DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Internet, una riforma reale per il mondo virtuale. «Ha bisogno delle stesse regole e restrizioni della vita reale»

Come sono cambiati i nostri concetti di sé, di comunità, di umanità dopo che realtà virtuale, intelligenza artificiale e social network si sono appropriati di parte delle nostre vite? Di questi giorni è il rigurgito sul web di forme di violenza più o meno velata da satira di pessimo gusto in seguito all’aggressione al presidente del Consiglio dei ministri italiano. Ma gruppi e singoli imperversano da tempo sulla rete con incitazioni all’odio, così come in costante crescita sono la pornografia online e i sanguinolenti videogiochi “gore”. Sherry Turkle, newyorkese, classe 1948, creatrice nel 2001 di uno dei più famosi laboratori di ricerca al mondo, il Mit Initiative on Technology and Self, è docente di Studi sociali di Scienza e tecnologia al Mit di Boston, dove ha iniziato a porsi queste domande sul “secondo sé” imposto dalla diffusione del computer ormai un quarto di secolo fa. In Italia è appena stato tradotto il suo penultimo saggio, La vita nascosta degli oggetti tecnologici (Ledizioni), nel quale, tra gli altri, è affrontato anche il tema della violenza online e i suoi effetti soprattutto sugli adolescenti.
Professoressa Turkle, nelle sue interviste lei sembra opporsi alla stigmatizzazione del web operata oggi da molti psicologi. La rete porta anche buoni frutti?
Alcuni utilizzano internet per sperimentare la propria identità. È una specie di workshop in cui si cerca di usare vari aspetti del sé, in uno spirito di riflessione sull’io. Altri, però, ne rimangono ossessionati e cercano nel virtuale un rifugio, che si tratti di Facebook e degli sms, ma non sono in grado di razionalizzare ciò che apprendono online e di usarlo nella vita reale. Così vedono la rete come un’illusione: si sentono in compagnia senza bisogno di vera intimità. La vita in uno schermo ha un senso soltanto se viene usata per migliorare quella reale.
È impossibile trascurare certe forme negative di aggregazione online. La sera stessa dell’aggressione a Silvio Berlusconi, ad esempio, su Facebook sono comparsi gruppi che plaudivano all’atto di violenza. In uno dei suoi studi più interessanti lei chiede proprio di riconsiderare le conquiste della psicologia e della psicoanalisi sui rapporti umani di odio e amore (compresi atti gravi di violenza, come lo stupro) alla luce delle nuove tecnologie. Come si può prevenire il danno psicologico collaterale alla diffusione di queste ultime e garantire al tempo stesso una “democrazia virtuale”?
Tra l’identità reale e quella virtuale si verifica a volte un vero e proprio scisma. In un mio saggio ho raccolto la dichiarazione di una donna che affermava di sentirsi “diversa” in rete, meno inibita e più “se stessa”, pur capendo che si trattava di una contraddizione: si sentiva solo più simile a come avrebbe voluto essere. Per prevenire, dobbiamo riappropriarci del nostro senso del reale, chiederci che cosa è davvero vivo, che cosa non lo è e qual è la relazione più corretta da avere con quella che in fin dei conti è una macchina. Non sappiamo più che cosa fare per eliminare la violenza dalle scuole, per tenere insieme le famiglie: è troppo facile incolpare la tecnologia per tutti questi mali. Non voglio che il mio bambino di quattro anni passi il tempo davanti alle immagini porno trasmesse dallo schermo di un computer? Devo stargli più accanto. Non basta delegare la “polizia del cyberspazio”. In realtà, la separazione tra reale e virtuale oggi è solo presunta. Le aree in cui in cui le due sfere si incrociano diventano ogni giorno più numerose. Dobbiamo imparare a trattare un discorso virtuale come un vero discorso, mentre in passato ci siamo troppo abituati a trattarlo come un discorso di fantasia, non proprio soggetto alle leggi del mondo reale. Quindi tutte le leggi che regolano la vita reale vanno applicate alla virtualità, così come tutte le restrizioni etiche e verbali.
Tuttavia lei ha affermato anche che la rete può aiutarci a comprendere la nostra identità. Come avverrebbe questo processo di scoperta del sé online?
È necessario imparare a usare il web in modo costruttivo. Quando la rete ci dà una gratificazione, subito dobbiamo chiederci come fare per ritrovare quel meccanismo nella vita reale. Usare la tecnologia per capire cosa ci manca umanamente è l’unico modo per trarne il meglio. Le comunità e gli “attivisti” online, che discutono di crisi sociali, ambiente, educazione e salute sono molto interessanti. Ma chissà perché appena spengono il computer svaniscono. Mai una volta che usino la conoscenza acquisita per il miglioramento delle comunità reali.
Anche a proposito dell’“equilibrio tecnologico” degli adolescenti ci sarebbe qualcosa da dire.
Ebbi occasione di scrivere che gli adolescenti avrebbero bisogno di una moratoria. Un periodo di libertà che permetta loro di sperimentare la propria identità. E la rete poteva essere il luogo di questa moratoria. Ma oggi tutto questo è compromesso dal fatto che i ragazzi sono troppo consapevoli che online lasciano “un’ombra elettronica”, una traccia di sé che viene sfruttata dagli adulti. Questo vale anche per il nostro rapporto con la morte. Stiamo creando archivi digitali da cui non spariremo mai, ma non è questa la “vita dopo la morte”.
La rete ci “ruba” anche qualcosa che non ci verrà mai reso?
La gente è realmente coinvolta quando è online, perciò non ha senso dire che non si tratta di vera vita. Ma certamente il nostro corpo è tagliato fuori. In quel mondo i nostri sensi non possono vivere, non possiamo assaporare nulla. E il pianeta ha troppo bisogno di noi per abbandonarlo a favori di un universo parallelo. La nostra politica ha troppo bisogno di noi per trascurarla e dedicarci alla cittadinanza online.
Uno dei punti più controversi dei suoi studi è quello sui “cyberamici”.
Si sta cercando di sostituire i veri amici e il personale di cura con compagni “robotici”, come supporto emozionale per malati e disabili. Sono seduttivi, perché chiedono di essere “allevati”. Noi amiamo chi alleviamo e alleviamo chi amiamo. Ma dobbiamo stare molto attenti. Gli esseri umani sono vulnerabili. Queste creature tecnologiche non sanno nulla e non gli importa nulla di noi. Affezionarsi a loro significa creare una relazione illusoria. Non penso siano la soluzione giusta per un parente anziano, malato o con problemi psicologici.
Lei quale “secondo sé” ha scoperto grazie alla realtà virtuale?
L’emozione più grande è quella suscitata dalla sovrapposizione delle due esperienze. Capita ad esempio quando devo tenere una conferenza importante, che mi rende nervosa, e ricevo da mia figlia un sms che mi augura buona fortuna. O quando sono in ospedale a trovare un amico malato e leggiamo insieme l’e-mail di un terzo amico che vorrebbe essere lì con noi.

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