DI C ARLO O SSOLA I n luogo di abolire il Crocifisso, occorrerebbe moltiplicare i luoghi di raccoglimento. Conosco almeno due luoghi – ma altri esistono certamente – nei quali questo convergere al centro di noi stessi nel raccoglimento e nella meditazione ha spazio proprio. Uno, il più emblematico, è nel palazzo delle Nazioni Unite a New York; lo volle il segretario generale Dag Hammarskjöld (uomo di alta spiritualità: le sue Tracce di cammino edite in Italia da Qiqajon, tradotte in tutte le lingue, sono una summa della sapienza del cuore) e lo inaugurò con queste parole: «Ciascuno di noi si porta dentro un nocciolo di quiete, circondato di silenzio. Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione al servizio della pace, deve avere una sala dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L’obiettivo è stato creare in questa saletta un luogo le cui porte possano essere aperte ai terreni infiniti del pensiero e della preghiera. Qui si incontreranno persone di fedi diverse, e per questo motivo non si potrà usare nessuno dei simboli cui siamo abituati nella nostra meditazione. Esistono però cose semplici, che parlano a tutti noi nella stessa lingua. Abbiamo cercato questo tipo di cose, e crediamo di averle trovate nel raggio di luce che colpisce la superficie scintillante della roccia massiccia.[…] La luce del cielo dà la vita alla terra su cui tutti ci troviamo: un simbolo, per molti di noi, di come la luce dello spirito dà vita alla materia. Ma la roccia al centro della sala ci dice anche altro. Possiamo vederla come un altare, vuoto non perché non vi sia un Dio, non perchè si tratti di un altare ad un dio sconosciuto, ma perché è dedicata al Dio che l’uomo adora dandogli molti diversi nomi e molte diverse forme.[…] Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. La sala è dedicata a coloro che si recano qui per riempire il vuoto, con ciò che riescono a trovare nel loro centro interiore di quiete». L’altro, di simile natura, è la Sala de Reflexió, 1996, di Antoni Tàpies nel cuore della Universitat Pompeu Fabra, Campus de la Ciutadella, Barcelona. Sarebbe necessario che in ogni «luogo plurale » (aeroporti, ospedali, tribunali, eccetera, come già in parte avviene) ci fossero queste sale di raccoglimento – proprio per evitare che la cancellazione di ogni simbolo porti appunto ai «non-luoghi » nei quali viviamo, denunciati da Marc Augé. Vigerebbe, tra l’altro, per l’Italia, la Legge 29 Luglio 1949, n. 717 [e DM applicativo 23 marzo 2006]: «Norme per l’arte negli edifici pubblici»; essa prevede all’art. 1: «Le Amministrazioni dello Stato [...], nonché le Regioni, le Province, i Comuni e tutti gli altri Enti pubblici, che provvedano all’esecuzione di nuove costruzioni di edifici, pubblici ed alla ricostruzione di edifici pubblici, distrutti per cause di guerra, devono destinare all’abbellimento di essi mediante opere d’arte una quota non inferiore al 2%, della spesa totale prevista nel progetto». La Legge è disattesa. Sarebbe semplice applicarla ed aprire, per ogni nuovo edificio pubblico – scuole comprese – un concorso tra artisti perché progettino un «Luogo dell’anima»; ognuno vi potrà portare la propria speranza, la propria angoscia, la propria domanda di senso. Il bello e la dignità dell’umano unirebbero la loro crescita; altrimenti vale l’adagio antico, riconoscibile nella sentenza di Strasburgo: ubi desertum faciunt pacem appellant. Cardia: ma la gente cerca i simboli del proprio credere DI C ARLO C ARDIA L a proposta di Carlo Ossola è senz’altro originale e suggestiva, e potrebbe trovare positiva applicazione soprattutto nei grandi complessi internazionali dove sono presenti e lavorano continuativamente uomini e donne di tutte le fedi, e nei quali il bisogno di un luogo di raccoglimento può essere avvertito, e appunto soddisfatto positivamente. Non a caso, la citazione più importante il prof. Ossola la riserva al palazzo delle Nazioni Unite, dove la sala di meditazione è stata realizzata per impulso di Dag Hammarskjöld. Più difficile, e non esente da qualche rischio, l’ipotesi di estendere l’esperienza un po’ in generale ad « aeroporti, ospedali, tribunali, eccetera. » per due ragioni. In ospedali e tribunali è assai dubbia l’utilità di una struttura del genere, dal momento che i degenti se hanno bisogno di un conforto, questo è il conforto della propria religione, non di un luogo astrattamente dedicato alla meditazione, mentre nei tribunali la maggior parte delle persone sono di passaggio ( un passaggio molto differenziato, avvocati, giudici, imputati, eccetera.). Più in genere, però, occorre tener presente che nelle diverse nazioni, nelle strutture ordinarie della vita sociale, l’esigenza di cui parla Ossola è ra- dicata nella propria religione di appartenenza ( di quella maggioritaria, e delle altre di minoranze) e ciascuna di esse è incarnata ( se così può dirsi) nei luoghi, nelle immagini, nei simboli specifici che le sono propri. Pensare che in una scuola di un paese cattolico, o di uno buddista, o di uno islamico, le persone accettino di inverare il legame personale con la propria chiesa in un luogo vuoto di simboli e segni, nel quale il vuoto stesso voglia rappresentare ciò che non può dire, mi sembra collida con alcuni profili della psicologia elementare religiosa. Incidentalmente, si può rilevare che il riferimento alla legge del 1949 che prevede la destinazione del 2% delle spese per l’abbellimento con opere d’arte degli edifici pubblici non sembra afferente alla proposta di cui si parla. Giustamente, Carlo Ossola precisa in apertura del suo intervento che non bisogna abolire il Crocifisso. Ed in effetti la sua proposta non è alternativa alla presenza del Crocifisso ( o ad altro simbolo religioso), ma si presenta come aggiuntiva in un mondo nel quale la complessità, e la velocità, della vita quotidiana toglie spazio e tempo a quel bisogno di intimità spirituale che gli uomini avvertono in diversa maniera. Occorre, quindi, riflettere sulla sua « fattibilità » soprattutto nei luoghi e negli spazi nei quali può essere utile, tenendo presente comunque l’esigenza che non venga utilizzata o strumentalizzata ( oggi tutto è possibile) per altre finalità, come quella di diluire il bisogno religioso in un più generico afflato spiritualista proprio delle filosofie moderne di più vago tenore teista o trascendentalista. Non è questo, certamente, lo spirito della proposta che ho commentato, però è bene coglierne tutti gli aspetti positivi, insieme ad eventuali sia pure ipotetici rischi di utilizzazione strumentale. |