Negli ultimi giorni del 2009, Anno
internazionale dell’astronomia
(che celebra le prime osservazioni celesti
di Galileo Galilei) e secondo centenario
della nascita di Charles
Darwin (che scrisse “L’origine delle
specie” giusto centocinquant’anni fa),
anche i teologi si ritrovano per parlare
di evoluzione. Un tema su cui i cattolici
sono divisi tra una maggioranza
che accetta la vulgata e una minoranza
che si proclama creazionista contro
l’evoluzionismo imperante.
E’ di questi giorni il ritorno di fiamma
di una polemica che ha come protagonista
il vicepresidente del Cnr,
Roberto de Mattei, reo di aver organizzato
nel febbraio scorso un convegno
molto critico sull’evoluzionismo i
cui atti sono appena stati pubblicati
dall’editore Cantagalli. Il matematico
Piergiorgio Odifreddi, custode del
darwinismo più dogmatico, lo ha attaccato
a testa bassa. Da parte sua, il
magistero ecclesiastico alterna solenni
incontri ecumenici con gli scienziati
a prese di distanza argomentate.
La querelle tra evoluzionisti e
creazionisti è molto vivace. Ma chissà
che all’Associazione teologica italiana
(Ati), nei suoi tre giorni di studio
romani (ieri il primo), non riesca un
dribbling smarcante, una scintilla di
novità. Sembra quasi prometterlo uno
degli organizzatori, Giuseppe Accordini,
docente di Epistemologia allo
Studio teologico San Zeno di Verona,
che riassume così per il Foglio il senso
dell’iniziativa: “Non vogliamo una
celebrazione di Darwin, ma un confronto
duro che instauri un reciproco
rispetto e indichi una direzione al
cammino. Un cammino senza dubbio
lungo che impone a ogni sapere di
perseguire la sua identità nel tempo
e nel conflitto delle interpretazioni, a
cui si espone anche la rivelazione”. In
altre parole, “il darwinismo più che
una ferita narcisistica, di freudiana
memoria, inferta all’uomo credente, è
una domanda inevitabile alla filosofia,
alla rivelazione e alla scienza sull’origine
e sul destino dell’uomo e
dell’universo, in se stessi e in un
eventuale rapporto con Dio, e quindi
sul loro risolversi in scontati eventi
seriali o sul loro aprirsi a eventi irripetibili
e singolari”.
Insomma, nessuna intenzione di
beatificare Darwin né tantomeno alcuni
suoi nipotini. Certo, tra i relatori
del corso figura il teologo Carlo Molari,
massimo esperto di Teilhard de
Chardin che ha avuto i suoi bei problemi
con le gerarchie. E anche gli altri,
i filosofi Paolo Costa, Orlando
Franceschelli, Simone Morandini,
Stefano Semplici, lo scienziato-teologo
domenicano Jacques Arnould, sono
tutt’altro che creazionisti. Eppure
non si respira aria di concordismo,
quella conciliazione a buon mercato
tra fede ed evoluzione che proprio
Franceschelli ha definito “darwinismo
ecclesiastico”.
Certo, per intendersi gioverebbe
una disintossicazione lessicale. Bisognerebbe
distinguere Darwin da
darwinismo, evoluzione da evoluzionismo.
Creazione e creazionismo non
sono la stessa cosa e l’Intelligent Design
americano è altra cosa dal creazionismo
classico. Dio contro Darwin,
o viceversa, più che una lotta impari
è una fiction surreale. Tutto vero, eppure
gli slittamenti semantici, che i
mass media registrano quotidianamente,
tradiscono l’effettiva posta in
gioco. “Ciò che di fatto la questione
dell’evoluzione pone in questione
intenon
è tanto l’offerta di una chiave di
lettura scientifica, fondata e oggettiva,
d’interpretazione della storia
dell’universo, quanto, insieme a
questo, la riproposizione dell’eterno
interrogativo intorno all’identità
e al destino dell’uomo,
per sé immerso nel flusso
di questa storia, certo, ma al
tempo stesso decisamente eccentrico
ed eccedente
rispetto
ad
e s s a ” ,
scrive
il presidente
dell’Ati
Piero Coda
nella
prefazione a un recente
libro di Alberto Piola,
“Non litigare con
Darwin” (Edizioni
Paoline); di conseguenza
“la controversia
tra evoluzione
e creazione
non è che la
spia di una correlazione
tra sapere della
fede e sapere delle
scienze di cui ancora
non si è trovato
il bandolo”.
Una dialettica da
non sottovalutare.
