risurrezione salvifica di Cristo.
A motivo di tale centralità nell'annuncio del Vangelo, nella teologia e nella liturgia, la croce è stato uno dei primi soggetti rappresentati, a mosaico o dipinta, sulle absidi delle basiliche paleocristiane. Dalle ricostruzioni delle basiliche costantiniane, all'inizio del iv secolo, sembra che le absidi presentassero una croce su uno sfondo di mosaico dorato luminoso. Dopo la pace costantiniana, la croce, assunta come nuovo emblema del potere imperiale, era divenuta, infatti, anche simbolo glorioso del trionfo di Cristo.
Tema teofanico per eccellenza, la croce era direttamente connessa alla celebrazione liturgica, come elemento di attrazione dell'assemblea in preghiera e, nelle chiese orientate, indicava il punto da cui il Signore era sorto, come il sole, e da cui ci si attendeva il suo ritorno.
Il legame fra la croce e la liturgia risulta anche dal fatto che questo arredo è legato praticamente in modo indissolubile, già dai primi secoli, all'altare. Fin dal v secolo, infatti, è attestata la presenza di croci preziose appese ai cibori o di croci astili processionali collocate nei pressi dell'altare durante la celebrazione. A partire dal x-xi secolo, quando l'altare subì uno spostamento di posizione verso il fondo dell'abside, divenne abituale in occidente collocare una croce d'altare, in forma di crocifisso, fissa o mobile, sul bordo posteriore della mensa, affiancata da due candelieri. La croce d'altare, già nel xiii, secolo era una suppellettile comune, mentre nel messale tridentino la sua presenza è scontata. Sempre in epoca tridentina, san Carlo Borromeo raccomandò per la diocesi di Milano l'antica consuetudine di appendere un grande crocifisso al soffitto sopra l'altare.
Una volta superata l'originale reticenza a rappresentare la crocifissione, il più infamante dei supplizi, da parte dei cristiani dei primi secoli, il Cristo crocifisso è stato rappresentato per molti secoli come Christus crucifixus vigilans, in posizione eretta sulla croce, fissato con chiodi e con una ferita sul fianco, coi segni della morte, ma con gli occhi aperti, segno del trionfo sulla morte. Uno dei modelli pittorici più noti di tale tipologia, in cui Cristo è vestito di un solenne colòbion purpureo a clavi dorati, si trova a Roma, in Santa Maria Antiqua, risalente al vii-viii secolo e di derivazione siro-palestinese. Successivamente, sulla base di prototipi bizantini, anche in occidente il Crocifisso cominciò ad apparire con gli occhi chiusi e i segni della passione, rivelatori di una maggiore attenzione all'umanità di Cristo e alla sua passio humilissima, presente anche nella teologia. Riproducono questo tipo di figurazione le cosiddette croci dipinte, che fiorirono nell'Italia centrale nel corso del Duecento-Trecento.
Di particolare interesse è il fatto che attorno alla figura centrale di Cristo fossero disposte delle figurazioni simboliche o narrative secondo un programma di carattere teologico, percepibile da chi guardava l'arredo durante la celebrazione della messa. Nella tabella della cimasa si trovano Dio Padre o il Tetramorfo, in quella della predella l'Agnello mistico o il Calice, con un chiaro riferimento eucaristico, a quelle alle estremità dei bracci Maria e Giovanni evangelista, i testimoni del Golgota, infine in quelle dei fianchi sono riprodotti gli episodi evangelici riconducibili ai principali misteri della fede celebrati nella liturgia.
Queste croci erano immagini liturgiche e come tali avevano una collocazione congrua, addossate alla parete dell'abside, appese sopra l'altare o fissate sopra lo jubé, il recinto che racchiudeva la zona dell'altare e del coro.
La preferenza per il Cristo doloroso ricevette un grande influsso nel pieno medioevo per impulso della mistica francescana e di quella nordica con la loro insistenza sulla devozione all'umanità sofferente di Cristo. In questa temperie spirituale, infatti, il crocifisso è considerato un mezzo per alimentare la devozione personale, cioè di appagare il desiderio dell'anima pia di immedesimarsi anche affettivamente ed emotivamente nella passione del Signore. Se poi, per influenza dell'umanesimo, i crocifissi del Quattrocento tornarono a rappresentare il corpo di Cristo, pur morto, con una forza e bellezza ideali, non mancarono in epoca barocca crocifissi dolorosamente connotati, a seconda della sensibilità spirituale dell'artefice e del committente.
La Crocifissione è un soggetto largamente sfruttato anche in pittura con una connotazione talvolta serena e talvolta drammatica della scena. Il Crocifisso dalle carni d'avorio di Guido Reni di San Lorenzo in Lucina a Roma (1639-1642) è molto distante nella composizione dai due trittici tragici e teatrali di Rubens per la cattedrale di Anversa (1610-1612), raffiguranti l'uno l'innalzamento della croce, fra la strage degli innocenti e la crocifissione e l'altro la deposizione dalla croce, fra la visitazione e la presentazione al tempio. Tuttavia, entrambe le opere sono concepite come pale d'altare e comunque realizzate per sottolineare il legame fra il sacrificio della croce e il sacrificio della messa.
Si può affermare che già nel medioevo maturo la forma di quest'immagine, con la preferenza al Cristo doloroso, è ormai sostanzialmente determinata e diverrà una delle immagini più presenti nelle chiese, ma anche fra le più diffuse nelle case, nei crocicchi delle strade, nei luoghi pubblici e considerata fra le più care al popolo di Dio fino ai nostri giorni. Esso è diventato persino un segno universalmente riconosciuto e rispettato, anche da quanti pur ritenendosi non credenti, riconoscono il cristianesimo e i suoi simboli come parte della civiltà europea.
Oggi non mancano artisti che si lasciano ispirare da soggetti sacri. Il problema attuale è di individuare opere che non siano solo religiose, ma tali da entrare nelle chiese perché in grado di svolgere una funzione liturgica. Per questo è necessario che gli artisti abbiano la possibilità di avere una sorta di canone teologico, in modo da poter confrontare le loro opere con ciò che la Chiesa desidera da essi. I credenti, infatti, hanno bisogno di vedere immagini conformi alla verità della fede, cosicché l'artista diventa strumento vitale della nuova evangelizzazione in un mondo in cui l'immagine è sempre più preponderante.
Nella scelta della croce per l'altare bisogna pensare anzitutto che essa deve essere espressiva di tutto il mistero pasquale. Non è sufficiente che provochi una partecipazione affettiva, né che richiami semplicemente l'evento storico del Golgota. Deve saper riassumere e rendere evidente lo stesso mistero di Cristo morto, risorto, asceso al cielo, di cui si attende il ritorno, che si celebra nella messa. Le forme elaborate dalla tradizione possono aiutare l'artista contemporaneo a proporre soluzioni accettabili. L'utilizzo di materiali preziosi e nuovi che aumentino la luminosità dell'arredo è una via che non deve essere trascurata. Ad ogni modo, solo se assolve a questa finalità squisitamente liturgica, un crocifisso contemporaneo può essere ammesso a fungere da "immagine d'altare" o meglio di immagine "per lo spazio dell'altare", la cui collocazione solitamente è la parete di fondo ben visibile ai fedeli.


(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2010)

Quella croce eretta dai veterani nel deserto californiano non viola la laicità. La sentenza della Corte suprema. Di Giulio Meotti

Roma. Per dieci giorni nell’agosto del
2003, mentre l’America contava i marines
trucidati in Iraq dai kamikaze, a Montgomery,
nello stato dell’Alabama, il giudice
Roy Moore, da presidente della Corte suprema
dello stato, fece costruire, a sue
spese, un monumento di tre tonnellate in
cui erano incisi i Dieci Comandamenti. Lo
fece installare di notte sul prato della Corte.
Una corte federale stabilì poi che la
roccia infrangeva la “separazione fra stato
e chiesa”. Moore si rifiutò però di evacuarla
e nacque il mito della Roy’s Rock,
“la pietra di Roy”. Mercoledì la Corte suprema
di Washington ha deciso la sorte di
un altro monumento cristiano, la piccola
croce bianca del deserto del Mojave. In un
momento in cui in Germania si parla di
mettere al bando crocefissi e veli islamici,
i nove magistrati diWashington hanno deciso
che quel lontano simbolo nel deserto
della California, eretto nel 1934, ha il diritto
di ricordare i veterani americani e che
non viola la “separazione di stato e chiesa”
del primo emendamento.
“Siamo i morti sbagliati”, aveva detto
Joe Davis dei Veterans of Foreign Wars a
proposito della campagna liberal contro
la croce. La croce di tre metri sorge a 125
miglia a nordest di Los Angeles, su un alto
sperone roccioso. Il suolo allora non faceva
parte della Mojave National Preserve,
il parco nazionale. Quando fu istituito
il parco, l’area ne entrò a far parte e divenne
proprietà pubblica, fornendo però
il destro ai liberal di reclamare l’applicazione
del primo emendamento. A intentare
causa è stato un ex dipendente del
Mojave, il cattolicissimo Frank Buono.
Per risolvere il problema, nel 2003 il Congresso
aveva cercato di ottenere il trasferimento
dell’area dallo stato a una associazione
di reduci, in modo da “privatizzare”
lo spazio e consentire la riapertura
del monumento. La Corte suprema ha affermato
che il monumento non viola il
principio costituzionale di separazione,
perché il Congresso con la sua intenzione
di trasferire la proprietà ha di fatto risolto
la questione. Nel 2004 una corte di appello
aveva stabilito che il memoriale violava
il primo emendamento e ne aveva ordinato
la rimozione. La disputa legale è
stata fra i partigiani della Establishment
Clause, che proibisce alla legge civile di
istituzionalizzare la religione attraverso
l’uso delle tasse pubbliche, e della Freeexercise
Clause, che impedisce al governo
di interferire con il libero esercizio
della religione.
Decisivo è stato il voto del conservatore
swing Anthony Kennedy, cruciale in
ogni materia divisiva su cui la Corte è
stata chiamata a pronunciarsi. “Privati
cittadini hanno posto la croce nella roccia
per commemorare i soldati americani
morti nella Prima guerra mondiale”,
ha detto Kennedy. “Sebbene sia certamente
un simbolo cristiano, la croce non
fu eretta per promuovere un messaggio
cristiano”. Il giudice John Paul Stevens,
che si è ritirato dalla Corte e che Obama
sostituirà a breve, ha scritto l’opinione di
minoranza. L’anziano giudice ha sostenuto
che il trasferimento della proprietà
del terreno non scioglie i dubbi di costituzionalità,
perchè “non mette completamente
fine al sostegno del governo al crocifisso,
per il favoritismi che sono stati
fatti e perchè la croce rimarrà designata
come monumento nazionale”. “Il fine di
evitare un sostegno governativo non richiede
di sradicare tutti i simboli religiosi
dallo spazio pubblico”, gli ha replicato
Kennedy. “La Costituzione non obbliga
il governo dall’astenersi da ogni riconoscimento
pubblico del ruolo della religione
nella società”. Se avesse vinto il
cattolico Buono, le autorità si sarebbero
trovate di fronte a richieste di rimozione
di simboli religiosi sul suolo pubblico.
Secondo Kennedy la croce bianca “evoca
le migliaia di piccole croci nei cimiteri
stranieri che segnano le tombe degli
americani che sono morti in battaglia”.
Ieri i veterani sono tornati a Sunrise
Rock, dove i reduci della Prima guerra
mondiale innalzarono la croce per non
dimenticare i giorni del combattimento
e, insieme, per ringraziare Dio d’averli
fatti tornare in patria sani e salvi.

