DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

I miei libri dal Karman alla Ru486. Aborto ieri e oggi, di Eugenia Roccella

Tratto da Il Riformista dell'8 dicembre 2009

Caro direttore, una copertina rossa, decisamente anni Settanta, con la foto di due mani unite nel simbolo femminista. È quella di un libro pubblicato 34 anni fa, con la sigla del Movimento di liberazione della donna, in cui allora militavo.

Il volume era curato da me, la prefazione invece era di Adele Faccio, che aveva costituito alla luce del sole un’organizzazione per praticare gli aborti, e per quell’azione di disobbedienza civile era stata incarcerata.

Fu proprio il suo arresto a dare la spinta definitiva alla raccolta di firme per il referendum contro le norme sulla “difesa della stirpe” contenute nel codice Rocco; e fu la volontà di evitare la consultazione popolare che portò il parlamento a votare la legge attuale sull’interruzione di gravidanza, la famosa 194.

Oggi l’immagine di quella copertina circola sul web affiancata a un’altra: un libro contro la pillola abortiva Ru486, intitolato La favola dell’aborto facile, scritto da me e da Assuntina Morresi nel 2006.

Il gioco pubblico su chi nel corso della vita ha cambiato idea, le polemiche e le rivelazioni sui cosiddetti voltagabbana non mi hanno mai interessata. Tranne rari casi, in cui il riposizionamento ha valore storico (penso al considerevole numero di intellettuali di fede fascista che nel dopoguerra si trasferì nel Pci, per esempio) i ripensamenti sono iscritti nella normalità del cambiamento esistenziale e storico, oppure nell’ambito delle oscillazioni contingenti di chi campa di politica. A volte le oscillazioni sono troppo brusche o troppo frequenti, a volte i ripensamenti appaiono poco motivati e spiegati, mentre nella maggior parte dei casi ci si limita a coprire il proprio passato, soprattutto per chi è stato giovane negli anni Settanta, con una coltre di silenzio. Personalmente, credo di aver raccontato a sufficienza il mio itinerario, le idee che ho cambiato e quelle che ho mantenuto, da dove provengo e perché oggi non sono la stessa di ieri.

Se scrivo dei due libri, dunque, non è per giustificare un passato radicale e femminista che fa parte in modo profondo della mia storia anche familiare, ma perché mi stupisce come chi sottolinea la contraddizione tra il prima e il dopo non si renda conto che si tratta di un autogol. Il libro curato nel ’75 infatti, era, oltre che una provocazione politica e un gesto di disobbedienza civile, uno dei primi tentativi di far conoscere un nuovo metodo abortivo, il Karman. In quegli anni, e anche dopo, quando ormai l’aborto era legalizzato, il modo più diffuso per interrompere la gravidanza era il raschiamento. Una tecnica dolorosa, che imponeva l’anestesia generale, e comportava un tasso non indifferente di rischio. La nuova tecnica per aspirazione invece non richiedeva l’uso di strumenti taglienti, ed era molto meno traumatica e pericolosa; allora, però, nessun politico fece sua la battaglia per far soffrire meno le donne, a favore di un metodo che era indiscutibilmente più semplice e sicuro. Non ci furono, come ci sono state per la Ru486, dichiarazioni di fuoco, delibere di consigli regionali e comunali, sollecitazioni nei confronti dell’azienda produttrice, protocolli regionali per un farmaco che, non essendo ancora immesso in commercio, poteva essere usato solo trovando spazi tra le pieghe della legge. In realtà, di come abortiscono le donne, e anche della gravidanza, del parto, dell’allattamento, si discute pochissimo, e sempre tra donne. Per questo tanto ardore sulla pillola abortiva è apparso stupefacente: che un consiglio regionale voti a favore di un metodo abortivo e di un farmaco particolare, soprattutto quando l’azienda che produce il farmaco in questione non ha nemmeno chiesto l’autorizzazione a introdurlo in Italia, vuol dire che è in corso una battaglia tutta politica.

Il giudizio etico sull’aborto prescinde dal metodo con cui viene praticato, e anche dall’esistenza o meno di una legge che lo consente. È un dilemma morale grave, che riguarda la coscienza di tutte le persone coinvolte: ma anche chi è contrario non desidera certo che la donna soffra, rischiando la propria salute o magari la vita. I forti dubbi sulla pillola Ru486 non nascono per la “facilità” del metodo, che facile non è, anzi è più lungo, doloroso, incerto, pesante sul piano psicologico. Sono invece dubbi sulla sua sicurezza (ricordo i due pareri del Consiglio superiore di sanità, che parlano di uguale livello di rischio solo se l’intera procedura abortiva viene completata in ospedale), e soprattutto sulla sua compatibilità con la legge 194.

Questo è il punto fondamentale: da una parte c’è una legge che non solo impone che l’interruzione di gravidanza avvenga in una struttura pubblica, ma afferma che la maternità esige una tutela sociale, non è solo un affare privato. Dall’altra c’è una tecnica che conduce tendenzialmente a privatizzare l’aborto e a effettuarlo fuori dall’ospedale: forse a casa, forse per strada o chissà dove, ma comunque senza un medico vicino che sappia valutare le eventuali complicanze, e rendendo difficile l’attività di prevenzione e farmacovigilanza. In Francia, dove la vecchia legge Veil era molto simile alla nostra (anche lì l’aborto era limitato alle strutture pubbliche, e quindi senza fini di lucro) l’introduzione della Ru486 ha creato una situazione di fatto che ha portato al cambiamento della legge. È questo che si vuole ottenere? L’Italia è l’unico paese in Europa in cui l’aborto continua da anni a diminuire, è il paese in cui è più basso il numero di minorenni che vi ricorrono, mentre ci sono ancora larghi margini per le politiche di prevenzione. Non c’è, da parte del governo, un atteggiamento ideologico nei confronti della pillola abortiva, piuttosto il massimo di pragmatismo: vogliamo mantenere tutte le garanzie che oggi sono fornite alle donne, e insieme quella felice differenza nell’approccio culturale e sanitario che permette la riduzione del tasso di abortività mentre altrove (per esempio in Svezia, in Inghilterra, in Francia) cresce o rimane inesorabilmente stabile.