Il giornalista e blogger americano è scettico sulla possibilità di limitare
la libertà di espressione sul web: "C'è sempre una differenza tra le parole e la violenza"
di MASSIMO RUSSO
Dan Gillmor
"Sono sempre molto scettico quanto sento di un Governo che cerca di limitare in qualsiasi modo la libertà di espressione. Vivo in un paese in cui persone sono morte per permettere ad altri di esprimere pareri opposti al loro".
Misura le parole con attenzione Dan Gillmor nel commentare quanto sta accadendo in Italia. Gillmor, giornalista americano, blogger e scrittore, è autore di "We the media", il libro che cinque anni fa ha anticipato la rivoluzione del giornalismo partecipativo, raccontando le potenzialità offerte dal web ai cittadini per esprimersi in rete attraverso parole, fotografie, video. Oggi è direttore del Center for citizen media, progetto congiunto delle università di Berkeley e di Harvard. A lui Repubblica ha chiesto un parere sulle misure che il governo sta preparando per consentire l'oscuramento dei siti che diffondono messaggi di odio e istigazione a delinquere, in seguito all'aggressione al presidente del consiglio Silvio Berlusconi a Milano, domenica scorsa.
Chiusure e limitazioni preventive sono concetti più simili ai filtri in vigore in paesi illiberali che al quadro normativo delle democrazie occidentali.
"Non voglio fare paragoni tra Italia e paesi come Cuba. Non sono un avvocato e conosco troppo poco la realtà italiana. Ovviamente incidenti come quello avvenuto a Berlusconi sono da condannare in tutti i modi. Ma la libertà d'espressione va tutelata".
C'è chi sostiene che si tratta di istigazione a delinquere.
"Credo ci sia una linea precisa che distingue le parole, anche di profondo odio, dalla reale incitazione alla violenza. E, caso per caso, è possibile dire quando questa linea viene oltrepassata. Credo che ognuno, usando il buon senso, in fondo sia in grado di capirlo".
L'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha affermato in parlamento che negli Usa, malgrado gli attacchi durissimi al presidente Barack Obama, nessuno ha mai pensato di censurare la rete.
"Da quel che ho letto su quanto sta accadendo mi pare che la situazione sia ancora poco chiara. Ma per la nostra tradizione la censura alla libertà di espressione, filtri, oscuramento di siti, sono impensabili".
In rete c'è più aggressività?
"E' chiaro che l'anonimato consente alle persone di esprimersi in modo più aggressivo. Sono più facili abusi".
Ma allora bisognerebbe sempre identificare in modo preventivo chi si esprime in rete?
Penso che quando possibile vada chiesto alle persone di identificarsi. Credo inoltre che gli argomenti di chi non si dichiara con nome e cognome e incita all'odio non dovrebbero avere alcun valore, nessuna autorevolezza. Chiunque dovrebbe rispondere con la propria faccia di quel che afferma. Ma ritengo che la possibilità di esprimersi in modo anonimo vada tutelata.
Perché?
"Ci sono situazioni in cui la paura e il pericolo sono limitazioni reali, che impediscono alle persone di dire la verità. Usare il proprio nome in questi casi non può essere un obbligo".
Misura le parole con attenzione Dan Gillmor nel commentare quanto sta accadendo in Italia. Gillmor, giornalista americano, blogger e scrittore, è autore di "We the media", il libro che cinque anni fa ha anticipato la rivoluzione del giornalismo partecipativo, raccontando le potenzialità offerte dal web ai cittadini per esprimersi in rete attraverso parole, fotografie, video. Oggi è direttore del Center for citizen media, progetto congiunto delle università di Berkeley e di Harvard. A lui Repubblica ha chiesto un parere sulle misure che il governo sta preparando per consentire l'oscuramento dei siti che diffondono messaggi di odio e istigazione a delinquere, in seguito all'aggressione al presidente del consiglio Silvio Berlusconi a Milano, domenica scorsa.
Chiusure e limitazioni preventive sono concetti più simili ai filtri in vigore in paesi illiberali che al quadro normativo delle democrazie occidentali.
"Non voglio fare paragoni tra Italia e paesi come Cuba. Non sono un avvocato e conosco troppo poco la realtà italiana. Ovviamente incidenti come quello avvenuto a Berlusconi sono da condannare in tutti i modi. Ma la libertà d'espressione va tutelata".
C'è chi sostiene che si tratta di istigazione a delinquere.
"Credo ci sia una linea precisa che distingue le parole, anche di profondo odio, dalla reale incitazione alla violenza. E, caso per caso, è possibile dire quando questa linea viene oltrepassata. Credo che ognuno, usando il buon senso, in fondo sia in grado di capirlo".
L'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha affermato in parlamento che negli Usa, malgrado gli attacchi durissimi al presidente Barack Obama, nessuno ha mai pensato di censurare la rete.
"Da quel che ho letto su quanto sta accadendo mi pare che la situazione sia ancora poco chiara. Ma per la nostra tradizione la censura alla libertà di espressione, filtri, oscuramento di siti, sono impensabili".
In rete c'è più aggressività?
"E' chiaro che l'anonimato consente alle persone di esprimersi in modo più aggressivo. Sono più facili abusi".
Ma allora bisognerebbe sempre identificare in modo preventivo chi si esprime in rete?
Penso che quando possibile vada chiesto alle persone di identificarsi. Credo inoltre che gli argomenti di chi non si dichiara con nome e cognome e incita all'odio non dovrebbero avere alcun valore, nessuna autorevolezza. Chiunque dovrebbe rispondere con la propria faccia di quel che afferma. Ma ritengo che la possibilità di esprimersi in modo anonimo vada tutelata.
Perché?
"Ci sono situazioni in cui la paura e il pericolo sono limitazioni reali, che impediscono alle persone di dire la verità. Usare il proprio nome in questi casi non può essere un obbligo".
© Repubblica (16 dicembre 2009)