DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

IL PROF E I CATTOLICI RAMBO. Robert George, l’intellettuale di riferimento della destra religiosa americana

di Christian Rocca

Robert P. George è il nuovo intellettuale
di riferimento della destra
religiosa americana. “Il braccio
destro dei monsignori”, lo ha definito
il New York Times in un lungo profilo
pubblicato domenica scorsa sul magazine
del giornale. Altri, più critici,
pensano che questo professore di filosofia
del diritto a Princeton sia diventato
il leader dei “Rambo Catholics”
e voglia trasformare la chiesa in
uno strumento politico del Partito repubblicano.
La destra americana è stata sconfitta
in modo netto alle scorse elezioni
da Barack Obama e dai democratici,
ma al momento non sembra interessata
a una seria riflessione alternativa
al progetto obamiano, piuttosto
si fa trascinare dal ventre populista e
dai toni antielitari della sua base più
radicale. Per il dibattito politico e civile
americano è confortante scoprire
che dietro una parte dell’opposizione
alla Casa Bianca ci sia comunque un
“big thinker” come il professor Robert
George.
La grande novità è che a ispirare
questa resistenza culturale alle politiche
interne di Barack Obama sia un
pensatore cattolico, non un esponente
del mondo evangelico. Robert George
è, infatti, l’architetto della nuova e rumorosa
presenza dei cattolici nel dibattito
politico di Washington. E’ lui,
questo giurista titolare della cattedra
che fu del presidente liberal Woodrow
Wilson, ad aver convinto i capi
della Conferenza episcopale americana
ad approfittare del ritiro dalla politica
militante di molti leader evangelici,
rimasti delusi e scottati dalle
promesse non mantenute di George W.
Bush. Al loro posto, nella pubblica
piazza americana, sui temi eticamente
sensibili sono subentrati i vescovi
cattolici, la cui voce negli ultimi mesi
si è fatta sentire come non mai contro
le scelte abortiste di molti esponenti
del governo Obama, la decisione dell’Università
Notre Dame di ospitare
un discorso del presidente, le politiche
a favore della ricerca sugli embrioni
e più recentemente un aspetto
della riforma sanitaria.
In un discorso di lunedì alla curia
romana, Papa Benedetto XVI ha sottolineato
la differenza del ruolo della
chiesa rispetto a quello dei legislatori,
rigettando “la tentazione di fare politica”
da parte dei vescovi, così come
quella “di trasformarsi da pastori in
guide politiche”. L’approccio dei porporati
americani più influenti – dall’arcivescovo
di New York Timothy
Dolan a quello di Newark John Myers,
da quello di Philadelphia Justin Rigali
a quello di Washington Donald W.
Wuerl – sembra apparentemente diverso
da quello indicato dal Pontefice,
ma in realtà non lo è. E’ vero che i vescovi
americani hanno un segretariato
per le attività pro life a coordinare
l’opposizione al progetto di riforma
sanitaria di Obama, ma il tema dell’opposizione
è l’aborto. Così come ha
sostenuto i deputati democratici moderati
che alla Camera hanno emendato
il testo della riforma, la Conferenza
episcopale americana ha fatto
sapere che si opporrà al testo di riforma
sanitaria in via d’approvazione al
Senato. Ma, di nuovo, il problema è
che il testo del Senato non vieta del
tutto l’inclusione della possibilità di
abortire dai piani di copertura sanitaria
che i cittadini potranno acquistare
con l’aiuto finanziario dello stato.
Robert George è l’architetto del
nuovo approccio politico dei vescovi
americani, ma le sue idee in realtà
non sono lontane da quelle del Pontefice.
La scorsa primavera, George è
stato invitato a parlare a Washington
davanti a una platea di vescovi. Senza
molti giri di parole, il giurista e filosofo
ha spiegato ai prelati che avrebbero
dovuto smettere di intervenire e
di entrare nel dettaglio delle soluzioni
politiche su questo o quel tema di
giustizia sociale. Va bene battersi contro
la povertà e le ingiustizie, ma senza
entrare nel merito dei rimedi da
suggerire alla politica. Parlare di tasse,
di sanità, di salari minimi eccetera
non è compito della chiesa. Gli uomini
di religione, ha spiegato George, dovrebbero
esercitare la loro autorità
sulle questioni morali e sociali, come
l’aborto, la ricerca sugli embrioni e il
matrimonio gay. Pochi mesi dopo, la
Conferenza episcopale ha cominciato
a fare esattamente in questo modo, fino
a rimuovere decenni di battaglie a
favore della copertura sanitaria universale
per impegnarsi contro la tanto
desiderata riforma qualora non
avesse vietato di comprare con il sostegno
dello stato polizze assicurative
che prevedono l’aborto.
Le idee di George sono diventate
popolari nella curia, come dimostra
la decisione del vescovo del Rhode
Island di negare la comunione al deputato
democratico Patrick Kennedy,
figlio dello scomparso Ted, a causa
delle sue posizioni favorevoli all’aborto.
In generale le gerarchie cattoliche
hanno fatto un passo avanti rispetto al
passato non soltanto per colmare il
vuoto lasciato dalle chiese evangeliche
e riaffermare il principio della sacralità
della vita, ma anche per contrastare
la recente controffensiva dei
democratici e di Obama volta a intercettare
il voto religioso. Così mentre il
presidente provava a trovare un terreno
comune sulle interruzioni di gravidanza,
il New York Times segnalava
come i vescovi cattolici lo avessero denunciato
come il candidato più abortista
della storia americana.
Nato in West Virginia cinquantaquattro
anni fa, George ha una doppia
