Tratto da Avvenire del 19 dicembre 2009
Dobbiamo cominciare ad annoverarla tra le «nuove» tradizioni natalizie?
Si avvicina il 25 dicembre e puntuale arriva la sensazionale scoperta archeologica che aggiunge un po’ di suspense alla devozione cristiana. Quest’anno – con precisione cronometrica: il 2010 sarà l’anno della sua Ostensione – tocca alla Sindone.
In questi giorni si parla molto di una tomba del I secolo d. C. scoperta a Gerusalemme. E di uno studio di alcuni esperti di bio-archeologia che, in effetti, ha svelato un risultato interessante: dall’esame del dna di certi resti si è trovato che l’uomo ivi sepolto era affetto dalla lebbra.
Istantanea «interessante» se si pensa quanto tale malattia sia citata nelle Scritture. Il punto, però, è che la tomba (scoperta già nel 2000) sta facendo notizia per un altro aspetto. Si è anche constatato che tale sudario è di un tipo di tessuto diverso da quello della Sindone. E questo è sembrato bastare per stabilire che la Sindone è un falso.
L’aspetto più interessante è che nella relazione scientifica di tale rinvenimento – pubblicata dalla «Public library of Science» – del paragone con la Sindone non c’è traccia. A partire lancia in resta contro il telo custodito a Torino è stato solo Shimon Gibson, l’archeologo inglese che ha individuato la tomba. Lo stesso professore-star che in passato aveva già sostenuto di aver identificato la grotta di Giovanni il Battista e un calice che, secondo lui, sarebbe il Sacro Graal. E che – guarda caso – ha appena pubblicato un libro intitolato «Gli ultimi giorni di Gesù», in cui insiste contro l’autenticità della Sindone. Ora: è fuori discussione che il dibattito scientifico intorno al lenzuolo di Torino debba fare i conti con tutte le scoperte. Ma in questo caso siamo realmente di fronte a qualcosa di nuovo? Nella letteratura sulla Sindone ci sono pagine di dibattiti sul suo tessuto; il fatto che la sua trama non sia comune è la scoperta dell’acqua calda. Basta, però, un buon ufficio stampa e la «prova definitiva» sulla falsità del lino di Torino va in prima pagina sui giornali di tutto il mondo. Senza una parola su quegli studi che durano da decenni e vanno in direzione opposta. Una volta l’archeologia biblica era lavoro paziente di scavo, volto a capire il contesto delle Scritture. Oggi sta diventando sempre di più sensazionalismo, ricerca a tutti i costi del «colpo di scena» per ribaltare ciò che abbiamo sempre saputo. In questi giorni ne abbiamo avuto un’altra prova, sempre in Terra Santa: si è tornato a parlare della «chiesa» di Meghiddo, che secondo alcuni archeologi risalirebbe all’inizio del III secolo e quindi costituirebbe «la più antica chiesa del mondo». Le autorità locali hanno raggiunto con il governo israeliano un accordo: il carcere che vi si trova sopra verrà trasferito e qui sarà aperto un parco archeologico, che potrà diventare una meta turistica di grande richiamo. Ottima notizia, ovviamente. Però bisognerebbe anche ricordare che padre Michele Piccirillo, il grande archeologo francescano scomparso l’anno scorso, aveva visionato quei resti e se n’era fatta un’opinione un po’ diversa.
La «chiesa più antica del mondo» non sarebbe tale (perchè risalente al V-VI secolo) e nemmeno una chiesa, ma solo il refettorio di un monastero bizantino. Tutto questo Piccirillo lo aveva scritto con argomentazioni precise. Ma ormai la «chiesa più antica di Armagheddon» era diventato un piatto forte dell’archeologiaspettacolo. Una scoperta troppo bella per non essere vera. Come il sudario «nuovo» che dovrebbe mettere fine alle discussioni sulla Sindone.