E’una competizione millenaria quella
tra cristianesimo e islam. L’uno e l’altro
professano di essere i soli custodi della
verità rivelata e per questo fedi destinate
a durare in eterno. Spiegel a questo contenzioso
dedica la copertina
prenatalizia: “Chi ha
il Dio più forte?”. La disputa
prese il via poco dopo
la morte del profeta
Maometto nel 634, quando
un esercito islamico palestinese
si trovò per la prima
volta di fronte a truppe
cristiane. Allora ebbe
inizio la corsa alla conquista della anime
del mondo, una corsa che pur cambiando
i modi, gli strumenti dell’agire sulle persone,
nel nocciolo è sempre rimasta la stessa.
Una contesa condotta a suon di tiratura
dei rispettivi testi sacri, la Bibbia e il
Corano, anche se fino a oggi il primato
spetta ancora alla Bibbia. Ma se è vero che
la Bibbia batte il Corano in quanto a diffusione
è anche vero che nessuna religione
ha visto negli ultimi decenni una tale
espansione e crescita di numero di fedeli
come quella musulmana. I cristiani continuano
a essere in netta maggioranza – 2
miliardi di persone contro il miliardo e
mezzo di fede islamica – solo che, fa notare
lo Spiegel, nel 1900, anno in cui moriva
Nietzsche, i musulmani erano solo 200 milioni.
Oggi sono sette volte di più, mentre
nello stesso lasso di tempo i cristiani si sono
giusto quadruplicati. E ancora. Mentre
le chiese e cattedrali europee si trasformano
sempre più in gioielli architettonici
presi d’assalto dai turisti, le moschee diventano
luoghi attraverso i quali professare
orgogliosamente la propria fede. E a
leggere il commento preoccupato dell’urbanista
Said Jamakoviç sulla recente costruzione
o il restauro di 158 moschee in
Bosnia con soldi dell’Arabia Saudita sembra
di sentir riecheggiare i timori elvetici,
che con un referendum popolare ha da poco
vietato la costruzione di minareti: “Erigere
moschee significa segnare il territorio”.
L’espansione dell’islam dopo secoli
di stasi è uno dei fenomeni del nuovo Millennio,
al quale si aggiunge ovviamente
una preoccupante deriva fondamentalista.
Un’espansione che ha diverse motivazioni,
emerse già prima dell’attacco alle Torri
gemelle: motivazioni di carattere politico,
sociale, demografico, economico. Il panarabismo
era fallito (in Egitto così come in
Iraq). L’islam, inteso anche come potere
politico, iniziò a rafforzarsi, perché i regimi
precedenti non avevano mantenuto le
promesse fatte. Secondo il professor Timothy
Shah, docente ad Harvard, il ritorno
di Allah in Egitto si può addirittura datare
con certezza: e cioè al 10 luglio del
1967, il giorno della disfatta del paese nella
Guerra dei sei giorni contro Israele. Allora
il paese si allontanò dal socialismo
laicista di Nasser e si rivolse ai Fratelli
Musulmani. Pare di capire allora che nella
crescita esponenziale dei fedeli musulmani
c’entri sì la fede, ma non meno l’aspirazione
a una vita di minori stenti. Spiegel
scrive infine che, per quanto rapida la propagazione
dell’islam, il sorpasso è ancora
di là da venire: per il 2050 si calcolano 2,5
miliardi di musulmani contro 3,1 miliardi
di cristiani. Ma se uno dei motori della rinascita
dell’islam è stata la speranza di un
miglioramento delle condizioni di vita,
con l’instaurazione da parte dell’ayatollah
Khomeini della Repubblica islamica, oggi
ci sono segnali che sembrano indicare un
nuovo cambio di rotta. L’ultimo numero
del magazine dell’Herald Tribune ospita
l’intervento di Abdul Rahman al Rashed.
Nel suo articolo il direttore generale della
tv Al Arabiya ricorda le aspettative accese
dal discorso di Barack Obama all’Università
del Cairo: i giovani chiedono un
cambiamento e Obama ha acceso le loro
speranze di pace. In Iran, poi, gli studenti
scendono in piazza da mesi, contro un clero
e un regime che non ha saputo mantenere
le promesse di riforme. La disputa su
quali delle due religioni si dimostrerà
eterna continuerà probabilmente fino alla
fine dei tempi, i regimi islamici, incapaci
di assicurare il benessere promesso
(Ahmadinejad la prima volta fu eletto soprattutto
perché prometteva più giustizia
sociale) potrebbero invece andare incontro
alla stessa sorte del panarabismo.
Andrea Affaticati
Il Foglio 23 dic. 2009