DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

COME SI SCRIVE L’ANIMA. Perché nessuna scoperta di neuroni e nessun sapere meccanico riuscirà a trasformare in parole l’animo di un bimbo


di Pietro Barcellona
Aun convegno promosso da Piero
Bevilacqua sui saperi scientifici e
sui saperi umanistici, mi sono trovato
a confrontarmi con un orientamento,
oramai dominante persino nel senso
comune, secondo il quale la scienza è
in grado di dirci chi siamo e come viviamo.
Sembra oramai pacifico che
ogni nostra manifestazione, ogni nostro
pensiero e persino l’alfabeto siano
il risultato di un gioco tra neuroni
del nostro cervello e input esterni. Sul
domenicale del Sole 24 Ore Maurizio
Ferraris esaltava le scoperte scientifiche
di Stanislas Dehaene che ha scoperto
i neuroni della scrittura e attribuisce
al loro cattivo funzionamento
anche la dislessia di cui sono affetti
molti bambini. E’ difficile parlare con
chi “non ha orecchie per intendere”.
Mi sono limitato, perciò, a illustrare
quattro libri che mi sento di consigliare
a tutti come letture per lo “spirito”
e che evidenziano l’esistenza di saperi
ed eventi per nulla affatto riconducibili
agli assiomi della scienza.
1. Il sapere del bosco
In un bellissimo libro di alcuni anni
fa, intitolato “Monoculture della
mente”, Vandana Shiva descriveva gli
effetti devastanti della trasformazione
agricola di campagne e boschi indiani
derivanti dall’imposizione della
monocultura del mais determinata
dalla divisione internazionale del lavoro
voluta dalle multinazionali alimentari.
I campi coltivati diventano
progressivamente aridi e privi di ogni
capacità di trattenere l’acqua delle
piogge, il bosco si ritira sempre più e
il sottobosco, senza gli umori della
terra bagnata, tende a scomparire.
Anche il clima subisce un mutamento.
Ma quel che è più grave è che i
bambini, abituati ad andare nel bosco
a raccogliere verdure selvatiche e
frutti spontanei, abituati alla differenziazione
e alla molteplicità di ogni
arbusto e di ogni filo d’erba, sono progressivamente
diventati più poveri di
linguaggio, meno capaci di discernimento
e mentalmente più pigri. Alla
monocultura del campo via via viene
corrispondendo una monocultura della
mente. Certo si potrà dire che anche
questo conferma la tendenziale
corrispondenza fra interno ed esterno,
solo che in questo caso l’esterno
non è la natura coi suoi tendenziali
messaggi a influire sulla mente dei
bambini, ma l’organizzazione scientifica
dell’economia e della produzione
voluta dalla potenza del capitalismo.
Il sapere del bosco è un sapere che
matura in una esperienza reale del
mondo esterno, la monocultura della
mente dipende dalla devastazione
del mondo esterno naturale e dalla
circolarità autoreferenziale del rapporto
fra scienza e capitale.
2. Il sapere della malinconia
In un libro recente Massimo Recalcati
ha cercato di rintracciare nella
profondità della psiche di Vincent
Van Gogh la radice e il senso delle
sue immense opere d’arte. Van Gogh
ha avuto la sfortuna di nascere lo
stesso giorno in cui era nato l’anno
precedente un suo fratellino morto alla
nascita, atteso e desiderato dalla
coppia dei genitori e a cui avevano
dato il nome di Vincent. Il secondo
Vincent Van Gogh non è accolto come
un figlio donato dal cielo, ma come un
sostituto, utilizzabile, per i propri desideri,
al posto del primo Vincent già
morto. Nel cuore di Van Gogh si spalanca
l’abisso di non avere un nome
proprio, di essere privo di identità e
non essere amato come ogni figlio di
donna si aspetta uscendo dall’utero,
ma curato e assistito come accade anche
con gli animali domestici. Privo
di identità e di un nome proprio, Van
Gogh sperimenta il vuoto assoluto
della “malinconia” che distrugge lo
stesso amore della vita a cui siamo
chiamati per esistere. Questa malinconia,
più profonda di ogni depressione
o tristezza, spinge Van Gogh a cercare
un modello di riferimento, uno
scopo a cui votare la sua capacità di
produrre opere. Lo trova prima in
una straordinaria imitazione di Cristo
che esprime il suo bisogno di amore e
di assoluto, ma, dopo alterne vicende,
esplode nelle sue mani l’arte della
pittura. Entra in campo quella che
Recalcati chiama la supplenza simbolica.
Van Gogh comincia a cercare nei
suoi quadri la luce assoluta che trasforma
il mondo e gli dà il senso di
una creazione meravigliosa. Il giallo,
come sottolinea ancora Recalcati, diventa
per Van Gogh il colore insopprimibile
e il simbolo assoluto dell’universo
intero. Le stelle e il sole, le luci
e le lanterne si trasformano fino a diventare
lo stesso quadro. Il dipinto
del sole che sovrasta gli ulivi come
corpi contorti e rinsecchiti dà il senso
di questa furiosa ricerca della luce
assoluta. La pittura consentirà a Van
Gogh di trasformare la sua psicosi in
una grande creazione artistica e
quando il suo universo simbolico si
romperà egli cercherà la morte, ma la
sua pittura resterà per gli occhi di tutti
coloro che cercano di guardare direttamente
la luce del Sole.
Recalcati fornisce un’interpretazione
del possibile rapporto fra la grande
