Come ogni polemica, anche quella
in corso sull’evoluzionismo è
rivelatrice. La virulenza verbale
degli anticreazionisti porta alla luce
l’essenza teofobica del loro pensiero.
Il silenzio dei principali organi di
stampa cattolici rivela a sua volta
l’imbarazzo di chi si illude di trovare
un compromesso tra due realtà
incompatibili: creazione ed
evoluzione. Il teo-evoluzionismo,
ovvero il tentativo di conciliare la
fede cattolica con la teoria
dell’evoluzione caratterizza quella
corrente che Pievani con irrisione,
definisce “darwinismo ecclesiastico”
(cfr. il saggio dallo stesso titolo di
Orlando Franceschelli e Telmo
Pievani, su MicroMega 4/2009, pp.
108-116). I “teo-darwinisti”,
accreditati come “esperti” di gran
parte del mondo cattolico
condividono la teoria
dell’evoluzione, e cercano anzi di
offrirle una ciambella di salvataggio
che però i darwinisti “puri” come
Pievani e Odifreddi,
sprezzantemente rifiutano. La
contraddizione è destinata ad
esplodere.
L’evoluzionismo “ortodosso”,
darwiniano e neo-darwiniano, non è
una corrente scientifica, ma una
lobby filosofica atea e materialista
che, da quando apparve “L’origine
delle specie” di Darwin (1859), non è
ancora riuscita a produrre una sola
prova a suffragio della sua teoria.
Due “salti” della presunta catena
evolutiva risultano in particolare
indimostrabili dalla scienza: il
passaggio dalla materia inerte alla
vita e quello dall’animale all’uomo
pensante. Solo un “miracolo” può
salvare la teoria dell’evoluzione. Ed
è qui che entrano in scena i teoevoluzionisti,
affermando che grazie
ad un diretto intervento divino si
sarebbero accese la prima scintilla
della vita della materia e la seconda
scintilla della coscienza
nell’“ominide”. Ciò che è impossibile
alla scienza sarebbe possibile grazie
all’intervento miracoloso di Dio.
Per avere un’idea delle posizioni
teo-evoluzioniste, basta attingere ai
libri di Francisco J. Ayala, “Il dono
di Darwin alla scienza e alla
religione” (San Paolo, Milano 2009,
pp. 308), con prefazione di Fiorenzo
Facchini e, dello stesso Facchini,
“Le sfide dell’evoluzione. In armonia
tra scienza e fede” (Jaca Book,
Milano 2008, pp. 174). Ayala è un ex
sacerdote, Facchini un monsignorepaleontologo.
Entrambi sono
discepoli del nebuloso gesuita
francese Pierre Teilhard de Chardin
(1881-1955), attraverso la mediazione
di Theodosius Dobzhansky (1900-
1975), un biologo russo-americano, di
cui Ayala fu assistente. Secondo
Facchini, la darwiniana
trasformazione delle specie è una
“verità scientifica”, anche se il
rifiuto evoluzionista della creazione
sembra a lui “un passo decisamente
troppo lungo per essere vero”
(L’Osservatore Romano, 30 settembre
2009). Si tratta dunque di trovare
l’arduo accordo tra fede ed
evoluzione. Come Teilhard, che
citano ad ogni piè sospinto, Facchini
e Ayala, ritengono che l’uomo sia
fatto della stessa “stoffa”
dell’universo e degli altri viventi:
materia in evoluzione. In questo
processo evolutivo, come spiega il
gesuita francese, l’“ominizzazione”
rappresenta il punto di arrivo (la
“freccia”) della evoluzione dei
viventi: l’uomo è l’evoluzione
diventata cosciente di sé stessa,
l’“autocoscienza” della materia. Il
culmine del processo non è tuttavia
l’uomo, ma il “Cristo cosmico”, il
“punto omega”, vertice di
convergenza evolutiva dell’universo
materiale. Teilhard compendia il suo
credo panteista in un celebre “Inno
alla Materia” che capovolge il
“Cantico delle creature” di san
Francesco. Il poverello di Assisi
contemplando le creature materiali
risaliva a Dio creatore dell’universo,
mentre Teilhard divinizza la materia,
rivolgendole queste parole:
“Benedetta sii tu potente Materia,
Evoluzione irresistibile, Realtà sempre
nascente, tu che spezzando ad ogni
momento i nostri schemi ci costringi ad
inseguire, sempre più oltre, la Verità
(…) Tu che ferisci e medichi – tu che
resisti e pieghi – tu che sconvolgi e
costruisci – Linfa delle nostre anime,
Mano di Dio, Carne del Cristo, o
Materia, io ti benedico” (“Inno
dell’Universo”, Queriniana, Brescia
1992, pp. 48-50).