Lo sosteneva già nel
1969 il teologo Joseph Ratzinger
in una lezione dal titolo emblematico,
“Fede nella creazione e
teoria dell’evoluzione”: “Effettivamente
il passaggio alla contemplazione
evolutiva del mondo rappresenta
il passo verso quella forma positiva
della scienza che si limita consapevolmente
a ciò che è dato, concreto,
dimostrabile all’uomo ed
esclude dalla sfera della
scienza la riflessione
sulle vere ragioni
del reale come
una riflessione
sterile. In questo,
fede nella
creazione e
idea dell’evoluzione
indicano
non soltanto
due diverse
dimensioni
di ricerca,
ma due diverse
forme di
pensiero”.
Perciò il
pensiero
credente
non può
semplicemente
giocare
di rimessa.
Secondo
Accordini, “la
teologia
n o n
può limitarsi
a l l a
p u r a
apologia
della sua
identità o
ad un lodevole
sforzo di mediazione,
ma deve
attrezzarsi per
un dialogo rigoroso
e coraggioso. La teologia,
che nasce dall’ascolto
intelligente della rivelazione di
Dio, ma che necessita anche di strumenti
di mediazione culturale e inte
ragisce con la complessità dei contesti
di vita, ha l’ambizione di mettere a
fuoco una domanda fondamentale
sull’uomo e sulla stessa natura dell’universo
da cui l’uomo proviene e a cui
fa ritorno”. Una domanda che si radica
in mondi diversi. “C’è il mondo naturale
dei greci, non creato da mano
umana o divina: è una realtà viva, un
fuoco che si accende e spegne a intervalli
regolari; c’è il mondo della
creazione biblica che ha Dio come
mistero originario ed escatologico e si
sviluppa in una progressiva separazione,
promossa da parte di Dio, e in
una crescente responsabilità di ritorno
da parte dell’uomo; e poi c’è il
mondo inventato e modellato dall’homo
sapiens o faber, prodotto da una
forza calcolante e determinante che
decide direzione e senso ultimo”. In
questa prospettiva, il darwinismo o
meglio la teoria dell’evoluzione diventa
una provocazione seria. Addirittura
tragica quando si applica alle
scienze sociali. E’ il cosiddetto
“darwinismo sociale” (Herbert Spencer),
una selezione economica della
specie per cui sopravvive il più adatto
cioè il più forte: l’antitesi del messaggio
evangelico. La filosofa Hannah
Arendt, che se ne intendeva, nel suo
saggio sulle “Origini del totalitarismo”
indicò nella “legge del movimento”
di Darwin l’altra matrice, insieme
a quella marxista, dei regimi
totalitari.
E’ impossibile dunque parlare di
origine senza fare i conti con l’evoluzione
ma la teologia più avvertita vuole
ribaltare l’assioma per chiedersi
chi è l’uomo e, più concretamente,
quando l’uomo diventa uomo. Quella
che in termini tecnici si dice umanazione
e sulla quale il professor Ratzinger,
nella conferenza citata, disse parole
illuminanti: “L’argilla divenne
uomo nell’istante in cui un essere per
la prima volta, anche se ancora in mo-
I creazionisti […] non possono sostenere
che il racconto biblico sia provato
scientificamente, emulando così
gli evoluzionisti dogmatici che credono
che la loro teoria sia scientificamente
provata”. Nel cuore del proprio
ponderoso libro, “Charles Darwin oltre
le colonne d’Ercole. Protagonisti,
fatti, idee e strategie del dibattito sulle
origini e sull’evoluzione” (Gribaudi,
Milano 2009), lo afferma Mihael Georgiev.
Nato a Sofia, Georgiev ha lasciato
la Bulgaria nel 1971 e, dopo aver
studiato negli Stati Uniti, si è accasato
in Italia. Laureato in Medicina e
chirurgia alla Sapienza di Roma, dal
2006 è membro del Centro di malattie
vascolari dell’Università di Ferrara.
Autore di testi medici e scientifici, dal
2002 è vicepresidente dell’Associazione
italiana studi sulle origini
(www.origini.info). Il bello però è che,
personalmente parlando, Georgiev
creazionista lo è davvero, giacché
prende sul serio quella fede che definisce
l’Altissimo “creatore del cielo e
della terra”. Ma, al tempo. Georgiev
non è un “concordista”. Anzi. Protestante,
scrupoloso lettore (come pochi,
magari pure tra i cattolici) del magistero
cattolico in materia, sin dai dibattiti
coevi a Darwin su Civiltà Cattolica
e dintorni, stigmatizza il confondere
scienza e fede. Certo, pensa che
le due percorrano tratti di strada comuni,
ma si guarda bene dal saltare di
palo in frasca. Il suo librone si configura
così come una navigazione attraverso
quanto scientifico lo è, e lo è sul
serio, e quanto invece non lo è, altrettanto
sul serio. In primis il creazionismo
(un turpiloquio pensato per denigrare
chi la fede, fortuna sua, ce l’ha)
e l’evoluzionismo talebano; quindi
quanto Darwin disse ma pure non disse,
cosa di Darwin han fatto darwinisti
e neodarwinisti, quel che al naturalista
obbiettano i critici di ieri e di oggi;
poi il dibattito tra filosofia e scienza
dai greci al Rinascimento passando
pure, ovvio, per le dispute medioevali,
l’incontro fra ragione e Rivelazione
così come lo scontro fra un altro tipo
di ragione e fede; infine le coordinate
del cosiddetto progetto intelligente,
quelle vere, mica le caricature che
vengono messe in bocca ai suoi sostenitori.
