mercoledì 23 dicembre 2009
L’argomento più discusso nei notiziari americani della scorsa settimana è stato senza dubbio il successo dei Democratici al Senato dove, senza neppure un voto favorevole da parte dei Repubblicani, sono riusciti a chiudere il dibattito sul loro progetto di riforma dell’assistenza sanitaria. Secondo il regolamento del Senato, ai Democratici erano necessari 60 voti (su 100) per costringere alla votazione finale, ma almeno dieci Democratici moderati o conservatori erano contrari al progetto così come inizialmente presentato. È toccato quindi al leader della maggioranza, il senatore Harry Reid del Nevada, far superare le obiezioni e assicurare il loro voto favorevole. Alla fine, è rimasta solo l’opposizione del senatore Ben Nelson del Nebraska, con la richiesta che fosse assicurata l’esclusione del finanziamento, diretto o indiretto, dell’aborto con fondi federali. Questo era stato l’ostacolo principale anche alla Camera, finché Nancy Pelosi, il presidente dell’assemblea, e il presidente Obama si sono resi conto che i vescovi cattolici, sia progressisti che conservatori, avrebbero preferito non avere nessuna riforma (che è sempre stata sostenuta dalla Chiesa cattolica in Usa) piuttosto che accettare compromessi sulla questione dell’aborto. Alla Camera, il problema è stato risolto con l’approvazione di una clausola antiaborto presentata dai deputati Bart Stupak, del Michigan, e Joseph R. Pitts, della Pennsylvania, e sostenuta dai vescovi, che ha permesso anche l’approvazione dell’intero progetto di legge. Il senatore Nelson ha dichiarato il suo voto contrario al Senato, a meno che fossero introdotte restrizioni all’aborto come quelle passate alla Camera dei Rappresentanti. L’ala sinistra del Partito Democratico è già molto irritata con il presidente per avere accettato l’Emendamento Stupak-Pitts (e anche per altri compromessi) e lo ha criticato aspramente per essersi arreso ai conservatori. Tuttavia, appena è apparso chiaro che senza il voto del senatore Nelson non si sarebbe potuto chiudere il dibattito, e quindi non si sarebbe probabilmente avuta nessuna riforma sanitaria, Reid ha offerto a Nelson un compromesso che soddisfa apparentemente le sue richieste, assicurandosi il suo voto (e l’approvazione della legge, dato che è sufficiente la maggioranza dei voti). Gli esponenti dei movimenti pro-life non sono tuttavia soddisfatti di questo compromesso e dicono che Nelson ha capitolato sotto le pressioni politiche. Il fatto che questo accordo sia apprezzato da senatori decisamente in favore dell’aborto sembrerebbe avvalorare questi dubbi. Sarà interessante vedere la reazione dei vescovi cattolici. Secondo David D. Kirkpatrick, in un suo articolo su The New York Times Magazine del 20 dicembre, l’intervento deciso dei vescovi americani è dovuto all’influenza su di loro di Robert P. George, professore di diritto alla Princeton University, da molti considerato il più influente pensatore cattolico conservatore degli Stati Uniti. Le sue credenziali accademiche e professionali sono eccellenti ed è altamente considerato, e apprezzato a livello personale, da molti dei suoi oppositori ideologici. Io non ho letto i suoi articoli, ma ciò che ho letto di lui nell’articolo citato mostra anche che è una persona umile. Commentando la sua influenza sui vescovi, ha detto di essere “gratificato” per l’importanza attribuita alle sue opinioni e ha dichiarato: “Spero solo di avere ragione. Se le mie argomentazioni sono accolte, non voglio portare fuori strada l’intera Chiesa”. Qual è il punto di vista che sta guidando, si dice, le parole e le azioni dei più autorevoli vescovi negli Stati Uniti? È una questione che risale alla Riforma protestante e precisamente al rapporto tra fede e ragione. I protestanti separano radicalmente e mettono in opposizione fede e ragione, perché si presume che il peccato originale abbia così corrotto la ragione umana che solo la fede è l’unica speranza di salvezza per l’uomo. Il professor George e i suoi seguaci cattolici non considerano fede e ragione opposte l’una all’altra, ma sembrano considerarle come due vie separate alla conoscenza di ciò che è bene e male. Questa separazione consente loro di mettere da parte la fede quando parlano con i secolaristi, facendo ricorso solo a una ragione che è capace di discernere una “legge naturale” che descrive come l’uomo è fatto, delineando così la strada alla dirittura morale. La Rivelazione divina e la Grazia per rispondere ad Essa non sono perciò (almeno) teoricamente necessarie a cogliere la realtà umana così come è. Ma è questa la posizione migliore per condurre la lotta in favore della vita (come su altre materie quali il matrimonio omosessuale)? Papa Benedetto XVI non sembra pensare così. Non era forse questo il punto principale della sua ultima enciclica, vale a dire la necessità di legare insieme la carità divina (colta attraverso la fede) e la verità, cioè la conoscenza di ciò che significa essere umani mediante “l’allargamento della ragione”? Mi mette a disagio il fatto che si dica che i vescovi combattono la lotta al secolarismo accettando di metter da parte o nascondere il bisogno di Cristo in una discussione su cosa significa essere uomo. Questo è proprio il cuore dell'ideologia secolare. http://www.ilsussidiario.net/