Giulio Meotti

© Copyright Il Foglio 30 aprile 2010

Ecco il ministro cristiandemocratico tedesco che non vuole il crocifisso. Aygül Özkan non solo è bella e simpatica, ma ha pure idee tutte sue

E’ donna, bella, giovanile. E da oggi, dopo aver giurato nelle mani del governatore della Bassa Sassonia, Christian Wulff, è anche il primo ministro di Land di origini turche e di confessione musulmana. Aygül Özkan, questo il suo nome, doveva essere il secondo colpo da maestro dei cristianodemocratici, dopo quello di cinque anni fa: cioè Angela Merkel, il primo cancelliere donna, nonché nata e cresciuta nell’ex Germania dell’est. In fondo, risultati così ce li si aspettava dai socialdemocratici e dai verdi. Chiaro che per la Cdu, prima Merkel e ora Özkan – quest’ultima figlia di genitori turchi, nata però e fino a poco tempo fa anche vissuta ad Amburgo – sono motivo d’orgoglio. Altro che partito conservatore, provinciale che alla donna continua a riservare un unico posto: cioè quello di moglie e madre tra fornelli e pannolini.

Questo nuovo ministro per gli Affari sociali del Land, con i suoi 38 anni e il background multiculturale che si ritrova, doveva essere la prova provata di un partito moderno, flessibile, aperto. Magari la sua elezione poteva pure fare da traino alla Cdu del confinante Nordrhein-Westfalen, il più popoloso dei Länder tedeschi. Ne avrebbero non poco bisogno visto che per le elezioni del 9 maggio non c’è certezza di una nuova vittoria. Ma, come scriveva la Süddeutsche Zeitung, i cristianodemocratici sembrano aver fatto i conti senza l’oste: Özkan non solo è bella e simpatica, ha pure idee tutte sue. E così al settimanale Focus appena uscito ha dichiarato che il crocifisso nelle scuole pubbliche non dovrebbe esserci. “La scuola deve essere un luogo neutrale per permettere al giovane di scegliere da sé l’orientamento religioso”, questa l’idea di Özkan, che per lo stesso motivo è contraria a insegnanti con il copricapo. Chiaro che per la Cdu, il suo no al crocifisso in classe è stata una doccia fredda. L’avevano ancora applaudita quando dalle pagine dello Spiegel incitava i turchi in Germania a integrarsi anziché starsene appartati. Quando diceva che si sarebbe adoperata per far frequentare anche ai più piccoli l’asilo nido, perché solo così saranno padroni della lingua e potranno avere un futuro.

Sarà anche vero, come rispondeva alla domanda, cosa ci faccia una musulmana in un partito che si definisce cristiano che “la Cdu non pone mica come condizione quella di essere di fede cristiana. Il partito si identifica piuttosto con i valori della famiglia, della solidarietà e in questi mi identifico anch’io” – ma soffermandoci proprio sulla parola valori, anche il crocifisso ne fa parte. Cosa che il ministro federale per l’Integrazione, Maria Böhmer, le ha ricordato a stretto giro di intervista. “Il crocifisso non è solo parte integrante della nostra tradizione – ha replicato Böhmer – ma fa parte anche del nostro bagaglio culturale collettivo”. I militanti si sono mostrati assai meno concilianti. Moltissime le reazioni di irritazione registrate sui blog e nella sezione commenti degli articoli. Molte le voci che hanno chiesto di revocare addirittura la sua nomina. Christian Wulff, pur non contento dell’uscita del ministro in pectore, così come non deve essere stato contento dello scetticismo espresso da Özkan verso la posizione della Cdu che per la Turchia vorrebbe solo una partnership privilegiata nell’Ue (“Meglio non fissare a priori paletti troppo rigidi” aveva detto Özkan) non ha voluto però rimangiarsi la decisione. Chissà se in queste ore l’ha mai assalito il dubbio dche l’avvenente Özkan possa rivelarsi più che un titolo di merito un incidente gravoso. Un incidente che non gioverebbe certo alle sue nuove ambizioni. In futuro una serpe in seno? Abbandonate quelle di futuro cancelliere, ora, si rumoreggia, Wulff stia studiando da capo della stato.

di Andrea Affaticati



© Copyright Il Foglio 27 aprile 2010

Londra, i giudici bocciano ricorso: infermiera non porterà il crocifisso

di Elisabetta Del Soldato
Tratto da Avvenire dell'8 aprile 2010

Londra. Sconfitta. L’infermiera cristiana che è ricorsa al tribunale per ottenere il diritto di portare al collo una catenina con il crocifisso sul posto di lavoro e sancire il suo stato di vittima di discriminazione religiosa, ha perso la causa contro i suoi datori di lavoro.

Secondo il regolamento dell’ospedale dove Shirley Chaplin è impiegata, il Royal Devon and Exeter Hospitals Nhs Trust, è proibito allo staff a contatto con i pazienti indossare catenine per ragioni di sicurezza. Dopo il verdetto del giudice, la Chaplin ha dichiarato ai giornalisti che questo è «un giorno molto triste per gli impiegati cristiani». L’infermiera, 54 anni, che intende ora fare appello alla decisione del tribunale, ha proseguito: «La legge non sembra essere dalla parte dei cristiani». Ma per l’ospedale del Devon, dove la Chaplin lavora da oltre dieci anni, l’infermiera non avrebbe alcun motivo di sostenere di essere stata discriminata. «Abbiamo offerto alla Chaplin la possibilità di indossare la croce come spilla all’interno di una tasca, ma si è rifiutata. Non abbiamo niente contro il crocifisso, è solo una questione di prevenzione». La Chaplin, che oggi torna in servizio dopo la sospensione, ha già avvertito che non è disposta ad accettare compromessi. «Torno al lavoro – ha detto uscita dal tribunale – e nessuno mi impedirà di continuare a portare la croce al collo». Ma nel frattempo è stata relegata a lavoro d’ufficio per impedirle di stare a contatto diretto con i pazienti.

Londra, no al crocifisso in corsia

Per trentun anni Shirley Chaplin, un’infermiera di 54 anni, ha indossato sul posto di lavoro una catenina con una piccola croce al collo. Ma un anno fa i suoi superiori al Royal Devon and Exter Hospital, un ospedale nel sud dell’Inghilterra, le hanno chiesto di rimuoverla. Nello stesso ospedale ai medici e alle infermiere musulmane è permesso di indossare il velo. «Mi hanno detto che un paziente avrebbe potuto strapparmela dal collo e farmi male – ha dichiarato qualche giorno fa l’infermiera – . Che la catenina rappresentava un rischio alla mia salute. La porto da quando ho fatto la Cresima, lavoro in ospedale da oltre trent’anni e nessuno si è mai azzardato a tirarmela dal collo».

Non è una questione di sicurezza, è andata avanti la Chaplin, che appoggiata dal Christian Legal Centre e da un gruppo di vescovi della Chiesa d’Inghilterra, ha ora deciso di portare il suo caso di fronte al tribunale del lavoro di Exeter. «Il problema è che i cristiani sono sempre più discriminati. Non capisco perché io non posso indossare la mia modesta catenina quando nello stesso ospedale diverse infermiere e medici musulmane possono indossare il velo». Che il fattore sicurezza fosse una scusa, la Chaplin lo capì quando alla sua proposta di indossare la croce come spilla e non come catenina, i suoi superiori le rifiutarono ancora una volta il permesso. «A quel punto capii di essere stata messa di fronte a una scelta: il lavoro o la fede. Non esitai».

Non è il primo caso in cui dipendenti cristiani vengono discriminati sul posto di lavoro in Gran Bretagna. Poco più di un anno fa un’impiegata della British Airways, minacciata di licenziamento perché si era rifiutata di separarsi dalla sua catenina con croce, riuscì a vincere una lunga battaglia legale ed è di qualche mese fa la notizia che un’altra infermiera è stata redarguita sul posto di lavoro perché aveva chiesto ai pazienti se poteva pregare per loro. «Stiamo superando ogni limite – scriveva ieri il quotidiano The Daily Mail – . Per paura di offendere le persone di altre fedi stiamo rinnegando la nostra». La Chaplin non ha alcun dubbio di essere stata vittima di discriminazione. «Il crocifisso è un’espressione importantissima della mia fede e della mia devozione a Gesù Cristo. Se lo nascondessi metterei seriamente in dubbio le ragioni per cui lo indosso».

L’infermiera, che è nonna di due bambine, sostiene che dopo essersi rifiutata di sbarazzarsi della catenina i suoi superiori l’hanno spostata di ruolo e relegata a un lavoro di ufficio, lontana dai contatti con i pazienti. Ha confessato che spera di andare in pensione alla fine di quest’anno ma prima di andarsene desidera che l’ospedale cambi il regolamento e permetta ai cristiani di indossare i simboli della loro fede.

La vicenda ha sollevato preoccupazioni in Gran Bretagna al punto che sette vescovi anglicani, tra cui l’ex arcivescovo di Canterbury George Carey, hanno pubblicato una lettera di supporto sui giornali di domenica scorsa in cui hanno scritto che il caso della Chaplin «è un altro esempio di discriminazione contro la nostra fede» e in cui chiedono al governo «più azioni per proteggere i cristiani».