melanconia e la creazione dell’opera
d’arte che nessun neuroscienziato
sarebbe in grado di proporre con i
suoi racconti di sinapsi e recettori.
3. Il sapere della memoria
In un libretto, di cui Zvi Kolitz è ormai
ufficialmente l’autore, è riprodotto
il testamento di un ebreo del ghetto
di Varsavia, Yossl Rakover, ritrovato
dentro una bottiglia, dove viene descritta
la ferocia inaudita con la quale
i nazisti sterminarono la comunità
ebraica del ghetto. Lo scempio dei
corpi, lo stupro delle donne e delle
bambine acciuffate per strada mentre
cercano il pane tra i rifiuti, il sadismo
truculento degli aggressori che si divertono
a spappolare corpi con bombe
a mano e colpi di mitraglia inorridiscono
il lettore più di qualsiasi immagine
visiva. Il racconto di Rakover
è terribile. Alla fine del testamento
l’ebreo, che sta per sopprimersi per
non farsi prendere vivo, rivolge a Dio
l’accusa di tradimento e ingiustizia,
ma dopo questa invettiva, la più dura
che abbia mai letto, Rakover afferma
che continuerà ad amare Dio perché
gli ha dato la Legge, che continuerà a
osservare anche se perdesse la sua fiducia.
Dio significa religione, ma la
Legge rappresenta un modello di vita
per il quale si può vivere e morire.
Rakover proclama la sua essenza di
ebreo nel rapporto di appartenenza a
questa grande Legge.
Come chi leggerà il libretto potrà
scoprire, questo testamento è un falso,
volutamente posto in essere da colui
che oggi ne risulta l’autore. Ma questo
testamento è diventato il fondamento
del sionismo, la base di identità dello
stato di Israele, giacché, come commenta
Lévinas, la Legge è più importante
di Dio e su questa invenzione si
basa l’edificazione dello stato di Israele
e l’elezione del popolo. Vorrei tanto
che qualcuno dei grandi scienziati
che hanno ridotto la storia degli uomini
a storia naturale dell’evoluzione
riuscisse a penetrare nei misteri della
memoria come fondamento dell’identità
individuale e collettiva.
4. Il sapere del desiderio
Luisa Muraro esordisce nel suo ultimo
libro con un racconto che è quasi
una metafora dell’esistenza. Giuseppe,
tradito dai fratelli, sta per essere
venduto come schiavo in una
piazza piena di mercanti e di ricchi
commercianti. Appena inizia il bando
tutti offrono sacchi di monete per lo
schiavo più bello che sia mai stato visto.
Dal fondo della piazza arriva correndo
una donna non più giovane che
dichiara ad alta voce di volere per sé
Giuseppe, campione di bellezza e di
forza, e offre in cambio un pacco di
gomitoli di lana che lei stessa ha filato.
La sua richiesta è struggente, ma
ovviamente inaccettabile, i gomitoli
di lana sono ben poca cosa nonostante
rappresentino la sua vita. Giuseppe
viene venduto e la donna anziana si
allontana verso l’esterno della piazza
e molti le chiedono come abbia potuto
pensare di ottenere lo schiavo Giuseppe
in cambio dei suoi poveri gomitoli.
La donna risponde che sapeva
già prima come sarebbe andata, ma
che è egualmente soddisfatta di aver
potuto manifestare pubblicamente il
suo desiderio impossibile.
Si vive, infatti, per i desideri impossibili
che danno senso a una vita e
che se venissero realizzati cadrebbero
nel nulla come un castello di sabbia.
Il desiderio impossibile, per la
corda dell’arco teso che si prepara a
scoccare la freccia, già nella sua tensione
esprime la potenza di chi tende
a raggiungere un bersaglio, anche
quando questo è inattingibile. Il desiderio
impossibile non si lascia distruggere
dal nulla come un volgare
bisogno che viene appagato. Venissero
pure i filosofi della mente e i neuroscienziati
a descriverci la zona del
cervello dove si forma il desiderio impossibile,
essi non riusciranno mai a
dar conto del guadagno d’essere che
l’anziana donna ha ottenuto con la
sua povera offerta.
5. Il sapere dell’amore
Il quinto sapere l’ho appreso da un
racconto diretto. A cena con un mio
amico psicoanalista discutevamo del
problema dell’autismo che colpisce
sempre più frequentemente i bambini.
Sembra che si tratti di un problema
organico che non c’entra niente
con la psiche, ma a un certo punto
della conversazione la moglie del mio
amico, che lavora come maestra d’asilo,
cominciò a raccontare una storia
apparentemente incredibile. Nella
sua classe venne portato un bambino
autistico che non dormiva mai e che
gridava come un ossesso. Tutti erano
disarmati di fronte a questo spettacolo
terrificante di un grido quasi disumano
e di occhi perduti nel nulla. A
un certo punto la maestra si accostò
al bambino e stringendogli la testa fra
le mani lo coprì con il suo corpo. Improvvisamente
l’urlo cessò e il bambino
si addormentò. La scena si ripeté
per diversi giorni. Il bambino cessò di
piangere, cominciò a incrociare lo
sguardo degli altri e a balbettare
qualche parola. Un miracolo? O più
semplicemente la prova che non c’è
linguaggio senza affettività e che non
c’è affetto senza oblatività disinteressata.
Evidentemente nessuna scoperta
dei neuroni della scrittura e nessun
sapere che si affida meccanicamente
alla logopedia riuscirà a trasformare
in parole la disperazione di
un bambino.

Il Foglio 22 dic. 2009