Sul Giornale di oggi riporto le parole forti e inequivocabili con le quali ieri Benedetto XVI, facendo gli auguri natalizi alla Curia romana, ha parlato dello sconvolgimento che provato durante il viaggio in Israele visitando lo Yad Vashem, il memoriale delle vittime della Shoah. Come sapete tante sono state le reazioni negative da parte del mondo ebraico per la decisione di Papa Ratzinger di promulgare, sabato scorso, il decreto sull’eroicità delle virtù di Papa Pacelli. Il 17 gennaio è in agenda la visita del Pontefice alla Sinagoga di Roma, un appuntamento a cui Ratzinger tiene molto. I responsabili della comunità desiderano che la visita si faccia, ma in queste ore devono fare i conti con il malcontento di molti membri della stessa comunità, che considerano il via libera alla beatificazione di Pio XII come uno schiaffo, anche a causa di qualche commento trionfalistico che ha letto la decisione papale con sentimenti di rivalsa proprio nei confronti del mondo ebraico. Forse vale la pena di ricordare le parole che pronunciò nel settembre 2000 Giovanni Paolo II (anch’egli prossimo all’onore degli altari) beatificando cinque “venerabili”, tra i quali c’erano Giovanni XXIII e Pio IX, il Pontefice al centro di molte polemiche per il suo atteggiamento nei confronti del Risorgimento. In quella occasione Papa Wojtyla disse, all’inizio dell’omelia e riferendosi a tutti i nuovi beati: ”È appunto la loro santità che oggi riconosciamo: santità che è rapporto profondo e trasformante con Dio, costruito e vissuto nel quotidiano impegno di adesione alla sua volontà. La santità vive nella storia e ogni santo non è sottratto ai limiti e condizionamenti propri della nostra umanità. Beatificando un suo figlio la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute, ma piuttosto lo addita all’imitazione e alla venerazione per le sue virtù, a lode della grazia divina che in esse risplende“.
Credo che queste parole siano attualissime e possano essere applicate anche a Pio XII come ad ogni altro candidato agli altari. Il dibattito - grazie al Cielo più sereno e pacato - sulla controversia storica riguardante i cosiddetti “silenzi” e l’atteggiamento della Chiesa durante la Shoah potrà continuare e continuerà. Beatificando un suo figlio, la Chiesa celebra le sue virtù, la sua adesione al progetto che Dio aveva sulla sua vita, la sua fede, la sua carità. Non necessariamente intende celebrare tutte le “opzioni storiche”, le scelte che egli, in coscienza, ha compiuto. A scanso di equivoci, vale la pena ricordare che il sottoscritto crede che l’atteggiamento prudente nella denuncia sia stata una scelta consapevole e sofferta di Pio XII, il quale riteneva che l’intervento pubblico avrebbe ulteriormente danneggiato i perseguitati e soprattutto avrebbe ridotto i già minimi spazi di manovra delle istituzioni ecclesiastiche impegnate nel salvare gli ebrei. Ma su questo è giusto discutere, confrontarsi, approfondire, vagliare testimonianze e documenti, rifiutando “leggende nere” ma anche “leggende rosa” perché l’enormità della Shoah, evento orrendo e unico nella storia dell’Europa cristiana deve continuare a interrogare le nostre coscienze per far sì che tragedie simili non possano più ripetersi. Il passo in avanti della causa di beatificazione di Pio XII non va dunque presentato né vissuto come un atto che intende chiudere univocamente il dibattito storiografico consacrando una tesi. Forse ricordarlo potrebbe aiutare anche il dialogo con gli amici ebrei romani in vista della visita papale alla loro Sinagoga.
DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi