DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Così le comode paure di Al Gore sono diventate le sue scomode verità

Roma. Il prima e il dopo, nella storia
delmessianismo verde globale, è un film
del 2004 di Roland Emmerich, The Day After
Tomorrow, storia di un’improbabile
glaciazione con Dennis Quaid. E’ guardando
quella pellicola che all’ambientalista
Laurie David viene in mente di fare dell’ecologismo
materia di spettacolo. Ne parla
con il regista Davis Guggenheim e ha già
in mente una star: Al Gore, ex vice di Bill
Clinton, la speranza democratica bruciata
dalle poche centinaia di voti in più conquistati
in Florida da George W. Bush. In
quei mesi, Gore gira l’America da un auditorium
all’altro e parla di clima. Ma non
se ne accorge nessuno. Eppure il messaggio
è semplice: fa sempre più caldo, talmente
caldo che i ghiacci si sciolgono, le
acque salgono e presto inonderanno atolli
lontani e città vicine. Pare l’apocalisse,
ma – dice lui – è scienza: è l’uomo, con le
sue attività industriali, l’artefice del Grande
Caldo. Per farne un film, pensano David
e Guggenheim, c’è tutto. Ci sono anche
i soldi: a procurarli ci pensa lo stesso ex vicepresidente.
“Una scomoda verità”, presentato
nel 2006 come documentario (ma
della tournée di Gore), diventa il manife
sma arriva nel giro di pochi mesi: due
Oscar nel marzo 2007 e il Nobel per la pace,
in autunno, allo stesso Gore e all’Ipcc,
l’assemblea politica dell’Onu sul clima. Il
nuovo ecomessia è pronto e ha un pedigree
di prim’ordine. Nella sua biografia ci
sono anche gli otto anni con Clinton, una
famiglia di tradizione senatoriale (con il
padre, Albert senior, e – dice la leggenda,
peraltro non confermata – con un Thomas
Gore, nonno materno di Gore Vidal), le primarie
finite male dell’88 e quelle mai cominciate,
per stare vicino al figlio convalescente,
del ’92.
Da quando è un guru, Gore non risparmia
strali ai miscredenti: gli ecoscettici,
chi non crede alle teorie catastrofiste da
lui propalate, li chiama “negazionisti”, come
quelli che negano l’Olocausto. E aggiunge:
“Chi non crede allo sbarco sulla
Luna non ha dietro i soldi degli inquinatori”,
gli ecoscettici sì. Insomma, prezzolati
e nazisti. Eppure, mentre a Copenaghen
va in scena il summit che sulla carta
avrebbe dovuto far impallidire quello di
Kyoto del ’97, a doversi difendere da accuse
e sospetti è proprio l’ex numero due
della Casa Bianca. Adesso il guru dice che
“i negazionisti del cambiamento climatico
stanno facendo credere che queste mail
abbiano un significato maggiore di quello
che hanno”. Però le e-mail ci sono, sono
quelle che hanno dato il via al Climategate,
lo scandalo dei dati climatici truccati
per procurare l’allarme mondiale. E-mail
che Gore aveva letto, grazie alla corrispondenza
con il capo dell’Ipcc, Rajendra
Pachauri. Sono centinaia, ne ha pubblicato
stralci il New York Times: in una il professor
Michael Mann della Pennsylvania
State University dice di aver usato “un
trucco per nascondere il declino” delle
temperature dal 1981 a oggi. In un’altra
Kevin Trenberth, del National Center for
Atmospheric Research di Boulder, in Colorado,
ammette: “Non possiamo spiegarci
la mancanza di riscaldamento” terrestre.
Sono alcuni tra gli scienziati citati da
Gore in film, libri, conferenze zeppi di
cripaura,
catastrofi imminenti, clima che
cambia e caldo che uccide e che ora si scopre
– ma l’aveva già detto, non ascoltata,
l’Alta Corte di Londra due anni fa – sono
basati su dati distorti, falsificati. Sono veri,
invece, i premi, il messianismo e soprattutto
i soldi incassati in questi anni. Se
nel 2000 la famiglia Gore aveva un patrimonio
di due milioni di dollari, adesso la
stessa cifra andrebbe moltiplicata (almeno)
per cinquanta. Ci sono gli incassi di
“Una scomoda verità”, le conferenze (175
mila dollari ogni volta e poi, per una strana
“sindrome”, dove ce n’è una fa sempre
freddo o cade la neve) e gli investimenti
nei business verdi – lautamente foraggiati
dall’Amministrazione Obama grazie all’azione
della lobby goriana Alliance for Climate
Protection – attraverso il fondo Kleiner
Perkins Caufield & Byers. Adesso che
non sa più cosa dire, l’ex vicepresidente
annulla una conferenza stampa a pagamento
(tremila biglietti, in prima fila da
1.209 dollari) in quel di Copenaghen. Dall’Academy
Awards, ora, qualcuno già chiede
che il leader ambientalista riconsegni
l’Oscar. E qualcun altro, a Washington, potrebbe
far lo stesso per i sussidi elargiti
grazie alle comode paure spacciate al
mondo da un guru d’essai.
Alan Patarga

Il Foglio 11 dic. 2009