DI R OBERTO B ERETTA
M a che Natale d’Egitto! Tra la Grotta e le Piramidi, il Giordano e il Nilo sembrerebbe esserci gran distanza – reale e figurata (quest’ultima è poi quella che corre tra il cristianesimo e tante culture esoteriche oggi di moda). E invece un fil rouge tra i due estremi esiste, e fin dalle origini del monoteismo fondato sul Vangelo. Basta seguire i passi della Sacra Famiglia sulla pista carovaniera che correva fra Betlemme e Porto Said, forse fino allo stesso Cairo: la rotta seguita durante la fuga in Egitto che – curiosamente – non solo ripercorse in modo assai simbolico la strada compiuta da Mosé e dal suo popolo dalla schiavitù del Faraone alla libertà della Terra promessa; ma segnò anche il contatto misterioso tra due delle culture più significative eppure più distanti dell’antichità, quella ebraica e quella egizia; ambedue peraltro ormai contaminate dal contatto con l’«ecumene» politico-culturale della romanità.
Questa via seguono ora Massimo Centini (antropologo) e Gian Luca Franchino (egittologo) in Gesù e l’Egitto (Ananke, pp. 176, euro 17,50), originale saggio su uno dei periodi più trascurati nella studiatissima vita del Nazareno: gli anni trascorsi all’ombra delle Piramidi, appunto. «Percorsi insoliti tra egittologia e fede » per tentare di spiegare meglio dieci scarni versetti di un solo Vangelo, quello di Matteo: nei quali si narra che Giuseppe, avvisato del pericolo che correva il figlioletto, «prese con sé il bambino e sua madre, nella notte, e partì per l’Egitto. Lì rimase fino alla morte di Erode».
Poche parole, ma che potrebbero coprire anche un periodo piuttosto lungo – e dunque quanto mai significativo per la crescita e la formazione umana e culturale del futuro Salvatore: se infatti si pone la nascita di Cristo intorno al 57 a.C. e poiché sappiamo che Erode il Grande morì nel 4 a.C., significa che il figlio del falegname di Nazaret rimase in riva al Nilo almeno un paio d’anni (anche ammettendo che la fuga in Egitto sia avvenuta quando Gesù era un poco più cresciuto, come sembra accreditare la notazione che il malvagio re giudeo mandò «ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e dintorni dai due anni in giù»). Ma quel viaggio è avvenuto davvero? Infatti – Centini e Franchino registrano l’ipotesi – non sono pochi gli studiosi propensi ad attribuirgli soltanto un significato simbolico, del resto già annunciato dallo stesso Matteo: «Questo avvenne affinché si adempisse quanto fu annunciato per mezzo del profeta che dice: 'Dall’Egitto ho richiamato il mio figlio'». Dunque il passaggio di Gesù all’estero – che in effetti qualche problema storico lo crea, non foss’altro che per i molti chilometri da percorrere a piedi e con un bambino piccolo al seguito – sarebbe solo un espediente per segnalare la continuità «teologica» tra Mosé (primo liberatore di Israele) e Gesù, messia di un secondo e più vasto popolo di Dio.
Tuttavia non è affatto impossibile che il viaggio si sia verificato sul serio. E allora è giusto chiedersi – come fanno gli autori del libro – se e quale influsso possa avere avuto nel piccolo Gesù e nella sua famiglia la visione delle «meraviglie architettoniche lasciate dall’antico popolo egizio», quali siano state le loro «reazioni al cospetto di una civiltà e una religione così differenti dalle loro».
P eraltro è probabile che i fuggiaschi siano stati accolti nella comunità ebraica locale, che dobbiamo immaginare vasta e radicata e che sicuramente seppe ammortizzare almeno parte degli effetti negativi dell’esilio forzato. Inoltre – notano Centini e Franchino – « l’Egitto all’epoca di Cristo non è più quello fiorente e potente delle grandi dinastie»: da ormai tre secoli è sottoposto ai greci e da trent’anni è passato ai romani. Dunque «molti templi antichi sono già in rovina, la Sfinge di Giza è parzialmente insabbiata »: ammesso che Gesù sia sceso fin lì. Sull’itinerario percorso dalla Sacra Famiglia, infatti, gli apocrifi (in particolare lo Pseudo-Matteo e i vangeli arabo e armeno dell’infanzia) e la tradizione hanno le idee chiare; la storia – purtroppo – non altrettanto. Probabile che da Betlemme i profughi abbiano proseguito per Hebron e Bersabea, piegando poi verso Gaza e il mare dove correva la carovaniera costiera, la via più frequentata per l’Egitto. Ma anche la più sorvegliata dalle pattuglie militari, di cui forse Maria e Giuseppe dovevano avere qualche timore... È possibile dunque che da Betlemme i tre fuggiaschi abbiano preferito varcare il Giordano per proseguire lungo la pista che attraversa il deserto più a sud, fino a Wadi el’Arish. Ambedue le strade erano comunque disagevoli e temute dai viaggiatori dell’epoca; figuriamoci dunque per una famigliola sprovveduta come quella galilea. Quanto alle mete, la tradizione della Chiesa copta indica a tutt’oggi numerose località che vantano di aver ospitato il piccolo Gesù; prima tra tutte l’attuale Tell el Farama, sul Mediterraneo dirimpetto a Porto Said. Di lì si ipotizza una discesa della Sacra Famiglia lungo il Nilo verso Bubastis (oggi Tell Basta), Heliopolis (ora periferia del Cairo) e poi più a sud fino a Ossirinco (El Bahnasa) e Durunqa, tuttora meta di importanti pellegrinaggi mariani; di lì sarebbe finalmente cominciata la via del ritorno. Ma molte sono anche altrove le chiese e le presunte reliquie del santo passaggio, corroborato da racconti apocrifi di prodigi, visioni e in generale episodi prefiguranti la successiva storia del Salvatore (per esempio l’incontro in un’oasi del deserto con Tito e Disma, i due ladroni poi crocifissi al fianco di Gesù...). Tuttavia, oltre a questa versione popolare, la fuga in Egitto ha alimentato nei secoli anche un altro filone esoterico ben più «alto»: quello gnostico e misteriosofico, teso ad accreditare – proprio attraverso il precoce contatto del fondatore del cristianesimo con i «maghi» e i «sapienti » egizi – un’eredità iniziatica (e non solo, visto che l’Egitto è considerato da alcuni come la vera patria del monoteismo) nel messaggio cristiano. Una tesi antica, già presente nelle argomentazioni dell’eretico Celso confutato da Origene, passata attraverso l’ermetismo umanistico e giunta fino ai nostri giorni grazie al filone pseudo-storico su «Gesù mago».
Insomma, il piccolo Nazareno avrebbe assimilato proprio nella terra dei faraoni alcune parti della sua dottrina. E qui si capisce che la fuga in Egitto è arrivata davvero molto lontano.
L’itinerario seguito potrebbe essere quello della carovaniera sulla costa del Mediterraneo Di lì i profughi si sarebbero spinti verso sud lungo il Nilo, oltre il Cairo: un viaggio durato forse 3 anni.
Avvenire 29 dic. 2009