Il vescovo di San MarinoMontefeltro riflette sull'autentico impegno ecumenico e interreligioso: annunciando il Vangelo la Chiesa afferma la propria identità e può riconoscere quella degli interlocutori
di Mons Luigi Negri*
Tratto da Avvenire del 6 novembre 2009
È indubbio che attorno ai temi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso si assommano oggi una serie di equivoci che rendono molto più faticoso il cammino della vita della Chiesa e l’assunzione della sua missione. Come ricordava l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in un suo lucido intervento a un incontro fra i responsabili diocesani dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, occorre passare da un ecumenismo affettivo sentimentale, che in questi anni è servito a rimuovere le più evidenti difficoltà di pregiudizio o le distanze fra le posizioni religiose, a un ecumeniÈ smo «forte». È necessario, cioè, che ci sia una forte teologia dietro le interpretazioni della situazione ecclesiale in ordine all’ecumenismo, ma soprattutto per i tentativi pratici vanno intrapresi. Ora, la questione fondamentale sembra esser questa: un autentico impegno ecumenico e interreligioso, è possibile nella misura in cui si riduce, quando non si elimina totalmente, l’impegno missionario della Chiesa. Dialogo ecumenico e interreligioso sarebbero un’alternativa alla missione normale della Chiesa che, in quanto si presenta come missione, sembra peccare, per moltissimi operatori dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, di atteggiamenti invasivi, non rispettosi degli interlocutori. Si potrebbe dire: o missione o dialogo. Che è la posizione esplicitamente contraddetta da Giovanni Paolo II nella Ut unum sint e nella Redemptoris missio. L’altra la posizione obiettiva invece vede la capacità ecumenica e di dialogo interreligioso come espressione matura e significativa della vita e della missione. Non allora «o missione o dialogo», ma: «missione e quindi dialogo» (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio).
La missione, ci ha insegnato Giovanni Paolo II, è il dinamismo di «autorealizzazione» della Chiesa che diventa sempre più se stessa, quanto più vive il suo impegno ad annunciare Cristo come unica possibilità di salvezza all’uomo. La Chiesa non può vivere senza missione, pena la perdita della sua identità. La missione della Chiesa è riaprire continuamente il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo. La Chiesa ha vissuto sempre la sua missione nelle circostanze più diverse della sua vita, nei momenti di gloria (come possono essere stati alcuni momenti della grande civiltà cristiana medioevale) o nell’orrore dei campi di concentramento o dei gulag, dove aderenti alle diverse confessioni cristiane e aderenti alle diverse religioni hanno sacrificato la vita per affermare la bellezza e la verità della fede contro la violenza del potere totalitario. Forse in quell’essere gomito a gomito di fronte al potere, in quel morire per l’affermazione di Cristo, sono state scritte le pagine migliori dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso. La questione è sostanzialmente questa: la Chiesa non perda di vista che la missione è il suo compito fondamentale. Questa missione è erga omnes, verso tutti gli uomini, e va proposta a tutti gli uomini come unica possibilità di salvezza, certamente nella libertà. Vale a dire: dalla libertà dei cristiani alla libertà dei loro interlocutori.
Uno dei maggiori costituzionalisti moderni, ebreo di stretta osservanza, il professor J. H. H. Weiler, ritiene che l’espressione più significativa del magistero di Giovanni Paolo II in ordine alle questioni dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso sia proprio la Redemptoris missio. È interessante ricordare questa sua affermazione che per certi aspetti sembra risolvere in modo adeguato tante questioni ancora aperte: «L’affermazione senza compromessi della verità, quella verità che potrebbe sembrare offensiva, è necessaria proprio per l’unicità della mia identità. Ma, al tempo stesso, è un’affermazione dell’alterità dell’Altro. È un riconoscimento della sua Alterità, della sua identità. In questo senso, è profondamente rispettosa di lui, è precisamente ciò che fa di lui lui e di me me».
*vescovo di San Marino-Montefeltro
Avvenire 8 novembre 2009