Elisabetta Del Soldato


IL NO AL CROCIFISSO

Segno identitario che unisce un popolo

CARLO CARDIA


U
n altro silenzio della sentenza di Strasburgo contro il crocifisso nelle scuole italiane riguarda il rispetto della tradizione italiana che conosce la presenza del massimo simbolo cristiano dal periodo liberale ad oggi, senza distinzione di regimi o governi, espressione di un sentimento popolare che per primi i padri liberali del risorgimento e dell’unità d’Italia hanno voluto onorare e rispettare. Il dato giuridico è impressionante per la continuità ininterrotta, perché la presenza del Crocifisso è prevista sin dal 1860 con il Regolamento di attuazione della Legge Casati, in piena epoca cavouriana, è confermata dal R.D. 6 febbraio 1908, e poi ribadita con circolari del 1922 e del 1923, che consentono di sostituire il Crocifisso «con un’immagine del Redentore in una espressione significativa che valga a manifestare il medesimo altissimo ideale che è raffigurato nel Crocifisso, per esempio Cristo e i fanciulli». Altri atti o pronunce lo confermano nel 1926, nel 1967, nel 1988 con specifico parere del Consiglio di Stato, nel 2002 dell’Avvocatura dello Stato. L’argomento non è mai stato oggetto di contrattazione con la Chiesa, proprio perché il crocifisso è considerato autonomamente dallo Stato e dalla popolazione simbolo di tradizione bimillenaria, religiosa e culturale. Sono stati anzitutto i politici e pedagogisti liberali a voler essere coerenti con il sentimento popolare, perché questa coerenza era parte integrante del loro liberalismo. Aristide Gabelli, pedagogista positivista, vede nell’educazione religiosa «un fattore di saldatura sociale e nazionale», il mezzo migliore, per «educare cittadini che congiungeranno alla coltura della mente la fermezza dell’animo e la sottomissione al dovere, gente operosa, intraprendente, valida appunto perché convinta e onesta», e ritiene che «le ragioni del bene, più semplici e accessibili al maggior numero, e di gran lunga più efficaci, sono quelle dedotte dal cielo, da una giustizia divina che veglia all’osservanza della sua legge, ossia dalla fede». Per altri pedagogisti occorre adoperarsi perché «il sentimento religioso non scada e non si perda nell’indifferentismo», mentre Marco Minghetti è contro una scuola agnostica e indifferente perché «i padri di famiglia si disvogliano dal mandare i figliuoli loro a una scuola così arida, e destituita di ciò che più agevolmente può insinuarsi in quelle tenere menti, e deporvi i germi dell’onesto vivere e dei più nobili sentimenti». Che Cavour, e i suoi ministri, possano essere abrogati oggi in nome del liberalismo sembra francamente un brutto scherzo da respingere. Non si può dimenticare che la tradizione italiana del crocifisso supera ogni regime politico, attraversa il periodo separatista, trova conferma in epoca concordataria (del 1929 e del 1984), ed è pienamente coerente con la Costituzione perché il simbolo cristiano più alto è in armonia con l’humus culturale della generalità dei cittadini. La sentenza di Strasburgo neanche si è posta il problema di questa tradizione, ed ha finito così col contraddire altre Convenzioni sui diritti umani che riconoscono il diritto alla vita e all’identità spirituale delle nazioni e delle popolazioni. Negando il diritto ad un Paese europeo di disciplinare liberamente questioni che evocano simbolicamente l’intima tradizione religiosa e popolare, la Corte di Strasburgo neanche si è resa conto che nega a questi Paesi addirittura i diritti che la Convenzione quadro, approvata dal Consiglio d’Europa 1995-1998, riconosce alle minoranze nazionali, quando afferma all’articolo 5 che gli Stati europei si impegnano a «promuovere condizioni tali da consentire alle persone che appartengono a minoranze nazionali di conservare e sviluppare la loro cultura e di preservare gli elementi essenziali della loro identità quali la religione, la lingua, le tradizioni ed il patrimonio culturale». E confligge con l’articolo 20 per il quale «le persone appartenenti ad una minoranza nazionale rispettano la legislazione nazionale e i diritti altrui, in particolare quelli delle persone appartenenti alla maggioranza od altre minorità nazionali». Dunque, esistono le identità religiose dei popoli, ed esistono i diritti delle maggioranze che non possono essere inferiori a quelli delle minoranze, e si esprimono anzitutto nel rispetto della tradizione del Paese e dello Stato di riferimento. Si tratta di principi che hanno valore speciale nell’epoca della multiculturalità, quando il mischiarsi delle popolazioni e delle tradizioni religiose e culturali può arricchire il tessuto civile e culturale degli Stati, a patto che nessun Paese sia costretto a spogliarsi della propria identità, soprattutto di quella più bella e santa.


Avvenire 31 marzo 2010

Il no al crocifisso: l’impossibile pretesa di educare in un vuoto culturale

Ignorata anche la Convenzione sui diritti del fanciullo
di Carlo Cardia
La notizia che il ricorso italiano contro la sentenza della Corte di Strasburgo sul crocifisso è stato dichiarato ammissibile, e che su di esso si pronuncerà la Grande Chambre, non era scontata. Sia perché la percentuale di accoglimento dei ricorsi a Strasburgo per essere discussi al più alto livello giurisdizionale è molto bassa, sia perché la sentenza del novembre scorso era stata sottoscritta all’unanimità. Il passaggio alla Grande Camera è il riconoscimento della fondatezza e credibilità del ricorso, e consente nei prossimi mesi di precisare ulteriormente e diffondere le ragioni per le quali la pronuncia deve essere rivista, rendendo giustizia a quanto dicono le leggi e onore alla verità di ciò che è il crocifisso per la storia e la cultura italiana ed europea.
È importante, tra l’altro, che diversi Stati si siano dichiarati a sostegno del ricorso italiano, preoccupati che l’indirizzo giurisprudenziale che si vuole affermare si ripercuota sulla propria capacità di disciplinare i rapporti con le confessioni in armonia con i principi di libertà religiosa e con la propria tradizione storico-culturale. La sentenza del 2009 ha rimesso in discussione anzitutto il ruolo della Corte di Strasburgo che non è quello di una Corte costituzionale che giudica le leggi nazionali rispetto alla normativa europea, ma quello – più limitato e importante – di verificare le lesioni della libertà religiosa sancita nella Carta europea dei diritti dell’uomo (Cedu) del 1950, in sintonia con altre Carte internazionali dei diritti umani.
Per decenni la stessa Corte ha affermato che gli Stati nazionali hanno una ampia disponibilità nel disciplinare i rapporti con le Chiese, in ragione della loro storia, tradizione, e realtà sociale. Per questo motivo, le sentenze della Corte hanno censurato gli Stati soltanto quando era determinata una vera lesione del diritto di libertà religiosa, ma hanno respinto tutti quei ricorsi che riguardavano normative e tradizioni legate all’identità religiosa di un Paese senza violare alcun diritto individuale. La Corte non ha addotto alcuna spiegazione (come un giudice deve fare) sul perché abbia cambiato così radicalmente orientamento, ha ignorato elementi normativi fondamentali, contenuti nelle carte dei diritti dell’uomo, e ha selezionato un concetto di educazione dei ragazzi contrario al diritto internazionale oltreché alle esigenze dell’età evolutiva.
La Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, del 1989, dichiara all’articolo 29 che i ragazzi devono essere educati al «rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive, del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua». Questo principio ha un duplice riflesso, nei confronti del pluralismo sociale e culturale e della sfera soggettiva dei giovani. Per la Convenzione del 1989 uno Stato non deve nascondere i valori che lo caratterizzano dal punto di vista storico, religioso e culturale, che devono essere parte integrante della formazione dei giovani perché essi crescano nella conoscenza e nel rispetto dei principi della società nella quale si trovano. La Corte ha del tutto ignorato questo principio che regola la materia a livello internazionale, e ha taciuto che il crocifisso, secondo la generale opinione di personalità di ogni orientamento e religione, costituisce e rappresenta il simbolo di una religione che ha cambiato la storia umana, che predica l’amore per gli altri, opera nel mondo per aiutare chiunque (cristiani e non cristiani, religiosi e non religiosi), diffondere pace e conoscenza, sostenere i poveri della terra che dovunque soffrono fame, sete e indigenza, e subiscono violenza, sopraffazione, e subalternità culturale da parti di chi è più potente.
La sentenza ha preferito avallare un concetto di educazione veteroilluminista per il quale la formazione dei giovani, deve svolgersi in un vuoto culturale nel quale non esiste passato, non c’è evoluzione e crescita dell’uomo, né un futuro da costruire sulla base dei valori più alti che le precedenti generazioni hanno elaborato. Le Convenzioni internazionali e la pedagogia più elementare chiedono altro, che al giovane siano mostrati in un clima di libertà e serenità i segni e i simboli del cammino dell’uomo, soprattutto quelli che hanno determinato le svolte spirituali e umanistiche più importanti della storia umana. Per unanime riconoscimento, il crocifisso è uno dei più alti simboli al quale guardano miliardi di persone come a una speranza di miglioramento e perfezionamento etico e di crescita ed evoluzione pacifica dei rapporti tra gli uomini e tra i popoli, e la sua presenza nelle scuole costituisce un apporto di serenità e arricchimento etico e culturale senza confini di religione.
«Avvenire» del 10 marzo 2010

C’è un giudice a StrasburgoAccolto il ricorso dell'Italia sul Crocifisso nelle scuole Il commento della CEI: “un passo avanti nella giusta direzione”

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso presentato dall'Italia contro la sentenza che, il 3 novembre 2009, aveva sostanzialmente bocciato la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche.

Il Governo italiano aveva presentato il 29 gennaio un ricorso ribadendo che “il crocifisso è uno dei simboli della nostra storia e della nostra identità” e che “la cristianità rappresenta le radici della nostra cultura, quello che oggi siamo”.

La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva sostenuto che l’esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica costituisce violazione dell’articolo 2, del Protocollo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto all’istruzione), valutato congiuntamente con l’articolo 9, che tutela la libertà di pensiero, coscienza e religione.

Secondo la Corte di Strasburgo, l’obbligo all’esposizione del simbolo della confessione cristiana limita non solo il diritto dei genitori a educare secondo le loro convinzioni i figli, ma anche il diritto degli alunni di credere in altre confessioni o di non credere affatto.

Spetterà ora alla Grande Camera pronunciarsi nei prossimi mesi con un verdetto definitivo ma non obbligatorio sulla sentenza espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Nel commentare la notizia il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Angelo Bagnasco, ha detto: “Un atto di buon senso da tutti auspicato perché rispetta quello che è la tradizione viva del nostro Paese e riconosce un dato storico oggettivo, secondo cui alla radice della cultura e della storia europea c'è il Vangelo, che è riassunto in Gesù Crocifisso".

“La presenza del crocefisso - ha aggiunto il porporato a Genova, a margine di un incontro pubblico sulla scuola, secondo quanto riferito da “Avvenire” - è importante, l'importanza dei segni fa parte dell'antropologia, perché l'uomo è anima e corpo non puro spirito o un'idea astratta: attraverso la corporeità tutti noi esprimiamo i nostri sentimenti e i nostri valori, che sono nel cuore e resterebbero invisibili se non fossero espressi attraverso segni visibili”.

“Il crocifisso - ha concluso il Presidente della CEI - esprime il centro della nostra fede cristiana e la sintesi dei valori che hanno ispirato la cultura di libertà rispetto della persona la dignità dell'uomo che sta alla base dell'Occidente”.

“L'accoglienza da parte della Corte di Strasburgo del ricorso presentato dal governo italiano è un segnale interessante, che dimostra come attorno al crocifisso si sia creato un consenso ben più ampio di quello che ci si sarebbe immaginati”, ha spiegato dal canto suo il portavoce e Sottosegretario dell'episcopato italiano, mons. Domenico Pompili.

Tale consenso, ha aggiunto , “conferma la non adeguatezza di alcune posizioni volte a strumentalizzare segni che hanno innegabilmente a che fare con le radici culturali dell'Europa e con la fede di milioni di persone, che in tale segno si riconoscono”.