Giunto all’ultima pagina, il lettore
ne sa più di prima (perdonate la
banalità, ma oramai, con certi libri
che si pubblicano, questo “minimo
sindacale” non è più un diritto acquisito)
e pure si convince: il darwinismo
sarà pure affascinante, ma quando ce
ne mostreranno una prova evidente
che sia una, e a norma di metodo
scientifico, induttivo, empirico, sperimentale,
positivo, galileiano e laico,
allora ci convertiremo. Una summula,
quella di Georgiev, da appaiare al superlativo
(e tecnico e noioso quanto è
sacrosantamente giusto sia un libro di
biologia generale) “Trattato critico
sull’evoluzione. Certezza dei fatti e diversità
delle interpretazioni”, curato
da due quadrati scienziati tedeschi,
Reinhard Junker e Siegfried Scherer,
alla testa di un pool di una ventina di
specialisti, uscito in italiano nel 2007
da Gribaudi in una versione curata da
Fernando De Angelis. Buon rincalzo
lo dà del resto Ferdinando Catalano,
fisico messinese e ricercatore di ottica
oftalmica, docente di Optometria
all’Università del Molise. Il suo “La vita
e il respiro e ogni cosa. Termodinamica
e abiogenesi” (Aracne, Roma
2009) spende, nel sottotitolo, un parolone
più noto come “generazione
spontanea”: la pretesa che dal nulla
venga qualcosa, Dio a parte, dall’inanimato
l’animato, dalla materia inerte
la vita. Un’idea su cui il darwinismo si
fonda, e pour cause, ma che nessuno
ha mai dimostrato, anzi semmai sbugiardato:
Francesco Redi e Lazzaro
Spallanzani fra Sei e Settecento, e
Louis Pasteur nell’Ottocento. Ricorda
peraltro Catalano che, nonostante la
graniticità con cui la “chiesa evoluzionista”
cerca di accreditarsi oggi, al
momento esistono ben 13 diverse e
contrastanti ipotesi sull’origine della
vita sulla Terra: epperò tutti a dare
addosso per esempio al povero “principio
antropico”, quello che, misurazioni
scientifiche alla mano, mostra
come questo nostro strano e fantastico
pianeta stia lì piroettante da tempo
nell’universo, con le sue piante, i suoi
animali, i suoi uomini, atei o credenti,
la scienza e le illazioni, ma questo grazie
a una serie delicatissima di costanti
e di dettagli finemente cesellati
e in sereno equilibrio, ché se uno solo
variasse di un soffio verrebbe già tutto.
Quasi un pianeta privilegiato a misura
di uomo, di cui, fino a prova contraria,
non vi è pari nell’universo.
Marco Respinti
do confuso, riuscì a sviluppare l’idea
di Dio. Il primo tu che fu pronunciato
– balbettando come sempre – nei confronti
di Dio dalle labbra dell’uomo,
indica l’istante in cui lo spirito era nato
nel mondo. Qui fu attraversato il
Rubicone dell’umanazione. Poiché
l’uomo non è costituito dall’utilizzo
delle armi o del fuoco né dalle nuove
forme della crudeltà o dell’utilitarismo,
ma dalla sua capacità di essere
immediatamente in rapporto con Dio.
Questo stabilisce la dottrina della particolare
creazione dell’uomo. Soprattutto
qui sta il centro della fede nella
creazione. Sta qui anche la ragione
per cui l’istante dell’umanazione non
può essere fissato dalla paleontologia:
l’umanazione è l’insorgenza dello spirito,
che non si può dissotterrare con
la vanga. La teoria dell’evoluzione
non annulla la fede, e nemmeno la
conferma. Ma la sfida a comprendere
meglio se stessa e ad aiutare in questo
modo l’uomo a capire sé e a diventare
sempre più quello che deve essere:
l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità”.
Un essere meno evoluto di quanto
sostengano i sacerdoti del darwinismo,
almeno stando al grande teologo
Karl Barth (la citazione è nel dépliant
di presentazione del convegno Ati)
che osservava disincantato: “L’homo
sapiens è piuttosto mirabilmente stazionario,
purtroppo paragonabile assai
bene, nel suo agire e reagire, a uno
di quei buoi che azionano gli argani
muovendosi in circolo, senza la benché
minima intelligenza”.
Marco Burini
Il Foglio 29 dic. 2009