"Siamo la prima coppia di donne regolarmente unita in matrimonio ma non siamo gay" precisa Alessandra Bernaroli, 38 anni, transessuale bolognese. "La transessualità è una patologia clinica ben definita che si distingue dal travestitismo e dall'omosessualità". La disputa col Comune comincia nello scorso novembre quando la signora, dopo che il tribunale sancisce il cambio di sesso, chiede all'anagrafe la carta d'identità modificata. Il funzionario dello stato civile tentenna accorgendosi che il mutamento finisce per configurare un matrimonio tra donne. Alla fine il documento viene rilasciato di fronte a un'ordinanza dello stesso tribunale, ma l'ulteriore richiesta di uno stato di famiglia viene bloccata. In Comune si accorgono con un certo sconcerto che rilasciare quel documento vorrebbe dire sancire ufficialmente un matrimonio tra persone dello stesso sesso. Così viene stampato uno stato di famiglia in cui le due donne risultano di fatto separate pur abitando nello stesso appartamento. Un vero paradosso legal burocratico.
"Il comune ci ha divise commettendo un abuso d'ufficio, vale a dire un atto privo di giustificazioni giuridiche" si arrabbia la signora Bernaroli. "In più commette anche un falso materiale attestando una divisione che, nei fatti, non esiste. Al contrario, noi siamo tuttora unite in matrimonio, non abbiamo intenzione di divorziare e non mi risulta che esista nessuna legge che proibisca le nozze fra persone dello stesso sesso e imponga un divorzio d'ufficio". A parte le questioni normative e morali, lo strano caso delle due donne sposate, sta creando problemi di tipo fiscale. "Come possiamo fare a compilare la denuncia dei redditi visto che l'appartamento e la macchina sono cointestati e il coniuge risulta a mio carico?" chiede Bernaroli. La questione potrebbe finire in tribunale se il rompicapo non verrà sciolto. La signora, un impiego alla banca popolare dell'Emilia Romagna dov'è segretario generale della Fisac Cgil, ha già interessato del caso Ivan Scalfarotto, la Cgil nuovi diritti e il capogruppo bolognese del Pd in Consiglio comunale, nonché ex presidente Arcigay, Sergio Lo Giudice. "Andrò fino in fondo - promette Bernaroli più che mai combattiva - perché il Comune non può dividere la mia famiglia. Io e mia moglie non abbiamo niente da nascondere, siamo contente così. Capisco che il sindaco si rifiuti di sposare due gay, ma non può sciogliere ciò che è unito".
"Per anni - racconta la signora bolognese - ho represso la mia vera natura e appartenendo a una famiglia cattolica molto severa, ho fatto finta di essere un uomo dedicandomi al culturismo e andando con le ragazze".
© Repubblica (22 dicembre 2009)