In una nota diffusa nel pomeriggio il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Ezstergom-Budapest e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopale d’Europa, ha sottolineato la necessità “che le questioni religiose vengano affrontate a livello nazionale, secondo il principio di sussidiarietà, in quanto la sensibilità religiosa e la stessa percezione del principio di laicità varia da Paese a Paese”.

“Ritengo – ha aggiunto – che sarebbe un atto di grande saggezza se la Grande Camera, nel suo riesame, accettasse questo fatto, che sono certo ridarà fiducia nelle istituzioni europee ai numerosi cittadini europei, cristiani credenti e laici, che si erano sentiti profondamente lesi da questa sentenza”.


Il buon senso della Corte Europea dietro la vittoria italiana sul crocefisso


Il governo italiano ha ottenuto un
successo in un procedimento giudiziario,
e questa è già una notizia. La
Corte europea dei diritti dell’uomo ha
riconosciuto la fondatezza dell’appello
presentato da Roma contro la sentenza
del novembre scorso che sosteneva,
testualmente che “l’esposizione
del crocefisso nelle scuole lede la libertà
di aderire a una religione diversa
dalla cattolica, ma anche quello di
non aderire ad alcuna religione, specie
se collegata a personalità in formazione,
quali quelle dei discenti”.
Si tratta, com’è evidente a chiunque
abbia un po’ di senso comune, di una
inversione del principio di libertà,
che viene trasformato in un diritto a
vietare ad altri di esercitare la loro.
Giudici oltretutto assai approssimativi,
che dimenticano che il crocefisso
oltre che simbolo religioso cristiano (e
non solo cattolico, peraltro) rappresenta
le radici culturali e spirituali comuni
all’Europa e all’occidente e comunque
senza dubbio quelle dell’Italia.
Ora la questione sarà discussa dalla
Grande camera della Corte, la cui
costituzione non è ancora stata definita.
Sarà un dibattimento importante,
nel quale l’Europa delle istituzioni,
troppo spesso tecnocratiche e autolegittimate,
si confronterà con l’Europa
reale, che si è formata in una storia
millenaria che informa di sé la coscienza
popolare. La libertà, espressione
dell’unicità della persona, nasce
da quella concezione giudeo-cristiana
su cui l’Europa si è costruita. Negare
di esporne il simbolo in nome di una
libertà tutta astratta e negativa è peggio
di un paradosso, è un assurdo.


Il Foglio 3 marzo 2010

Sul crocifisso Europa al bivio

DI C ESARE S ALVI
L
a Corte costituzionale tede­sca ha annullato il 1° dicem­bre scorso una legge del Se­nato di Berlino, che prevedeva la parziale apertura domenicale de­gli esercizi commerciali. La Corte ha stabilito che la legge violava il principio costituzionale che ga­rantisce «la destinazione della do­menica al riposo e all’elevamen­to spirituale » . Questo principio si trovava già nella Costituzione di Weimar, la prima delle Costitu­zioni novecentesche cosiddette lunghe, che cioè, come la nostra Carta fondamentale, non si limi­tano all’ordinamento delle istitu­zioni e alla garanzia delle libertà civili, ma tutelano diritti sociali e valori non individualistici.
Se si ragionasse come ha fatto la Corte dei diritti umani di Stra­sburgo, quando ha condannato l’Italia per la normativa che pre­vede
l’esposi­zione del cro­cifisso nelle aule scolasti­che, si dovreb­be dire che quanto deciso dalla Corte co­stituzionale tedesca sul ri­poso domeni­cale è lesivo dei diritti u­mani di chi non crede, o di chi professa u­na religione che prevede un diverso giorno festivo.
In effetti, dalle due decisioni emergono in modo emblematico modi diversi di intendere la tutela dei diritti nel mondo contemporaneo. C’è una logica individualistica, per la qua­le ogni pretesa, richiesta, punto di vista del singolo assume la ve­ste giuridica del diritto umano fondamentale; e c’è una logica so­ciale, che gradua la tutela alla lu­ce dell’interesse di cui si chiede la protezione e del bilanciamento con altri interessi, condotto alla luce dei valori che fondano la convivenza, tra i quali l’identità nazionale, intesa come tradizione storico- costituzionale.
L’Europa è oggi al bivio tra queste due concezioni. Per questo, a mio avviso, la ' questione del crocifis­so' ha una portata che va oltre gli aspetti, pur molto rilevanti, dei quali si è fin qui prevalentemen­te
discusso. Per comprenderne la portata, so­no forse utili anzitutto alcune pre­cisazioni sul significato e gli ef­fetti giuridici della sentenza del­la Corte di Strasburgo. Si è detto che la sentenza non po­trà avere effetti pratici perché il governo e le forze parlamentari hanno affermato la loro contra­rietà. Si è sottolineato, in secon­do luogo, che la decisione non promana dall’Unione europea, essendo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Strasburgo inserite nel diverso meccanismo istituzionale costi­tuito dal Consiglio d’Europa. Le cose non stanno così.
Per quanto riguarda il primo a­spetto, se la ' Grande camera' confermerà la sentenza, anzitut­to non potrà non fare altrettanto per altri ricorsi individuali, assi­curando a cia­scuno dei ricor­renti l’equa soddisfazione patrimoniale, che nel caso de­ciso è stata quantificata in cinquemila eu­ro. Inoltre, se i ricorsi si molti­plicheranno la Corte potrà sol­levare la que­stione del ' de­ficit struttura­le' presente in materia nell’or­dinamento ita­liano, e sotto­porla al Comi­tato dei mini­stri del Consi­glio. Infine, è immaginabile che il tema torni alla Corte costituzio­nale, che ha di recente enunciato il principio per il quale le norme della Convenzione, così come in­terpretate dalla Corte, prevalgo­no sulla legislazione italiana, sal­va la verifica di costituzionalità.
er quanto riguarda il rap­porto con l’Unione euro­pea, va ricordato che il Trat­tato di Lisbona ha previsto l’ade­sione dell’Unione alla Cedu. Non è da escludere tra l’altro che la no­stra Corte costituzionale assimili i due sistemi: e va segnalato che per la Consulta il diritto dell’U­nione prevale anche sulle norme costituzionali, salva la verifica dell’eventuale violazione di 'prin­cipi supremi' e diritti inalienabi­li. La ' questione del crocifisso', insomma, rimane giuridicamen­te
P aperta. A me pare che per affrontarla in modo adeguato, sia utile collo­carla in un contesto più ampio, che riguarda la concezione dei di­ritti che si viene affermando in Europa, e il rapporto tra giurisdi­zione europea e identità costitu­zionale italiana. Quanto al primo aspetto, va se­gnalata la differenza sostanziale tra la concezione dei diritti as­sunta dalla nostra Costituzione e quella prevalente nei due sistemi europei, in via di unificazione, di cui si è detto. In Europa prevale infatti una concezione individua­­listica dei diritti, che si accompa­gna alla moltiplicazione dei me­desimi, e che è diversa dall’im­pianto della nostra Carta fonda­mentale.
M anca, alla prima, quella esigenza di contempera­mento tra diritti indivi­duali e doveri di solidarietà, che la nostra Costituzione enuncia in modo mirabile nell’art. 2, e ripro­pone poi nell’articolazione della sua Parte prima.
Questa diversità di concezione e­merge nei principi in tema non solo di rapporti etico- sociali, ma
anche di rapporti economici. Per questi si assiste a una vera e pro­pria regressione ottocentesca, che assimila i diritti patrimoniali e le libertà economiche ai diritti u­mani fondamentali, riproponen­do l’antica endiadi proprietà- li­bertà. Viene così colpito quel nu­cleo portante della nostra Carta fondamentale, significativa sinte­si tra la dottrina sociale cristiana e le posizioni della sinistra, che è costituito dal principio persona­listico e dal principio lavorista ( per usare i concetti di Costanti­no Mortati), che si traducono, per i rapporti economici, nei princi­pi della funzione sociale della proprietà privata e dei limiti del­l’utilità sociale e della dignità e si­curezza della persona apposti al­l’iniziativa economica privata. U­na sintesi che era stata auspicata, con grande antiveggenza, qua­rant’anni dopo la Rerum nova­rum,
da Pio XI nella
Quadragesi­mo
anno.

La pretesa di impedire all’Italia l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche si inserisce allo-
ra in un ampio e inquietante contesto: la di­mensione ' so­ciale' scompa­re, e con essa la necessità del bilanciamento di valori, inte­ressi, ' diritti'.
Da tempo, la Corte costituziona­le è impegnata nel tentativo di e­laborare un ' principio di laicità' coerente alla nostra normativa costituzionale e alla nostra tradi­zione, che risulti dal concorso, e non dalla contrapposizione, di va­lori diversi: la libertà individuale, il pluralismo religioso e il ricono­scimento del « cristianesimo co­me parte del patrimonio storico del popolo italiano » . Questi valo­ri – dice la Consulta (sentenza 203 del 1989) – « concorrono a descri­vere l’attitudine laica dello Stato­comunità, che risponde non a po­stulati ideologici e astratti […] ma si pone a servizio di concrete i­stanze della coscienza civile e re­ligiosa dei cittadini » . È giusto che al tentativo di elaborare un prin­cipio di laicità fondato, giuridica­mente e storicamente, sulla no­stra tradizione ( sulla nostra Co­stituzione e sulla nostra storia) si sovrappongano diktat espressivi di un’ideologia apparentemente moderna, in realtà per più aspet­ti regressiva e prenovecentesca?
E qui subentra il secondo aspetto
istituzionale cui facevamo riferi­mento: la progressiva afferma­zione di un ' governo dei giudici' europei, che a colpi di sentenze si sostituiscono alle sedi ( democra­tiche e giurisdizionali) degli Stati nazionali. E ciò andando, molto spesso, oltre il testo dei Trattati, che prevedono il principio di sus­sidiarietà e la tutela delle 'identità costituzionali' nazionali ( riven­dicata, in un’importante senten­za del 30 giugno scorso, dalla Cor­te costituzionale tedesca).
Per tale via si vengono afferman­do principi giuridici individuali­stici e liberisti, che si sostituisco­no in modo surrettizio e non de­mocratico a quelli della nostra Costituzione e della nostra tradi­zione.
L a ' questione del crocifisso' non può e non deve essere i­solata, quindi, dal grande te­ma della necessità di reagire ( an­che nelle sedi istituzionali, come il Parlamento e la Corte costitu­zionale) alla tendenza alla disgre­gazione individualistica del tes­suto sociale.
È da augurarsi che questa non sia materia per gli scontri politici ir­razionali ai quali ci ha purtroppo abituato negli ultimi anni la poli­tica italiana, e divenga invece l’oc­casione per un grande dibattito pubblico sui valori e sui principi in base ai quali si sta costruendo
l’Europa.
Vecchio continente schizofrenico: in Germania si ribadisce che «la domenica è destinata al riposo e all’elevamento spirituale», mentre la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la presenza a scuola del simbolo cristiano. Manca la coscienza che non ogni pretesa è necessariamente un diritto
«Regredendo all’Ottocento si assimilano le libertà economiche ai diritti umani, mentre si trascura quella sintesi con il principio di solidarietà auspicata già da Pio XI nella 'Quadragesimo anno'»

Avvenire 2 febbraio 2010

Gianni Letta annuncia: «Sul crocifisso pronto ricorso contro Strasburgo» Sul divieto dell'esposizione nelle scuole. Bagnasco (Cei): «Bene governo. Sen

MILANO - «Il governo sta facendo il possibile per contrastare gli effetti della sentenza della Corte Europea sul crocifisso. E ha deciso di chiedere il rinvio della sentenza alla Grande Camera della Corte stessa». Il governo sta dunque lavorando alacremente per contrastare la sentenza anti Crocifisso nelle scuole emessa il 3 novembre dalla Corte di Strasburgo accogliendo il ricorso presentato da una cittadina italiana. Lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta intervenendo alla sede dell'ambasciata d'Italia presso la Santa sede alla presentazione del volume «I viaggi di Benedetto XVI in Italia». In particolare, Letta, ha messo al corrente che proprio giovedì mattina c'è stata una riunione alla Farnesina con il ministro degli Esteri «per mettere a punto il ricorso. Abbiamo fiducia - ha detto - che la Corte di Strasburgo ripari al grave torto».

