Mi dispiace non esser d’accordo. Ma, nella coda davanti a Palazzo Marino, per vedere il San Giovanni Battista di Leonardo, io non vedo l’Italia colta, l’Italia buona, contrapposta a quella che va a vedere Natale a Beverly Hills o che si compiace delle volgarità televisive, ma la stessa Italia.
Certo, l’argomento è suggestivo per contrastare l’immagine di un Paese indifferente alla cultura, che non legge e non frequenta i musei (tesi comunque opinabile) e che va provocato con i manifesti concepiti da Mario Resca nei quali si vede il Colosseo dominato dalle gru che lo stanno smontando con la didascalia: «Se non lo visiti, lo portiamo via». E invece: nevica, fa freddo, piove, gli aerei sono bloccati, le stazioni nel caos, Milano paralizzata, ma l’italiano buono, colto, intelligente fa la coda per vedere Leonardo.
Mi viene in mente la richiesta dell’allora direttore di Raitre, Angelo Guglielmi, dopo i miei brutali esordi televisivi, con polemiche e parolacce (che nascondevano una passione per la ragione e per la bellezza minacciate) di fare un programma sull’Italia positiva, sulle cose che funzionano, sulla buona sanità, sulla certezza della pena, sulle istituzioni culturali, scuole e musei, dove è garantita la conoscenza. Si faticherà a crederlo, eravamo nel 1991. Il programma, secondo le intenzioni di Guglielmi (intellettuale notoriamente di sinistra, colto e sofisticato) si sarebbe dovuto chiamare Forza Italia. Poi le cose andarono in un altro modo. Io iniziai Sgarbi quotidiani intensificando il mio spirito polemico e critico, e Forza Italia fu altro.
Ora ritorna, nel pensare positivo e nel prevalere del tempo dell’amore, registrati con tempismo da Vittorio Feltri, l’accezione di una «Forza Italia» come Italia virtuosa, con i cittadini in coda per vedere Leonardo non abbioccati davanti a un televisore. Feltri va più in là; immagina lo stesso italiano che al pomeriggio deliba il San Giovanni Battista e la sera ride guardando Zelig, e perfino il film di Natale. Però, intanto, si fa scudo della coda nella bufera. A parte il fatto che, contemporaneamente a Zelig, due sere fa, su un’altra rete, si poteva vedere quel capolavoro che è Amici miei di Mario Monicelli, di gran lunga superiore al San Giovanni Battista di Leonardo, l’italiano virtuoso in coda è mosso da uno stimolo non diverso dal ragazzo che guarda con ammirazione il «maledetto» Fabrizio Corona.
Corona predilige il chiaroscuro caravaggesco; ma lo «sfumato» di Leonardo incontra l’interesse della stessa moltitudine di idioti che si affolla quotidianamente davanti a quella vertiginosa puttana che è Monna Lisa. La quale, dalle stanze di un palazzo come il Louvre, ammicca a forzati feticisti che vanno a vederla come una diva del cinema, benevola e sorridente, impedita soltanto a rilasciare autografi. E allora eccola, contro tutte le preoccupazioni e i rischi delle luci artificiali, esposta a centinaia di flash di cinesi, giapponesi, russi coreani, afroasiatici per portarne via un ricordo, a tutti inutile, giacché la Gioconda è l’unica opera che si conosce prima in cartolina, e di cui l’originale è una riproduzione. Chiunque l’ha già vista, e compie il rito d’andarla a vedere dal vivo, non riuscendo a vederla, e per la distanza e per la quantità di nuche che si frappongono fra lei e il nostro sguardo. È l’effetto Leonardo da cui discendono il Codice Da Vinci, il costante pellegrinaggio davanti al Cenacolo di Milano e anche quest’ultima rassicurante coda per questo morbido, efebico, ambiguo, San Giovanni Battista.
Leonardo è amato per l’alone di mistero, per le cervellotiche interpretazioni che suscita, per l’ambiguità sessuale che conferisce ai suoi personaggi. Su questo elemento si gioca gran parte della morbosa curiosità che Leonardo suscita. Così la Gioconda è in realtà un autoritratto, il San Giovanni Evangelista dell’Ultima Cena viene interpretato come la Maddalena e il San Giovanni Battista esposto a Palazzo Marino ha alcunché di femmineo. Nessuno più di Leonardo ha valorizzato la molteplicità della natura sessuale, la sua indeterminatezza esaltando, con piena consapevolezza, la condizione che oggi definiamo transessuale. Ed è proprio questa specialità che lo rende così attraente e misterioso, e che continua a incuriosire. Nulla attrae più dell’ambiguità sessuale, ed è per questo istinto inconscio che si corre da lui piuttosto che dai molto più virtuosi Tiziano, Lorenzo Lotto, Paolo Veronese, Rosso Fiorentino, Tintoretto che circondano la Gioconda al Louvre.
E anche a Milano, senza far code, si possono vedere opere infinitamente più belle del San Giovannino nella Pinacoteca di Brera, soprattutto fra gli artisti meno conosciuti: Francesco Del Cossa, Ercole De’ Roberti, Guido Cagnacci, Savoldo, lo stesso Mantegna, per il cui Cristo morto nessuno fa la coda.
Dunque non c’è un’altra Italia: c’è l’Italia che dal trash va al trans, e che trova in Leonardo le stesse componenti di divismo che lo spingono verso Belen o la Ferilli o George Clooney, che è più intrigante da quando se n’è insinuata l’inclinazione gay; o quelle di curiosità morbosa per l’universo trans, rivelato dal caso Marrazzo e imperversante in televisione (tra Brende e Natalie moderne sorelle del San Giovannino di Leonardo), fino alla beatificazione di Berlusconi con il lancio del Duomo che ha improvvisamente arrestato il tripudio trans, in televisione e sui giornali.
Come premio di consolazione resta soltanto, mentre Natalie e compagne si ritirano in casa per il Santo Natale, il San Giovannino di Leonardo. Uomo o donna? Tutti in coda per saperlo.
Il Giornale 29 dic. 2009