laurea ad Harvard in legge e teologia
e master a Oxford in filosofia. All’inizio
degli anni Novanta è stato uno dei
principali consiglieri e speechwriter
del governatore democratico della
Pennsylvania Robert Casey, padre
dell’attuale senatore Bob Casey e noto
in America per quelle sue posizioni
antiabortiste che nel 1992 costrinsero
Bill Clinton a negargli il diritto di
parola alla convention del partito.
Più recentemente, George è stato
assieme a un altro ex consigliere di
Casey, John DiIulio, tra coloro che
hanno convinto George W. Bush ad
adottare la politica restrittiva sulla ricerca
sulle staminali embrionali con
cui sono stati limitati i finanziamenti
federali alle linee embrionali già esistenti,
vietando tutto il resto. Il professore,
senza mai fare molto parlare
di sé, è stato nominato al Consiglio
presidenziale di Bioetica ed è stato insignito
da Bush della Presidential citizens
medal.
Per vent’anni, ha scritto David Kirkpatrick
sul Times, il professor George
ha lavorato ai margini del dibattito
pubblico americano, restando al crocevia
tra l’accademia, la curia e la politica.
Negli ultimi dodici mesi, invece
ha cominciato ad assumere un ruolo
di primo piano, prendendo di fatto il
posto di guida intellettuale dei cattolici
impegnati in politica che è stato
lasciato libero dal reverendo Richard
John Neuhaus, scomparso a gennaio
di quest’anno.
Nel giro di poco tempo è diventato
la faccia pubblica della sponda cristiana
della guerra culturale americana.
Glenn Beck, la nuova star dei talk
show conservatori di Fox News, definisce
George “uno dei più grandi cervelli
d’America” e, addirittura, “Superman
sulla Terra”. Karl Rove e
Newt Gingrich lo considerano uno degli
astri nascenti del movimento conservatore
americano. Il giudice della
Corte Suprema Antonin Scalia garantisce
che George è uno dei pensatori
di cui si parla di più nei circoli giuridici
conservatori.
E’ diventato il presidente del National
Organization for Marriage, uno
dei gruppi più influenti nella battaglia
contro il matrimonio gay. La sua
tesi contro le nozze omosessuali va oltre
la difesa della tradizione e spiega
che si tratta di atti contrari alla ragione
umana e alla legge naturale. Se ci
fosse davvero un complotto ordito dall’estrema
destra contro Obama, ha
scritto il giornale cattolico Crisis citato
dal Times, è molto probabile che i
leader si ritroverebbero nel tinello di
George. Il professore però è rispettato
anche dagli avversari, al punto da insegnare
corsi universitari assieme a
un accademico di estrema sinistra come
l’afroamericano Cornel West che
di lui dice: “E’ un bravo fratello”.
A settembre, George ha fatto compiere
un salto di qualità al movimento
cristiano contro Obama grazie a “un
appello alla coscienza cristiana” noto
con il titolo di “Dichiarazione di
Manhattan” per avvertire gli americani
che la guerra culturale non è affatto
terminata. Centocinquanta leader
religiosi, cattolici, evangelici, anglicani
e ortodossi hanno sottoscritto un
manifesto per una battaglia seria e responsabile
contro l’aborto, il matrimonio
gay e a favore della libertà religiosa
e di coscienza. “I cristiani – ha
scritto George – sono stati all’altezza
dei più alti ideali della loro fede
quando hanno difeso i deboli e i vulnerabili
e quando hanno lavorato instancabilmente
per proteggere e
rafforzare le istituzioni vitali della società
civile, a cominciare da quella
della famiglia”.
Ci sono alcune verità fondamentali,
si legge nella dichiarazione firmata
dai leader cristiani, tra cui un bel
gruppo di vescovi cattolici, “la santità
della vita umana, la dignità del matrimonio
come unione coniugale tra marito
e moglie, i diritti di coscienza e di
libertà religiosa”. Attorno a questi
principi “inviolabili e non negoziabili”,
su cui non sono ammessi cedimenti
e compromessi, George ha costruito
la base culturale della battaglia conservatrice
nell’era Obama e, soprattutto,
ha segnato la traccia dell’impegno
cristiano contro le politiche della
Casa Bianca. Lo sforzo, si legge sul
manifesto, non è di parte né appartiene
a un particolare schieramento politico:
“E’ un impegno che assumiamo
da seguaci di Gesù Cristo, il Signore
crocifisso e risorto, che è la via, la verità
e la vita”.
Oltre alle nozze gay e all’aborto,
l’altro grande tema caro a George è
quello della ricerca scientifica sulle
cellule staminali embrionali. Poco più
di un anno fa, ha pubblicato assieme
al filosofo Christopher Tollefsen un libro
intitolato “Embryo – A defense of
human life”. George ha provato a spiegare
da un punto di vista razionale e
non religioso perché la vita debba essere
difesa fin dall’inizio e non soltanto
da un certo momento in poi, visto
che l’embrione, esattamente come
il feto, il neonato, il bambino e l’adolescente,
ha bisogno di un ambiente
accogliente per diventare un essere
umano adulto.
George e Tollefsen fanno una distinzione
tra scienza, tecnologia ed
etica. La scienza spiega che cosa sono
gli embrioni e quando cominciano a
essere tali. La tecnologia rappresenta
la capacità dei ricercatori di fare alcune
cose con gli embrioni, magari
crearli in laboratorio oppure clonarli
e conservarli. La tecnologia e la scienza
però non sono capaci di fornire una
guida morale al trattamento degli embrioni.
E’ falso sostenere che se una
cosa si può fare, allora deve essere fatta
o è bene che si faccia. A occuparsi
di che cosa si dovrebbe fare o non fare
con un embrione, secondo George,
è l’etica, bellezza.

Il Foglio 23 dic. 2009