BAGNASCO - Il presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco, ha commentato a margine di una conferenza all'ambasciata italiana presso la Santa Sede, l'annuncio di Letta: «È da apprezzare decisamente questa iniziativa del governo italiano, rispetto alla sentenza della Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo, per quanto riguarda l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche». «È da apprezzare, lodare, sostenere - ha aggiunto Bagnasco - come risulta anche da parte di altri paesi europei che si stanno aggiungendo a questa iniziativa perché - ha sottolineato - la sentenza veramente va contro non solo all'oggettività della storia europea ma anche al sentire popolare, della gente». «Mi pare - ha detto ancora Bagnasco - che sia un chiedere di riequilibrare rispettosamente questa sentenza rispetto alla realtà della gente».

Redazione online
Corriere della Sera 21 gennaio 2010

Le fedi oltre il Crocifisso

Ossola: «Luoghi dell’anima» contro il deserto religioso


DI
C ARLO O SSOLA
I
n luogo di abolire il Crocifisso, oc­correrebbe moltiplicare i luoghi di raccoglimento. Conosco almeno due luoghi – ma altri esistono certa­mente – nei quali questo convergere al centro di noi stessi nel raccoglimento e nella meditazione ha spazio proprio.
Uno, il più emblematico, è nel palazzo delle Nazioni Unite a New York; lo volle il segretario generale Dag Hammar­skjöld (uomo di alta spiritualità: le sue

Tracce di cammino edite
in Italia da Qi­qajon, tradotte in tutte le lingue, sono una summa della sapienza del cuore) e lo inaugurò con queste parole: «Cia­scuno di noi si porta dentro un noccio­lo di quiete, circondato di silenzio.
Questo palazzo, dedicato al lavoro e al­la discussione al servizio della pace, deve avere una sala dedicata al silen­zio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L’obiettivo è stato crea­re in questa saletta un luogo le cui por­te possano essere aperte ai terreni infi­niti del pensiero e della preghiera. Qui si incontreranno persone di fedi diver­se, e per questo motivo non si potrà u­sare nessuno dei simboli cui siamo a­bituati nella nostra meditazione. Esi­stono però cose semplici, che parlano a tutti noi nella stessa lingua. Abbiamo
cercato questo tipo di cose, e crediamo di averle trovate nel raggio di luce che colpisce la superficie scintillante della roccia massiccia.[…] La luce del cielo dà la vita alla terra su cui tutti ci trovia­mo: un simbolo, per molti di noi, di co­me la luce dello spirito dà vita alla ma­teria. Ma la roccia al centro della sala ci dice anche altro. Possiamo vederla co­me un altare, vuoto non perché non vi sia un Dio, non perchè si tratti di un al­tare ad un dio sconosciuto, ma perché è dedicata al Dio che l’uomo adora dandogli molti diversi nomi e molte diverse forme.[…] Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. La sala è dedicata a colo­ro che si recano qui per riempire il vuoto, con ciò che riescono a trovare nel loro centro interiore di quiete». L’altro, di simile natu­ra, è la Sala de Reflexió, 1996, di Antoni Tàpies nel cuore della U­niversitat Pompeu Fa­bra, Cam­pus de la Ciutadel­la,
Barce­lona.
Sa­rebbe ne­cessario che in ogni «luogo plu­rale » (aero­porti, ospeda­li, tribunali, eccetera, come già in parte av­viene) ci fosse­ro queste sale di raccoglimento – proprio per evi­tare che la can­cellazione di ogni simbolo porti ap­punto ai «non-luo­ghi » nei quali vivia­mo, denunciati da Marc Augé. Vigereb­be, tra l’altro, per l’Italia, la Legge 29 Luglio 1949, n. 717 [e DM applicativo 23 marzo 2006]: «Norme per l’ar­te negli edifici pubblici»; essa prevede all’art.
1: «Le Ammini­strazioni dello Stato [...], non­ché le Regioni, le Province, i Co­muni e tutti gli altri Enti pubbli­ci, che provveda­no all’esecuzione di nuove costruzioni di edifici, pubblici ed alla ricostruzione di edifici pubblici, distrutti per cause di guerra, devono destinare all’abbelli­mento di essi mediante opere d’arte u­na quota non inferiore al 2%, della spesa totale prevista nel progetto». La Legge è disattesa. Sarebbe semplice applicarla ed aprire, per ogni nuovo e­dificio pubblico – scuole comprese – un concorso tra artisti perché progetti­no un «Luogo dell’anima»; ognuno vi potrà portare la propria speranza, la propria angoscia, la propria domanda di senso. Il bello e la dignità dell’uma­no unirebbero la loro crescita; altri­menti vale l’adagio antico, riconoscibi­le
nella sentenza di Strasburgo:
ubi desertum faciunt pacem appellant.

Cardia: ma la gente cerca i simboli del proprio credere

DI
C ARLO C ARDIA
L
a proposta di Carlo Ossola è senz’altro originale e suggesti­va, e potrebbe trovare positiva applicazione soprattutto nei grandi complessi internazionali dove sono presenti e lavorano continuativa­mente uomini e donne di tutte le fedi, e nei quali il bisogno di un luogo di raccoglimento può essere avvertito, e appunto sod­disfatto positivamen­te. Non a caso, la citazione più im­portante il prof.
Ossola la riserva al palazzo delle Nazioni Unite, dove la sala di me­ditazione è stata realiz­zata per impulso
di Dag Ham­mar­skjöld.
Più dif­ficile, e non esen­te da qual­che rischio, l’ipotesi di estendere l’esperienza un po’ in generale ad « aero­porti, ospedali, tribunali, eccetera. » per due ra­gioni. In ospedali e tri­bunali è assai dubbia l’utilità di una strut­tura del genere, dal momento che i degenti se hanno bisogno di un conforto, questo è il conforto della propria religione, non di un luogo a­strattamente dedi­cato alla meditazio­ne, mentre nei tribu­nali la maggior parte delle persone sono di passaggio ( un passag­gio molto differenziato, avvocati, giudici, im­putati, eccetera.). Più in genere, però, oc­corre tener presente che nelle diverse nazio­ni, nelle strutture ordina­rie della vita sociale, l’esi­genza di cui parla Ossola è ra- dicata nella propria religione di ap­partenenza ( di quella maggiorita­ria, e delle altre di minoranze) e ciascuna di esse è incarnata ( se così può dirsi) nei luoghi, nelle immagi­ni, nei simboli specifici che le sono propri. Pensare che in una scuola di un paese cattolico, o di uno buddi­sta, o di uno islamico, le persone accettino di inverare il legame per­sonale con la propria chiesa in un luogo vuoto di simboli e segni, nel quale il vuoto stesso voglia rappre­sentare ciò che non può dire, mi sembra collida con alcuni profili della psicologia elementare religio­sa. Incidentalmente, si può rilevare che il riferimento alla legge del 1949 che prevede la destinazione del 2% delle spese per l’abbelli­mento con opere d’arte degli edifici pubblici non sembra afferente alla proposta di cui si parla. Giusta­mente, Carlo Ossola precisa in a­pertura del suo intervento che non bisogna abolire il Crocifisso. Ed in effetti la sua proposta non è alter­nativa alla presenza del Crocifisso ( o ad altro simbolo religioso), ma si presenta come aggiuntiva in un mondo nel quale la complessità, e la velocità, della vita quotidiana to­glie spazio e tempo a quel bisogno di intimità spirituale che gli uomini avvertono in diversa maniera. Oc­corre, quindi, riflettere sulla sua « fattibilità » soprattutto nei luoghi e negli spazi nei quali può essere uti­le, tenendo presente comunque l’e­sigenza che non venga utilizzata o strumentalizzata ( oggi tutto è pos­sibile) per altre finalità, come quel­la di diluire il bisogno religioso in un più generico afflato spiritualista proprio delle filosofie moderne di più vago tenore teista o trascen­dentalista. Non è questo, certamen­te, lo spirito della proposta che ho commentato, però è bene coglierne tutti gli aspetti positivi, insieme ad eventuali sia pure ipotetici rischi di utilizzazione strumentale.