Per salvare la cosmogonia
evoluzionistica, i teo-darwinisti sono
costretti a negare frontalmente
quanto san Paolo proclamò
all’Areopago di Atene: “Dio trasse da
uno solo tutta la stirpe degli uomini”
(Atti 17, 26). Gli evoluzionisti cattolici
negano infatti la rivelazione
scritturale di Adamo ed Eva come
unici progenitori dell’umanità,
accettando il poligenismo
evoluzionista, che postula la
contemporanea apparizione di
uomini in varie parti della terra. La
chiesa però ha sempre e solo
insegnato il monogenismo. Su questo
punto, il Concilio Vaticano II ha
confermato il Concilio di Trento
(sess. 5, can. 2), affermando che da un
solo uomo, Adamo, Dio ha prodotto
l’intero genere umano (“Gaudium et
Spes”, 22; “Lumen Gentium”, 2). La
ragione è evidente, ed è lo stesso
Odifreddi, ex seminarista, a
spiegarla alla luce dei suoi studi di
gioventù: con la negazione della
storicità di Adamo ed Eva, ridotti a
metafora collettiva, cade il peccato
originale, e con questo la necessità
dell’Incarnazione di Cristo,
Redentore dell’umanità. Con Cristo
crolla la chiesa da lui fondata e tutti
i suoi ministri e rappresentanti
(compresi i sacerdoti teoevoluzionisti).
Per questo Teilhard
de Chardin venne colpito il 30 giugno
1962 da un monitum del Sant’Uffizio
(oggi congregazione per la Dottrina
della fede) mai revocato.
Scienza e fede non sono mai in
contrasto, a condizione che
entrambe siano vere. Qui invece una
fede sfigurata cerca di armonizzarsi
con una teoria scientifica falsa. La
stabilità della specie, negata
dall’evoluzionismo, è infatti
un’evidenza sperimentabile ad
occhio nudo ogni giorno, come il
fatto che la terra gira. Nella scala dei
viventi esistono specie diverse, dai
microorganismi cellulari all’uomo,
ma nessuna può definirsi
“imperfetta” o in via di
trasformazione. Pier Carlo Landucci,
un sacerdote-scienziato che sapeva
coniugare scienza e fede, notava
giustamente che l’attuale quadro del
mondo vivente può essere
considerato come un’instantanea del
presunto movimento evolutivo. Se la
teoria dell’evoluzione fosse vera e la
scala delle specie fosse il risultato di
un processo perfettivo della natura,
il mondo dovrebbe abbondare di
specie abbozzate, rudimentali e
incomplete, cioè in ritardo rispetto
alle singole specie complete verso
cui sarebbero avviate (“La verità
sull’evoluzione e l’origine
dell’uomo”, Editrice La Roccia,
Roma 1984). La prova sperimentale
del contrario è sotto i nostri occhi.
Ma il teo-evoluzionismo non è solo
un errore scientifico e filosofico: è
innanzitutto una malattia dello
spirito. Da oltre quarant’anni il
mondo cattolico si illude di
sopravvivere attraverso la via del
dialogo e del compromesso. Eppure
tutta la storia della chiesa è la storia
di una guerra teologica e culturale
combattuta contro gli errori che
l’hanno aggredita, dalle prime eresie
trinitarie e cristologiche fino al
modernismo del Novecento.
Benedetto XVI, nelle udienze del
mercoledì, ha efficacemente evocato
le grandi figure dei Padri e dei
Dottori che nel corso dei secoli
hanno difeso la chiesa dagli attacchi
esterni ed interni. Possibile che oggi
non ci sia un teologo o un uomo di
chiesa disposto a misurarsi con
l’evoluzionismo contemporaneo,
facendo proprie le parole dello
stesso Papa Ratzinger: “Non siamo il
prodotto casuale e senza senso
dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il
frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di
noi è voluto, ciascuno è amato,
ciascuno è necessario” (Benedetto
XVI, Omelia per l’inizio del
pontificato, 24 aprile 2005)?
Roberto de Mattei
vicepresidente del Cnr
Il Foglio 29 dic. 2009