Roma. San Sebastián è una città di oltre
180 mila abitanti della Spagna nord orientale.
E’ capoluogo della provincia di
Guipúzcoa, nella comunità autonoma dei
Paesi Baschi. La diocesi di riferimento
però è più ampia: ne fanno parte circa 600
mila battezzati. Qui lo scorso 21 novembre
Benedetto XVI ha nominato vescovo monsignor
José Ignacio Munilla Aguirre. Una
nomina in linea con quella parte dell’episcopato
spagnolo definita “conservatrice”,
in sintonia con l’attuale pontificato e le
sue linee magisteriali. Una nomina, anche
per questo motivo, contestata dalla base,
dai fedeli e dal clero, un po’ come avvenne
lo scorso inverno con un’altra nomina
di eguale fattura, quella di monsignor
Gerhard Wagner a vescovo ausiliare dell’austriaca
diocesi di Linz. Anche allora
Wagner, come oggi Munilla Aguirre, subì
una violenta contestazione, per settimane
alimentata dai giornali e dai media locali
nel generalizzato e imbarazzato silenzio
dell’episcopato austriaco. Allora, era il 2
marzo, il Papa fu costretto a dimettere Wagner
e, dunque, a tornare clamorosamente
sui propri passi. Oggi, invece, Munilla
Aguirre ancora non è stato dimesso e in
molti, soprattutto tra l’episcopato spagnolo
fedele al Papa, sperano che non si arrivi
a tanto. Ma la situazione non è facile.
La rivolta della base spagnola vede in
prima linea 85 dei 110 parroci in attività.
Insieme hanno firmato un documento nel
quale si dissociano dalla nomina di Munilla
Aguirre. I motivi di questa presa di distanza
però non sono semplicemente per
la linea magisteriale del presule. Ma anche,
c’è chi dice principalmente, per le sue
idee politiche ben esplicitate in una recente
dichiarazione rilasciata nel corso di
un’intervista: “La priorità del mio ministero
è quella di depoliticizzare la chiesa basca”.
In una delle diocesi più politicizzate
di tutto il paese dove anche i preti non sono
lontani dalle aspirazioni irredentiste
del popolo, le dichiarazioni del neo vescovo
sono suonate come una sorta di attacco
preventivo al quale, il clero, ha voluto
prontamente controbattere. Non solo, contro
il neo vescovo e le sue dichiarazioni è
arrivata subito anche la protesta di parte
del Partito nazionalista basco che ha denunciato
un nuovo tentativo di “spagnolizzazione
forzata” dell’identità basca.
E’ vero: Munilla Aguirre non se l’è presa
più di tanto. Nato nel 1961 proprio a
San Sebastián, conosce bene la sua gente.
Sa che lo considerano contrario alla vena
autonomista e alle simpatie nazionaliste
locali. E sa che principalmente per questo
motivo non può che essere criticato. Ciò
che però non gli va giù sono le ostilità mostrate
per il suo essere, come scriveva
qualche giorno fa El Mundo, “militante fino
al midollo, uno che non si arrende davanti
a nulla e nessuno”. In sostanza, gli
contestano anche d’essere troppo “ratzingeriano”
come gli interventi tenuti periodicamente
su Radio Maria España e sul
quotidiano Abc dimostrerebbero.
A differenza del caso austriaco, in Spagna
l’episcopato sembra essere compatto
e unito in difesa del Papa e della congregazione
dei vescovi che lo scorso novembre
ha portato avanti la candidatura del
vescovo. E, dunque, non si dovrebbero verificare
dietro front. Anche perché un conto
è contestare un vescovo perché troppo
conservatore, come era il caso riguardante
Wagner, un altro è contestarlo principalmente
perché intenzionato a depoliticizzare
la chiesa locale, come sta avvenendo a
San Sebastián. Se di colpe si tratta, la prima
colpa, quella di Wagner, sembra più
grave della seconda: Wagner è stato dimesso,
Munilla Aguirre ancora no.
Paolo Rodari
Il Foglio 23 dicembre 2009