Avvenire 30 dic. 2009

“Il crocifisso non si tocca” mozione bocciata

di Lauretta Marchi

Il 9 Dicembre il consiglio della circoscrizione n. 2 (Ferrara ndr) ha discusso la mozione "Il crocifisso non si tocca" da me presentata, quale capogruppo Udc, a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che si è così pronunciata: " …l'esposizione del crocifisso in classe è contraria al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione", e nella mozione chiedevo all'assemblea di fare proprie le premesse e i principi espressi approvando il documento da inoltrare al Consiglio Comunale per analoga discussione. La mozione partiva dalla considerazione che la presenza del crocifisso in classe non significa solo adesione al e condivisione del cattolicesimo, ma è un simbolo della tradizione antica, della storia, della civiltà e dell'identità italiana risalente a oltre duemila anni fa, e che non è togliendo il crocifisso dalle scuole che il nostro paese farà un passo avanti nel tema della laicità delle istituzioni, perché così si afferma solo il principio del laicismo piu' deteriore, quello della negazione coatta del ruolo del cristianesimo. Ho quindi sostenuto che è comune avvertire l'immagine del Crocifisso come segno che va oltre i riferimenti della religione cristiana e che si erge a rappresentare i valori fondamentali della nostra comunità nazionale perfettamente compresi nel dettato Costituzionale e che la libertà di praticare e professare le diverse confessioni religiose è ampliamente e realmente garantito dal nostro Ordinamento Giuridico. Il presidente Fausto Facchini (PDCI) ha dato inizio alla discussione e, dopo avere espresso una serie di valutazioni personali, ha concluso dicendo che: ".. in uno Stato laico, quale è il nostro, si dovrebbe spiegare ai bambini che esistono una pluralità di religioni e non si dovrebbe imporre anche ai non cattolici la presenza di un simbolo che poterebbe dare loro fastidio". Inoltre, contestando l'affermazione posta nella mozione: "non significa solo adesione al e condivisione del cattolicesimo", per come è stata scritta, si è dichiarato contrario alla mozione stessa. Il consigliere Cavicchi (Pd), a nome di TUTTO il PD, tra l'altro ha sostenuto che: "la presenza di un simbolo religioso, qualunque esso sia, sottende una sottile predominanza dell'uno sugli altri. Gli Stati sono chiamati ad un dovere di neutralità che assicuri la possibilità dei cittadini di conoscere le filosofie espresse dalle varie religioni e decidere, senza condizionamenti, quale abbracciare". Ha aggiunto che non è condivisibile sostenere che il crocifisso costituirebbe un simbolo della storia e della civiltà italiana. Anzi ".. la Chiesa ha costituito uno dei maggiori ostacoli alla costituzione dell'Italia come nazione e il crocifisso non può essere una formalizzazione simbolica dei principi etici di uno stato laico e democratico" (SIC). Mi ha chiesto se la presentazione della mozione nel contesto politico e sociale in cui ci troviamo non sia strumentale e inopportuna e possa essere vista come un tentativo trasversale di suscitare difformità di posizioni all'interno degli altri gruppi. Tagliani, ex militante di Azione Cattolica votato da molti cattolici ferraresi, vota "contro" per non dividere la sua maggioranza? Ma allora quando e in che sede porterà avanti quei valori in cui molti dei suoi elettori credono se non si esprime neppure a livello istituzionale? Credo che i ferraresi che lo hanno votato dovrebbero sollecitarlo a pronunciarsi pubblicamente su questi argomenti e in particolare sulla sentenza di Strasburgo e faccio presente che perfino Bersani ha dichiarato:" che un'antica tradizione come il crocefisso non può essere offensiva per nessuno ".

Sono seguiti altri interventi di consiglieri di maggioranza conclusi tutti con il voto contrario alla mozione e, dulcis in fundo, l'intervento del consigliere Marzola (Pd), ultimo fuoco d'artificio, ha concluso esprimendo un "evviva" alla rivoluzione francese che ha messo in un posto recondito la religione (SIC), ricordando come la Chiesa cattolica abbia rappresentato uno dei maggiori ostacoli alla costituzione di un' Italia quale nazione unita e quanto lo stato Vaticano sia invadente.

Il consiglio si è concluso con 11 voti contrari e 5 a favore (Udc, Io amo Ferrara, Pdl) a differenza di molti consigli comunali in tutta Italia, anche a maggioranza Pd, che hanno deciso di sostenere il ricorso alla sentenza.

Credo che in nome del neutralismo religioso e di un falso ateismo laicista, si stia cercando di spacciare per modernita' l'insignificanza delle memorie e delle tradizioni e voglio aggiungere che nessuno potra' mai togliere dalle pareti delle menti e dei cuori la croce di Cristo, perche' nessuna civilta' ha potuto, ne potra' mai vantare, un'offerta d'amore tanto grande.

Lauretta Marchi (Capogruppo UDC circoscrizione 2)

Secolo senza croce. Qui si spiega perché dietro l’odio anticattolico spesso si nasconde una potenziale minaccia bellica

In questi tempi in cui si parla, dopo la
sentenza della corte di Strasburgo, del
crocefisso, mi viene da pensare che la
decisione di ritenere Gesù pietra
d’inciampo, segno di contraddizione, è
quanto di più ovvio vi sia. Specie dopo
quel secolo “delle idee assassine”, come
lo ha ribattezzato Robert Conquest, il
Novecento, che può essere definito
anche come il “secolo senza croce”. Il
Novecento si apre infatti, in Italia, con i
socialisti massimalisti che, abbandonata
ogni ipotesi di dialogare coi cattolici, cui
li accomuna la critica alla borghesia
liberale, si dedicano a bruciare chiese e
ad assalire capitelli e statue della
Madonna o dei santi. Tra costoro si
segnala, per attivismo e violenza, Benito
Mussolini. Poi c’è lo scoppio della Prima
guerra mondiale, che, come ha notato lo
storico F. Fejtö, in “Requiem per un
impero”, ha tra le cause l’ideologia di
coloro che videro l’Austria Ungheria
come l’ultimo stato cattolico, da
distruggere a ogni costo. E’ dalla prima
guerra che sgorgano il comunismo e il
nazismo, due ideologie spesso
ingiustamente contrapposte, che invece
possiedono moltissimi tratti comuni. Tra
questi, l’avversione al crocefisso, e a
tutto ciò che significa: soprattutto la
necessità per l’uomo peccatore di una
redenzione divina, sostituita da una
palingenesi politica, terrena, generata
dal partito, dal suo Capo e dall’Ideologia.
La rivoluzione russa, infatti, è subito
segnata dall’aggressione alla chiesa, che
porta alla persecuzione sistematica dei
credenti, ai roghi delle icone, allo
smantellamento di molte chiese. Per
Lenin, il creatore del gulag, “qualsiasi
idea religiosa, qualsiasi idea di Dio,
anche solo l’indugiare un istante
sull’idea di Dio, è segno di indicibile
viltà… una peste tra le più abominevoli”.
Nel suo interessantissimo “Il laboratorio
del gulag”, appena uscito per Lindau,
F.D. Liechtenhan racconta la caccia dei
comunisti agli oggetti sacri, distrutti o
raccolti nei musei dell’ateismo, dove
verranno mostrati al pubblico come
segni della superstizione e
dell’ignoranza passate. La Liechtenhan
racconta anche cosa accade nel primo
gulag sovietico, costruito
significativamente in un ex santuario
ortodosso, il monastero delle Solovki,
divenuto un immenso “cimitero per
vivi”. Lì l’uomo, pura materia, privato di
ogni origine divina, viene svilito persino
al momento della morte: “Il trattamento
dei cadaveri tradisce l’onnipotente
disprezzo per l’essere umano. I corpi
devono restare anonimi, ammassati nei
sotterranei degli ospedali: solo
un’iscrizione nei registri permette di
identificarli. Al collo di ciascun corpo è
appesa una targhetta di identificazione,
ma ben presto questo procedimento è
abbandonato a favore di un semplice
numero scritto sulla pelle… Non sono
previste cerimonie funebri e i cadaveri
sono sepolti in gruppi di dieci o quindici.
Salvo eccezioni, l’ubicazione di queste
fosse comuni non è segnalata”. Neppure
le feste più importanti, come Natale e
Pasqua sono veramente tollerate. La
Liechtenhan riporta a tal proposito un
testo comparso sul giornale del lager:
“per il militante comunista è chiaro che
festeggiare questo giorno (la Pasqua,
ndr) è ciò che resta dei tempi antichi,
come simbolo della resurrezione
primaverile della natura… nei tempi
antichi, quando si celebrava il culto
delle piante e degli animali ignorando
l’ipocrisia e la tartuferia della chiesa,
l’umanità festeggiava quel giorno e
celebrava ingenuamente le forze della
natura”. Anche il nazismo, qualche
anno più tardi, dà vita alla stessa
battaglia per sostituire la croce di Cristo
con quella uncinata, dovunque (si veda
in proposito, Luciano Garibaldi, O la
croce o la svastica, Lindau, 2009) e per
sostituire le feste cristiane con quelle
pagane. Nel documento per la
fondazione della “Chiesa nazionale del
Reich” si legge: “La chiesa nazionale
rimuoverà dai suoi altari tutti i
crocifissi, le Bibbie e le immagini dei
santi… la croce cristiana sarà tolta da
tutte le chiese, cattedrali e cappelle… e
sarà sostituita con l’unico simbolo
invincibile, la svastica” (in W. L. Shirer,
“Storia del terzo Reich”, I, 1990). Persino
sulle tombe la croce cristiana viene
sempre più spesso sostituita con la
svastica o con l’antica croce runica.
Quanto alle festività cristiane, esse
vengono parzialmente tollerate, ma si
cercano di creare delle alternative e di
modificarne il senso: “i nazisti
valorizzarono anche la cosiddetta ‘festa
mattutina’ come mezzo per stabilire una
netta separazione tra religione
nazionalista e cristianesimo: essa si
svolgeva infatti la domenica mattina,
proprio con l’intenzione di distogliere la
gente dall’andare a messa”. Si tratta di
una festa per celebrare la patria, lo
stato, intessuta di “appelli al passato
germanico” pagano e precristiano. I suoi
simboli sono la “fiamma sacra”, la
“colona di fuoco”, la “quercia
germanica” già gradualmente
affermatisi col nazionalismo prenazista.
Persino il Natale, sotto Hitler, conclude
lo storico G. Mosse, “fu trasformato nella
festa del solstizio d’inverno e la gioventù
hitleriana non cantò più gli inni
natalizi”, ma fu spinta a evocare le
antiche feste della natura dei popoli
pagani. (G. Mosse, “La nazionalizzazione
delle masse”, Il Mulino). Esattamente
come nella Russia bolscevica.

Francesco Agnoli

Il Foglio 17 dic. 2009

Così l’Europa vuole cambiare la sentenza sui crocefissi. Si prepara una risoluzione riparatoria, socialisti d’accordo ma in imbarazzo

Strasburgo. L’Europarlamento è spaccato
sulla sentenza della Corte europea
dei diritti dell’uomo che impone all’Italia
la rimozione del crocefisso dalle scuole.
Oggi, su iniziativa della Lega, gli europarlamentari
dovrebbero votare su una
risoluzione che sancisce il “principio di
sussidiarietà” sui simboli religiosi, tradizionali
e identitari. Ma il tentativo di
compromesso tra i due grandi gruppi è
fallito, dopo che i Socialisti e Democratici
hanno abbandonato i negoziati con il
Partito popolare europeo.
Eppure le due formazioni hanno un’esigenza
identica: il rispetto del principio
di sussidiarietà da parte di “tutte le istituzioni
europee e organizzazioni internazionali,
compresa la libertà degli stati di
esporre simboli religiosi in luoghi pubblici”,
come recita la risoluzione socialista.
Dai Popolari è venuta la stessa richiesta,
con un’aggiunta: “Allorché tali
simboli rappresentano la tradizione e l’identità
del loro popolo, nonché un aspetto
unificante di una comunità nazionale”.
David Sassoli, il capogruppo del Partito
democratico a Strasburgo che ha condotto
le trattative a nome dei Socialisti, spiega
al Foglio di aver abbandonato la “conciliazione,
perché sulla risoluzione dei
Popolari si erano aggregati leghisti e ultraconservatori”.
Ma Sassoli non esclude
di sostenere il testo dei Popolari: “Proporremo
emendamenti molto corposi: se
la risoluzione diventa un’altra, è probabile”.
Secondo Sassoli, “questa materia
deve essere regolata dalle legislazioni
nazionali” e il Pd vuole dare un “fortissimo
impulso al pluralismo religioso in
una società laica”.
In realtà, Sassoli sta faticando a convincere
il suo gruppo, al cui interno prevalgono
posizioni laiciste. I socialisti spagnoli
e francesi, secondo cui “i compagni
italiani” sbagliano, hanno imposto di interrompere
le trattative con i Popolari.
L’Europarlamento “non può modificare
una sentenza di una corte”, dice lo spagnolo
Juan Lopez Aguilar. I francesi non
vogliono mettere in discussione il principio
della laicità dello stato. La spiegazione
di Sassoli per il “no” a un compromesso
con i Popolari – la partecipazione di
leghisti e ultraconservatori – sembra una
scusa per nascondere le difficoltà interne
ai Socialisti. Dopo la sentenza, lo stesso
Sassoli aveva firmato con il leghista
Mario Borghezio e gli ultracattolici Carlo
Casini e Magdi Cristiano Allam una dichiarazione
per affermare “il pieno diritto
di tutti gli stati membri a esporre simboli
religiosi”.
Niente croci nei cimiteri
Anche il Partito popolare è diviso:
“Una parte del Ppe vede la croce come
simbolo papista”, riconosce Alfredo Pallone,
portavoce del Popolo della Libertà
a Strasburgo. La delegazione “che fa più
problemi è quella francese”, dice Mario
Mauro, capo degli europarlamentari Pdl.
L’Ump di Nicolas Sarkozy, pur avendo
lanciato un dibattito sull’identità nazionale,
propone un divieto del velo integrale
musulmano nello spazio pubblico, che
sarebbe in contraddizione con un “sì” al
crocefisso.
La sentenza della Corte europea ha
scatenato le passioni degli europei. In
Belgio, il senatore socialista Philippe
Mahoux vuole una legge che vieta le croci
negli spazi pubblici dei cimiteri. In Polonia,
il crocefisso è il simbolo della lotta
di liberazione dall’oppressione sovietica.
In Spagna, una mozione parlamentare,
promessa dall’estrema sinistra, per
rimuovere il crocefisso dalle scuole mette
in difficoltà il governo Zapatero.
Ma la Commissione europea se ne lava
le mani: “Non può intervenire in un dibattito
che riguarda il Consiglio d’Europa
e la Corte dei diritti dell’uomo”, che
non hanno nulla a che fare con l’Ue, dice
il commissario Jacques Barrot.
La discussione all’Europarlamento si
è svolta martedì notte e l’aula era deserta.
L’esito del voto è incerto perché nessun
gruppo ha la maggioranza. “Lo scenario
è che non passi nessuna risoluzione”,
avverte Mauro.

Il Foglio 17 dic. 2009

Le leggi nazionali sui simboli religiosi negli edifici pubblici “competono ai Paesi membri”. Così il commissario Ue Barrot

Speriamo di contribuire alla fine del circolo vizioso di paura e violenza che assedia i difensori dei diritti umani nella Federazione russa. Così il presidente dell’Europarlamento Busek ha commentato la consegna – che avverrà stamani – del Premio Sakarov 2009 a tre attivisti russi dell’organizzazione Memorial per i diritti umani. Ma al Parlamento Ue si discute anche della sentenza della Corte europea dei diritti umani sulla presenza del crocifisso nelle scuole. Da Strasburgo, Fausta Speranza:

Spagna, via i crocifissi dalle scuole. Forse

La Commissione istruzione della Camera dei deputati di Madrid ha approvato una mozione nella quale chiede al governo di dare attuazione alla recente sentenza della Corte europea dei diritti umani.

Il Congresso dei Deputati ha approvato una proposta non legislativa che sollecita il Governo Zapatero a rispettare la recente sentenza della Corte di Strasburgo. I crocifissi nelle aule scolastiche sono una violazione “dei diritti dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni” e una violazione delle “libertà di religione degli studenti“. La sentenza, resa pubblica all’inizio del mese scorso, aveva risposto al ricorso da parte di Soile Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese, che nel 2002 aveva chiesto all’ Istituto italiano dove stanno studiando i suoi figli di rimuovere i crocifissi dalle aule.

TESTO NON VINCOLANTE - La mozione approvata per iniziativa del piccolo partito della sinistra repubblicana catalana Erc (Esquerra Republicana de Catalunya ) con l’appoggio del Partito socialista del premier Jose Louis Zapatero, non ha comunque carattere vincolante per il governo. E’ stata concordata tra socialisti e repubblicani con il sostegno del Bng e l’ opposizione del PP e CiU. La votazione finale si è conclusa con 20 voti favorevoli e 16 contrari. Il testo iniziale dell’Erc chiedeva al governo di effettuare “modifiche appropriate per promuovere e garantire la rimozione dei crocifissi dalle scuole”, ma i repubblicani avevano avvertito che, così messo, si trattava del primo passo per rimuovere i simboli religiosi da tutte le scuole. Alla fine, con la mediazione del Psoe si è deciso di presentare un testo più soft in cui non vi è alcun esplicito richiamo per rimuovere i simboli religiosi, ma piuttosto un invito al governo a “traslare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sulla libertà di pensiero, di coscienza e religione “, con particolare riguardo alle scuole, ma senza specificare la proprietà dei centri scolastici. Per il portavoce dell’ Esquerra , Joan Tardà, l’accordo dimostra che i socialisti hanno “una reale volontà politica” di onorare il loro impegno a cambiare la legge sulla libertà di religione. Nel frattempo, il portavoce del Psoe, Louis Thomas, ha accolto con favore l’accordo con l’ Erc e ha ricordato che la Spagna ha sottoscritto la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che le impone di integrare nel proprio sistema giuridico quella sentenza. Il deputato del Psoe ha affermato che il governo vuole adottare misure per conseguire “la condizione di laicità che la Costituzione riserva allo Stato, una laicità che rispetti i religiosi, ma che richiede l’uguaglianza davanti alla legge affinché nessuna confessione possa beneficiare di un trattamento favorevole nei propri rapporti con il potere“.

LE VOCI CONTRO - Dal PP, Juan Antonio Gomez Trinidad, ha accusato il Psoe di essere “campione di incoerenza e ambiguità” e ha criticato la battaglia nei confronti di questa iniziativa : “Con tutti i problemi che abbiamo nell’istruzione, diamo un’immagine di frivolezza e generiamo un problema e un conflitto educativo non necessari”. Secondo il deputato popolare, “Bisogna essere un fanatico o un intransigente per sentirsi aggredito dal crocifisso, dalla stella di David o dalla Mezzaluna“. “Affermare che lo Stato è laico non significa che sia religiosamente laico e belligerante nei confronti di qualsiasi simbolo religioso”. E ha ricordato che “la stragrande maggioranza degli spagnoli si sente credente“.”Se un simbolo dà fastidio, arriveremo a vietare le cantate in pubblico? Dobbiamo distruggere o nascondere la Sagrada Familia, o la facciata delle cattedrali gotiche o dell’ Obradoiro?” “Si può chiedere al governo di portar via le opere dal Museo del Prado, con temi religiosi? Si potrà chiedere di modificare lo scudo del Principato delle Asturie e quello di altri 11 Stati europei?“. Da parte sua, Mercè Pigem (CiU) ha evidenziato che l’iniziativa si estende “al di là delle scuole pubbliche e andrebbe a coinvolgere anche quelle private e miste. “E’ un giardino molto verde, in cui non vogliamo entrare, se si applica a tutto quello che abbiamo finiremo per cambiare i nomi delle strade e delle scuole”, ha detto il vicepresidente del gruppo di nazionalisti, che sostiene l’autonomia delle scuole, “dove non si può vietare o imporre”. Da parte sua, la Bng ritiene che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche “è la manifestazione che il simbolismo dello Stato spagnolo deve mantenersi nei parametri del cristianesimo”. L’ultima parola spetterà ora al Governo Zapatero.


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«Storia e cultura si riconoscono nel crocifisso» di Andrea Tornielli

Il crocifisso ha un «valore religioso, storico e culturale». Lo ha detto a mezzogiorno di ieri Benedetto XVI, al termine del tradizionale appuntamento dell’Angelus, salutando i partecipanti alla marcia promossa da alcune associazioni che hanno voluto manifestare la loro venerazione per la croce.
È la prima volta che Papa Ratzinger tocca l’argomento dopo la controversa sentenza della Corte di Strasburgo che vorrebbe bandire la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane. Una sentenza provocata dal ricorso presentato da una famiglia di Abano Terme.
Poche ore dopo la decisione della corte europea, il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi aveva espresso «stupore e rammarico», sottolineando come il crocifisso sia sempre stato «un segno di offerta di amore di Dio e di unione e accoglienza per tutta l’umanità». Lombardi aveva anche definito «grave», «sbagliata» e «miope» la volontà di «emarginare dal mondo educativo un segno fondamentale dell’importanza dei valori religiosi nella storia e nella cultura italiana».
Ieri il Pontefice non è entrato nel merito della polemica, limitandosi a salutare calorosamente i partecipanti all'iniziativa promossa dall’associazione «Famiglia piccola Chiesa», della parrocchia di San Tommaso ai Cenci, alla quale hanno aderito altre comunità e movimenti della diocesi di Roma. Un migliaio di persone hanno partecipato alla marcia per difendere l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. In testa al corteo, che ha attraversato il centro città, c’era uno striscione con la scritta: «L’amore al Crocifisso, segno di fede e di fraternità universale, simbolo dell’arte e della cultura italiana ed europea».
«Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare coloro che hanno preso parte alla marcia promossa dal Movimento dell’Amore Familiare per manifestare profondo amore al Crocifisso – ha detto Ratzinger – riconoscendone il valore religioso, storico e culturale».
Della volontà di togliere le croci dai luoghi pubblici Benedetto XVI aveva parlato diffusamente all’inizio del suo pontificato, celebrando la festa dell’Assunta a Castel Gandolfo nell’agosto 2005. «È importante - aveva detto a braccio durante l’omelia – che Dio sia presente nella vita pubblica, con segni della croce, nelle case e negli edifici pubblici». Il Papa aveva inserito la richiesta di non togliere il crocifisso all’interno di una riflessione sul fatto che «dove scompare Dio l’uomo non diventa più grande ma perde la dignità, diventa il frutto di una evoluzione cieca e per questo può essere usato e abusato».
Benedetto XVI, che sabato aveva dato inizio al tempo di Avvento celebrando i vespri in San Pietro, all’Angelus ha ricordato che domani ricorre la Giornata mondiale contro l’Aids. «Il mio pensiero e la mia preghiera – ha detto – vanno ad ogni persona colpita da questa malattia, in particolare ai bambini, ai più poveri, a quanti sono rifiutati. La Chiesa non cessa di prodigarsi per combattere l’Aids, attraverso le sue istituzioni e il personale a ciò dedicato. Auspico che, moltiplicando e coordinando gli sforzi, si giunga a fermare e debellare questa malattia».

© Copyright Il Giornale, 30 novembre 2009

Il crocifisso secondo Eco (e Lucio Dalla)

Tratto da Tempi del 24 novembre 2009

Sono continuate per molti giorni in Italia le polemiche sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che ha accolto il ricorso presentato da una cittadina italiana sulla presenza del crocifisso nell’aula scolastica del figlio.

Il governo ha presentato ricorso, un sondaggio del Corriere della Sera ha certificato che la stragrande maggioranza degli italiani non vuole toglierlo, il Vaticano ha parlato di atto «miope e sbagliato», la Cei di «visione parziale e ideologica». Ma anche altri hano voluto dire la loro.

Idee Tra questi, sull’Espresso, anche Umberto Eco che è partito dalla premessa che «anche eliminando i simboli religiosi dalle scuole, questo non incide sulla vitalità dei sentimenti religiosi». Infatti, «nelle università nostre non c’è il crocifisso nelle aule, ma schiere di studenti aderiscono a Cl». Proposta di Eco: togliere Gesù e lasciare la croce. Un articolo intero per arrivare a questa geniale conclusione.

Chi non fosse soddisfatto, può invece pensarla come Lucio Dalla intervistato dal Giorno: «Dalla, cosa pensa della sentenza di Strasburgo? È una grande stronzata».

La legge della sottrazione. Oggi la coscienza europea si fa – alla lettera- per "rimozione": toglie anziché aggiungere

Carlo Ossola, su Il Sole24ore di ieri nell’articolo "Ma l’identità è sottrazione?", scrive a proposito della sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul Crocefisso esposto nelle scuole italiane, rilevando una novità, per quanto relativa ai nostri giorni, assai simile all’ "ansia giacobina della Rivoluzione" che tagliava "le teste ai santi dei portali delle cattedrali francesi".
Ecco la novità: "L’elemento nuovo è il legiferare sui simboli: essi o sono attivi, insegna la semiologia, come un semaforo rosso, trapassando il quale si incorre in una sanzione, o sono "culturalizzati", come i crocefissi nelle aule, sulle vette delle montagne, in qualche cappelletta ai crocevia: non obbligano a sostare né a fare il segno della croce (…) se il simbolo è interamente secolarizzato, è parte del "paesaggio storico": pretendere di toglierlo sarebbe come se il ricorrente fosse affetto da allergia al polline dei tigli e pretendesse –anzichè risalire alle cause della propria allergia – sradicare tutti i tigli, le rose, i fiori del vicinato e del paese intero. Se invece è, anche per un solo bambino o famiglia, ancora traccia del sacro, va mantenuto. Quello che preoccupa oggi, nel farsi di una coscienza europea, è che essa si fa – alla lettera- per "rimozione": toglie anziché aggiungere, rendere compatibile la pluralità, la ricchezza del molteplice; si invita a "decapare", eradere il nostro continente, così procedendo sarà desertificato di simboli; l’uguaglianza si farà per astrazione, per neutralizzazione. La cultura europea sarà perfettamente incolore, insapore, asettica, liofilizzata; ci unirà l’invisibile, l’invivibile: il nulla".


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Allora togliete anche De Amicis dai programmi di scuola

L’inestricabile intreccio storico-politico che rende naturale in Italia la presenza del crocefisso sul muro bianco dietro la cattedra

Via il crocefisso dalle scuole, via finalmente l’Italia di un tempo: non solo quella del “giogo pretesco” (Croce) imposto dai Patti Lateranensi, ma anche l’Italia di don Camillo e del suo crocefisso davanti a cui persino Peppone toglie cappello. Più di un commentatore ha celebrato in questa chiave l’evento di Strasburgo, come il ritorno alla laicità risorgimentale e alla scuola “degli italiani” che ne era nata: la scuola di De Amicis, che “non prevedeva affisso alle pareti alcun simbolo religioso”. Il costituzionalista Michele Ainis sulla Stampa ha insistito sul punto che l’obbligo di esporre il crocefisso negli istituti pubblici risale “agli anni Venti, quando l’Italia vestiva la camicia nera”. Nient’altro che un retaggio clericofascista, dunque, tanto più che nell’Italia unitaria la scuola era libera da simboli religiosi e lo Statuto albertino, che riconosceva il cattolicesimo religione di stato, tenuto in sonno. Fino al fascismo, appunto.

Ma basta scorrere le pagine di “Cuore”, ed è tutto un incontrare suore che staccano crocefissi dalla parete per offrirli ai moribondi, e madri devote che piangono: “Ha buttato via il crocifisso! Mi muore come un disperato!”. Il simbolo cristiano è così connaturale all’ethos “civile” di cui il libro deamicisiano doveva essere l’abbecedario per le nuove generazioni che se ne incontra a ogni racconto del mese. E sulla simbologia cristiana dell’altro grande libro educativo dell’Italia unitaria, “Pinocchio” il cardinale Giacomo Biffi ha scritto pagine illuminanti. Biffi, che nel suo “Risorgimento, stato laico e identità nazionale”, cita una frase di Francesco Crispi: “Il cattolicesimo, oltre la potente e mirabile gerarchia che tiene stretti i fedeli attorno al Capo, ha, ai fini della sua missione, l’educazione, l’insegnamento, la beneficenza, l’apostolato”.
Da consuetudine a obbligo: il crocifisso nelle scuole è imposto ufficialmente soltanto con un Regio decreto del 1924, esteso nel 1928. E il riferimento è addirittura alla legge Lanza del 1857. Ma non si tratta solo della scuola “in camicia nera” adombrata da Ainis (del resto siamo in anni precedenti il Concordato). Del resto, c’era un ministro dell’Istruzione che si chiamava Giovanni Gentile, il quale già all’inizio degli anni 20 andava sostenendo (“Discorsi di religione”) che la nazione italiana aveva bisogno di religione prima che di cultura.

Molto interessante, in materia, è la ricostruzione che lo storico Sergio Luzzatto ha offerto di questa cruciale evoluzione della storia culturale italiana, consentendo di cogliere che la valorizzazione della religione nella scuola non fu solo frutto di una connivenza tra poteri forti. Scrive, in un capitolo della sua biografia di Padre Pio, che “Gentile condivise con Malaparte un’intuizione decisiva, l’idea che il ‘cattolicesimo reale’ andasse riconosciuto come la religione ideale per gli italiani. Da qui, la scelta del ministro di introdurre l’insegnamento della dottrina cristiana in una scuola profondamente riformata”. E conclude Luzzatto: “Da qui, inoltre, la successiva disposizione relativa all’obbligo del crocefisso fra gli arredi di ogni classe”.

Dunque una presenza che attraversa la storia italiana con un continuo sconfinamento, o contaminazione, tra dimensione religiosa e civile, e che ancora oggi rende la stoffa italiana diversa da quella di altre nazioni, anche nel sentimento e nella valutazione del rapporto tra stato e chiesa. Una laicità meno dogmatica di quella scritta nelle tavole di Strasburgo. Resta evidente ancora nei decenni repubblicani, come testimonia il celebre articolo di Natalia Ginzburg sull’Unità, nel 1988, allorché la questione del crocefisso era già arrivata in tribunale, ricordato ieri anche dall’Osservatore Romano: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione – scrisse – a me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita”.

Ma con la Ginzburg siamo già nell’epoca successiva alle modifiche apportate al Concordato con l’Accordo del 1985. Sul filo del paradosso giuridico, con quell’accordo nulla viene stabilito relativamente al crocefisso nelle scuole e, più in generale, negli uffici pubblici, lasciando invariata e affidata ad antichi “regolamenti regi” la consuetudine di far convivere nella scuola pubblica l’insegnamento laico e la presenza sul muro dietro alla cattedra del simbolo di una religione non più di stato, ma avvertita come parte integrante dell’identità nazionale. Un compromesso, forse, dal punto di vista formale. Ma ancora nel 2006 il Consiglio di stato stabilì che il crocefisso, “a parte il significato per i credenti”, rappresenta un “valore universale, indipendentemente”. Ieri sul finiano e laico il Secolo si poteva leggere che la sentenza di Strasburgo è “così lontana dal vissuto quotidiano” degli italiani da avere in sé “qualcosa di torvo e disumano”. Una minaccia culturale non disinnescabile “ope legis”.

di Maurizio Crippa

Perché la Corte europea ha difficoltà a distinguere un Crocefisso da un tronista

La C maiuscola e i diritti ai tempi di Giovanna D’Arco
di Umberto Silva

Tratto da Il Foglio del 5 novembre 2009

Al direttore - Il governo italiano è giustamente insorto contro la sentenza della Corte europea di rimuovere il Crocefisso dalle scuole, ma nelle sue motivazioni si avverte un eccesso di prudenza. Che il Crocefisso sia il simbolo più forte della nostra tradizione non dice granché: la tradizione oggi è molto scaduta, con croci d’oro massiccio che pendono dal collo dei peggiori Barabba. Inoltre tirare in ballo l’identità nazionale è quantomai arrischiato, invece del Crocefisso nelle aule dovremmo appendere la scultura di un tronista.

Il Crocefisso va scritto maiuscolo: non è un povero ferro battuto ma è più vivo che mai; come non accorgersi che nessuna croce può fissare Cristo? Si chiama Resurrezione e non occorre l’altare di una chiesa perchè il miracolo avvenga; quale migliore altare della cattedra di un’aula scolastica e quale migliore sguardo, fresco e vivificante, di quello di tanti bambini curiosi! Il Crocefisso – non ‘i crocifissi’, chè Gesù Cristo non aveva cloni, aveva un corpo e un sangue che tutto versò per noi – va mostrato perché i bambini e noi tutti abbiamo bisogno di dimenticare quel che siamo e a ben altro tendere, apprendendo l’insegnamento di chi si è ribellato al dogmatismo per portare tra gli uomini la libertà. In nome di quale libertà si vorrebbe ora cancellarlo?

Il Crocefisso ci guarda e ci parla, interrogandoci su questioni ben più decisive di quelle poste dal professore e dalla maestra: che Alessandro Magno abbia vinto a Isso non cambia il nostro destino, il destino cambia se ora, per ciascuno di noi, Cristo vince. Parlino i maestri dell’inaudita novella della Sua nascita, senza attardarsi a rivendicarne la storicità o a confutarla: non si tratta di un fatto accaduto duemila anni fa ma di qualcosa che accade tutt’ora, e sta nella forza e nella bellezza del racconto di ciascuno se il Crocefisso apre gli occhi e ci ascolta.

La Corte europea dei diritti dell’uomo sembra la caricatura di quella che mandò al rogo Giovanna d’Arco; sostiene che il Crocefisso può “infastidire i bambini di altre religioni e quelli atei”. Infastidire? Santo cielo, che tipaccio! Ma sì li turbi i bimbi, sicché a loro volta portino in famiglia – in quelle di noi cristiani immaginari, innanzitutto – la brezza della curiosità. Che i nostri figli ci disturbino, e ci distraggano dalle scemenze quotidiane. E accanto al Crocefisso spuntino nelle aule le croci di Abramo Lincoln e di Giordano Bruno, ladroni come Lui di baci e di anime, a ricordarci non quel che siamo o pensiamo di essere, ma quel che occorre diventare.